Certi fatti sono destinati per loro natura a restare a lungo nella memoria e tutti ricordiamo bene la squallida «cerimonia» di apertura dei Giochi olimpici, tenutasi a Parigi il 26 luglio scorso.
Da parte sua la Santa Sede, piuttosto parca in fatto di dichiarazioni ufficiali a tutela della propria immagine e di quella della religione, in una Nota ufficiale si dichiarò «rattristata da alcune scene della cerimonia
di apertura dei Giochi Olimpici» e si unì «alle voci che si sono levate nei giorni scorsi» per «deplorare l’offesa arrecata a molti cristiani e ai credenti di altre religioni», criticando le «allusioni che ridicolizzano le convinzioni religiose».
Davanti alla levata di scudi generale, o meglio trasversale ma guidata dai conservatori (dalla Meloni a Donald Trump), i protagonisti dell’ideologica pagliacciata cercarono in ogni modo di sminuire la portata anticristiana, immorale ed eversiva dell’evento. Così, si espressero sia il «direttore artistico» dei Giochi, Thomas Jolly, che colei che incarnava il «Gesù trans», la militante Lgbt Barbara Butch.
Spettatori e seguaci dei Giochi protestarono dai 5 continenti e molti vescovi francesi fecero critiche severe all’evidente e blasfema parodia dell’Ultima Cena del Signore, trasformata in performance Lgbt guidata da drag queen, proponendo perfino delle «liturgie di riparazione».
Ora, a bocce ferme e a distanza di quasi due mesi dai fatti e come se nulla fosse accaduto, Thomas Jolly, intervistato da Le Monde, ammette candidamente ciò che gli rimproverarono i conservatori e i cattolici, e che negò per settimane.
Il direttore artistico, diventato nel frattempo un idolo della sinistra mondiale e dei radical chic, alla domanda se la «cerimonia d’apertura fosse di stampo politico», dichiara con quell’ipocrisia di cui solo i progressisti sono capaci: «Ovviamente era politica, anche se non faccio proselitismo».
Durante i giorni della polemica però affermò ripetutamente il contrario, dicendo: «Non troverete mai in me alcuna volontà di denigrare nessuno. Ho voluto fare una cerimonia che ripara, che riconcilia». Non era Gesù tra gli apostoli, disse Jolly, ma «Dioniso che arriva al banchetto, perché è il dio della festa».
«La mia missione» continua ora su Le Monde, «era di dire quello che siamo». Appunto: per lui i francesi non sarebbero figli di una cultura cristiana plurisecolare, da Clodoveo a Charles de Gaulle, ma un coacervo di neo-paganesimo, laicismo e squallido esibizionismo post-moderno.
Secondo Thomas Jolly già in passato, nella varie arti figurative, ci sarebbero state rappresentazioni di «corpi differenti, diversità, uomini e donne truccati e in costume». Addirittura, per Jolly, un vero jolly della deformazione storica, «I re francesi indossavano cipria e tacchi». Ma non credo lo facessero per addobbarsi in vista di un Gay pride, del resto l’omosessualità praticata in pubblico era bandita ed anche il travestitismo.
«Giovanna d’Arco» continua il decostruttore wokista, sarebbe «uno dei più grandi travestiti della nostra storia», la quale sarebbe stata «condannata perché era vestita da uomo».
Anzitutto, il motivo della condanna fu la presunta eresia della Pulzella, che comunque è stata canonizzata dalla Chiesa nel 1920 ed ora è patrona di Francia. Presentarla come un «travestito», mentre era una santa vergine che fu chiamata all’inconsueta missione di guidare un esercito, continua la logica dell’insulto anticristiano. E conferma, ex post, tutte le accuse fatte all’ideologico «artista».
«La nostra cultura», conclude il patentato disinformatore, «è fatta di fluidità di generi». Incluso il genere dell’incivile, del dissacratore e del «rivoluzionario coccolato».