In Belgio un uomo muore suicida dopo aver interagito con Eliza
Nell’attesa di relazionale ad un convegno nazionale di psicologia cui sono stato invitato in questi giorni, mi sono imbattuto nella lettura di casi riportati dalla cronaca, documentati, in cui si parla di interazioni con chatbot basati su intelligenza artificiale. Essi hanno sollevato preoccupazioni in merito a risposte date da chatbot che potrebbero essere interpretati come incitazione al suicidio. Un caso riportato
riguarda un uomo in Belgio che si è tolto la vita dopo aver interagito intensivamente per settimane con una chatbot chiamato “Eliza”, un sistema simile a ChatGPT.
Naturale fragilità emotiva
Sebbene si potrebbe pensare alla persona, probabilmente già fragile emotivamente, si dovrebbe pensare anche alla naturale fragilità emotiva dell’adolescente che potrebbe esserne influenzato.
Una Madre persegue penalmente Character.AI
Di fatto, un altro caso che ha suscitato ampie riflessioni è stato proprio quello di un adolescente americano di 14 anni la cui madre, senza scendere nei particolari, ha deciso di intraprendere un’azione legale contro Character.AI, sostenendo che l’applicazione non fosse progettata per gestire utenti emotivamente fragili e che avesse aggravato l’isolamento del figlio.
Consapevolezza, vigilanza delle famiglie, istituzioni educative, aziende tecnologiche.
Mi voglio fermare a questi casi per non dare spazio a eventuali messaggi paradossali, ma sottolineo che episodi come questo sottolineano non solo l’importanza di una maggiore consapevolezza, ma una attenta vigilanza da parte delle famiglie, delle istituzioni educative e delle aziende tecnologiche rispetto ai potenziali effetti collaterali dell’intelligenza artificiale.
Ma mi preme fare anche un’altra riflessione, che spesso riporto nei miei libri (Riccardi P., L’equilibrio interno perduto, come ritrovarlo Ed. D’Ettoris 2023).
Chi è l’uomo del terzo millennio e dove sta andando?
L’uomo del terzo millennio si trova immerso in un’epoca di straordinarie innovazioni tecnologiche, in cui strumenti come l’intelligenza artificiale (IA) promettono di risolvere problemi complessi, migliorare la qualità della vita e ridefinire le modalità di interazione umana. Riversando in essa una fiducia quasi cieca si rischia di trasformare questa tecnologia in un pericoloso idolo, portando l’uomo a dimenticare il proprio senso profondo di essere.
L’ammonimento di Dio a non farsi idoli: «Non farti scultura, né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire» (Esodo 20:4-5) può essere interpretato come un monito non solo contro gli idoli fisici, ma anche contro qualsiasi cosa che, nella vita, prenda il posto di Dio o della ricerca spirituale autentica.
Nel contesto dell’uomo del terzo millennio, l’idolatria può assumere nuove forme, come la fiducia illimitata nella tecnologia, nell’intelligenza artificiale o in altre creazioni umane.
L’IA, sebbene utile, può trasformarsi in un idolo moderno quando diventa il centro esclusivo della fiducia, della speranza e della guida per l’umanità. Questo rischio ci ricorda l’importanza di mantenere il nostro orientamento verso Dio e la spiritualità, evitando di deumanizzare noi stessi, o di relegare la nostra vocazione superiore a ciò che è solo strumento.
Il richiamo a “non farsi idoli” è quindi un invito sempre attuale a mantenere il giusto ordine delle priorità: non sostituire il creatore con le sue creature. Solo così l’uomo può preservare la sua identità e il senso profondo del proprio essere.
Se l’uomo depone tutta la sua fede e fiducia nella tecnologia, riducendo l’esistenza a ciò che è facile, calcolabile, ottimizzato e perfetto, corre il rischio di perdere il contatto con la sua dimensione spirituale.
L’essenza dell’umano non si limita alla capacità di elaborare calcoli e informazioni, dati e notizie, essere visibile sui social; essa risiede nella capacità di amare, creare, contemplare, riflettere e trovare significato anche nell’incertezza più assoluta. Ce lo insegna l’epilogo del profeta Biblico di Giobbe che, dopo aver attraversato immense sofferenze e aver incontrato Dio in un modo più diretto e intimo, muore pago dei suoi anni e non deluso. In Giobbe 42:16-17, si legge, infatti: “Dopo questi fatti, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti per quattro generazioni. Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni.”
L’IA, per quanto potente, è un prodotto dell’intelletto umano. Può simulare processi complessi e persino produrre risultati sorprendenti e affascinanti, ma non possiede la consapevolezza, la spiritualità, né la capacità di attribuire valore intrinseco alle cose. Se affidiamo ciecamente il discernimento morale, il senso della vita e le scelte fondamentali a entità artificiali, rischiamo di ridurre l’uomo a un semplice ingranaggio di un meccanismo cognitivo, privandolo della sua vera vocazione di essere umano e spirituale, unico, irripetibile e dotato di un’anima. Il vero progresso non consiste solo nell’aumentare la nostra capacità tecnologica, ma nel preservare e coltivare la nostra umanità e spiritualità. Senza una visione trascendente, l’uomo rischia di smarrire il senso della propria vocazione alla vita.
La fede e la preghiera hanno un grosso ruolo nel progresso tecnologico, poiché ci richiamano a vivere autenticamente e a ricercare una verità, che trascende l’intelletto umano.
Se l’uomo del terzo millennio non si ravvede e non pone la sua fiducia in una dimensione più alta rispetto all’IA, rischia di perdere il senso profondo di essere umano, dimenticando che il suo valore non si misura nei dati che produce, ma nella sua capacità di vivere, amare e contemplare il mistero della vita.
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Ricordiamo la partecipazione del Prof. Pasquale Riccardi , al sottoscritto Convegno, avvenuta in data 15 Novembre c.a., sul tema:
“Il corpo: la parola in più nell’intervento analitico transazionale”
(Ambito psicoterapia)