Ricordate i vecchi cari falò di una volta, quando i giovani e meno giovani provavano gusto a disporsi di sera davanti ad un fuoco, sul greto di un fiume o su un prato di montagna? Magari dopo una gioiosa grigliata in compagnia.
Ricordate i vecchi cari falò di una volta, quando i giovani e meno giovani provavano gusto a disporsi di sera davanti ad un fuoco, sul greto di un fiume o su un prato di montagna? Magari dopo una gioiosa grigliata in compagnia. La sola vista di quello spettacolo naturale che esprimono la danza delle fiamme, sempre cangianti, e la rassicurante carica energetica delle braci metteva addosso una allegria misteriosa e un senso di riposo dello spirito (almeno per chi sapeva coglierlo).
E non mancava mai quello con la chitarra che coinvolgeva tutti in canti che avevano una melodia e un testo comprensibile, il quale raccontava storie o trasmetteva passioni e sentimenti d’amore.
Se volete capire meglio il concetto e condividere questa mia nostalgia guardatevi questa video clip: è la canzone ‘Fernando’ interpretata dagli ABBA nel 1976 attorno ad un falò (un po’ farlocco a dire il vero, perché ricreato artificiosamente nel pavimento di uno studio).
Tipica canzone da cantare attorno ad un fuoco, così come quelle di Lucio Battisti.
‘Acqua azzurra, acqua chiara, con le mani posso finalmente bere. Nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro, puro come il tuo amor’…
Oggi, come diceva Battisti in quella canzone, ‘tutto questo non c’è più.’
I giovani, in genere, aborriscono i falò e questa forma superata di socializzare attorno ad essi. Oltretutto, la contemplazione del fuoco e delle braci li distoglierebbe da tutta l’attenzione che meritano i loro smartphone. Delle chitarre e delle musiche melodiche neanche a parlarne. Preferiscono i ritmi tribali ossessivi prodotti da cubi e casse acustiche, accompagnati da grugniti umani o da una mitragliata logorroica che vorrebbe farci appassionare per ciò che gira intorno all’ombelico di chi la scaglia.
Il peggio è che anche la nostra società è ostile ai falò, tanto che ormai sono considerati un crimine verso l’ambiente. Un cieco furore ideologico li considera una minaccia. Non certo per questioni di sicurezza, ma per le emissioni di anidride carbonica che comportano, non tollerate dall’inflessibile programma di transizione ecologica che tutti dobbiamo rispettare.
Ma questo rigido fondamentalismo, con il suo carico di lacci e laccioli e con lo spreco di risorse per sostenere le politiche green (tutti soldi sottratti alla salute, o alle famiglie, o allo sviluppo di infrastrutture) cozza contro una realtà che dovrebbe inchiodare le vittime di ecoansia.
Dov’è la minaccia?
E qui vengo al punto: l’ossessione green per la decarbonizzazione e per il rispetto dell’ambiente come si concilia con la smania bellicista dei nostri governanti che moltiplica l’invio in Ucraina di bombe, munizioni e armi esplosive, anche chimiche?
I carri armati, che avanzano su quei campi sparando raffiche che, oltre alla morte di persone, causano incendi e distruzioni, e i missili, gli aerei e le contraeree non producono forse una ben più esagerata quantità di CO2 (per tacere di altri gas e sostanze inquinanti)? Forse che la guerra in Ucraina è green ed eco-sostenibile?
E allora, se non è così, se la guerra è la peggiore minaccia all’ambiente, perché non tagliamo prioritariamente tutte quelle dannosissime emissioni belliche (comprese quelle del processo produttivo dell’industria bellica) invece di colpevolizzarci e sanzionarci se produciamo troppa anidride carbonica (che, alla fine, è solo aria pulita)?
E poi, come mai gli ecologisti soffrono di ‘ecoansia’ e vanno a protestare nelle piazze invocando misure estreme di contenimento del CO2 e però non hanno niente da ridire se qualcuno vuole a tutti i costi trascinarci in un conflitto atomico? Dovrebbero protestare accendendo falò dappertutto, per giorni e giorni, e a chi vuole intimare loro di spegnerli sarebbe da rispondere: prima di spegnere i fuochi e i fumi dei nostri falò fate spegnere quelli di guerra!
Cosa vuole l’Europa?
Il mantra ‘ce lo chiede l’Europa’ è palesemente insostenibile quando diventa schizofrenico e pretende di tenere insieme la lotta alle emissioni climalteranti e la continuazione ad oltranza del conflitto ucraino, con apertura di nuovi fronti per aggredire con più virulenza il nemico russo (da sempre bollato come aggressore).
Perché noi cittadini europei ci dobbiamo svenare e piegare a mille rinunce (altro che i falò!) quando pochi giorni di deflagrazioni belliche vanificano tutti i nostri sacrifici di anni? Sacrifici che gli oligarchi che ce li impongono si guardano bene dal sostenere, viaggiando nei loro jet privati, mantenendo lussuosi parchi macchine, e non facendosi mancare nessun confort ‘climalterante’ nelle loro ville sempre ben riscaldate o rinfrescate da aria condizionata.
Mettiamo spalle al muro i nostri governanti che ci preparano un futuro di lacrime e sangue, ovvero tasse e guerra: se volete intensificare la guerra, allora, togliamo tutte le restrizioni imposte dalla lotta ai cambiamenti climatici, che diventerebbero inutili e insensatamente penalizzanti. Peraltro, i fondi dedicati a questo obiettivo e la zavorra di adempimenti e tasse a carico dei cittadini, opportunamente reindirizzati, si trasformerebbero in un impulso di ripresa per investimenti nelle famiglie, nella salute e nell’economia.
Oppure, se è prioritario l’altro scenario, cioè la difesa dell’ambiente, basta guerre in Europa e stop all’uso di armi! Sposando questa causa ecologica, la deposizione delle armi sarebbe una vittoria per l’ambiente, anzi, una scelta obbligata. Per non parlare dell’immenso valore intrinseco della pace.
O vale una scelta, o vale l’altra. Se non sacrifichiamo (cioè se non interrompiamo) la smania di guerra, sacrificheremo l’ambiente perché la guerra uccide anche l’ambiente. E la minaccia peggiore, se non si argina, non è l’aumento di un grado di temperatura media planetaria entro il 2050 (come nei peggiori scenari climatici elaborati dagli scienziati). Ma è qualcosa di ben più apocalittico: il finire arrostiti in poche settimane per le deflagrazioni atomiche.