Il paradosso dei regimi liberali repressivi – prima parte

Per un blog che si intitola ‘Libertà e Persona’ penso che non sia del tutto ozioso sviscerare alcune considerazioni intorno al tema della libertà e del liberalismo, nonché alle ricadute, sociali e sulle persone, delle concezioni liberali. Ripropongo pertanto uno stralcio di un mio recente studio, pubblicato sul blog ‘Oltre il giardino’, gestito da Sabino Paciolla.

Il liberalismo, dalla Rivoluzione Francese ad oggi, ha sempre avuto il vantaggio di una benevola quanto abusiva considerazione, che si basa prima di tutto su un inganno lessicale.

La parola libero, libertà e altre derivate hanno infatti precise connotazioni che rinviano ad accezioni di significato sempre positive. Ad esempio, una persona liberale, al di là del rimando politico, è qualcuno che manifesta generosità, apertura al prossimo e al mondo. Ovvero una persona di larghe vedute. Insomma, tutti amano la libertà e quindi riuscire ad appropriarsi, ideologicamente, di questo patrimonio semantico e cucirselo addosso vuol dire porsi su un piedestallo e farsi guardare con rispetto.

Lo stesso potremmo dire per tante altre parole totem ma anche per etichette che si pretende che diventino nobilitanti se caratterizzate da un prefisso ‘anti’ posto prima di un concetto fatto passare per spregevole: fascista, patriarcale, razzista, discriminatorio, omofobo, etc.

Il buonista benpensante di oggi in questo pantano semantico pieno di fango e diamanti ci sguazza felice. Lui è colui che si arroga di un diritto manicheo di essere sempre dalla parte giusta con il privilegio di poter imporre un lessico adulatore per lui e ostile a chi sta dalla parte sbagliata.

Accade quindi che chi non sta nello schieramento politicamente corretto si ritrova in ogni dibattito pubblico con un handicap da superare. Che è lo stigma lessicale che gli viene appiccicato addosso che diventa anche un vantaggio per i suoi avversari o interlocutori di diverso orientamento.

Per superare queste discriminazioni, spesso promosse da chi si professa liberale, aperto al dialogo e contro le discriminazioni, sarebbe opportuno ingaggiare una controffensiva culturale. Si dovrebbe infatti cominciare ad emanciparsi dalle dittature lessicali e contrastarle smascherando ciò che nascondono. E magari passare all’attacco senza però usare altri epiteti squalificanti, volti a distruggere l’avversario. In molte situazioni è molto meglio utilizzare l’ironia: per esempio qualificare l’interlocutore come buono(buonista) o corretto (politicamente) o devastatore non violento o ‘pacifinto’ non può essere considerato volgare od offensivo. Riesce elegantemente a richiamare tanta ipocrisia senza scendere nello stile di chi lancia grevi insulti carichi d’odio. 

C’è dunque una battaglia sul piano lessicale che merita di essere affrontata, con qualche buona chance. 

Ma c’è anche un confronto, se ci fosse una seria opportunità di dialogo, che dovrebbe mirare ad analizzare le radici storiche di quelle ideologie egemoniche che oggi si accreditano come democratiche, aperte, tolleranti e inclusive – o, in una parola, ‘liberali’ – camuffando una realtà che sconfessa totalmente queste pretese autocelebrative. Il liberalismo, dietro la maschera della ‘libertà’, che è la libertà di muoversi dentro una gabbia sempre più stretta, cela un volto brutale che oggi sta manifestandosi sempre di più. Si sta creando infatti una realtà in cui la libertà, che coincide con quella che hanno in mente i detentori del potere, diventa obbligatoria. È il liberalismo repressivo, un ossimoro che ritenevamo impossibile e che invece sono sotto gli occhi di tutti.

Per esempio, la cultura woke, nata e sviluppatasi negli Stati Uniti avendo come brodo di cultura ambienti liberal e radicali (cioè libertari) è paradigmatica dell’evoluzione dei principi di libertà quando questi diventano vincolanti e asfissiantemente applicati. La libertà dispotica imposta da una ristretta elite, ha infettato nel suolo americano ogni campus universitario ed è penetrata in ogni ganglio di potere, con sistemi coercitivi. È diventata una libertà tossica. Di ciò abbiamo un riflesso anche da noi in quel linguaggio ridicolo che pretende di piegare il lessico e inquinarlo, per cancellare la cultura dei popoli. 

Altri laboratori del pensiero liberale sono quelle oligarchie in cui si concentra il potere decisionale irradiato sui governi occidentali: in primis il World Economic Forum, che riunisce più di mille multinazionali leader di settore con un fatturato superiore a cinque miliardi di euro; quintessenza del liberalismo che vuole trainare tutte le scelte globaliste con le agende scellerate che ben conosciamo. La distinzione rispetto al temibile e famigerato club di Bilderberg o alla Fabian Society è che opera con maggior trasparenza. Questo va loro riconosciuto: ormai sono talmente spudorati che non nascondono più la loro follia e nei convegni di Davos le teorie e indirizzi etici e politici propalati hanno addirittura una cassa di risonanza mondiale, senza censure. 

Lo stile nascosto e maggiormente esclusivo di Bilderberg fa invece pensare a collusioni massoniche e a progetti ancora più indicibili. In questi templi dove si definisce il programma di dominio planetario si conferma, una volta di più, che il globalismo è liberal ma non è per uomini liberi. Non c’è corrispondenza tra la concezione di libertà e quella di liberal.

Questo è purtroppo il liberalismo che oggi sta affermandosi. Rimane da capire se ciò avviene o no per un processo di involuzione e deterioramento. Lo stesso quesito che in passato fu discusso in relazione al comunismo. Il comunismo di per sé è buono, diceva qualcuno; la sua degenerazione deriva da una sua applicazione sbagliata. Eppure, l’esito della totalità delle molte decine di regimi comunisti che abbiamo sperimentato nell’ultimo secolo ha sempre inevitabilmente condotto a quelle ‘degenerazioni’ e compressioni di libertà e dignità: il che è indice di un carattere disumano che è connaturato al comunismo.

E per il liberalismo, che possiamo dire? Ci sarebbero molti distinguo da fare prima di rispondere al quesito. Ci sarebbe da capire come è nato e come si è sviluppato il liberalismo dal medioevo ad oggi. O perlomeno occorrerebbe focalizzare su alcune tappe rilevanti degli ultimi due secoli. Ma ciò sarà argomento per il prosieguo di questo articolo.

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Autore: Roberto Allieri

Nato a Pavia nel 1962, sposato e padre di quattro figli, risiede in provincia di Bergamo. Una formazione di stampo razionalista: liceo scientifico, laurea in giurisprudenza all’Università di Pavia e impiego per oltre trent’anni in primario istituto bancario. L’assidua frequentazione di templi del pensiero pragmatico e utilitarista ha favorito l’esigenza di porre la ragione al servizio della ragionevolezza e della verità. Da qui sono seguite esperienze nel volontariato pro-life, promozione di opere di culto, studi di materie in ambito bioetico, con numerose testimonianze e incontri per divulgare una cultura aperta alla vita, ancorata alla fede e alla famiglia. Collabora al Blog Oltre il giardino QUI Vedi tutti gli articoli di Roberto Allieri