Non scopriamo certo oggi la frustrazione di un popolo (italiano, europeo e occidentale in genere) che ormai ha perso quasi totalmente ogni possibilità di incidere nelle scelte politiche più importanti con strumenti democratici. Negli aspetti che più contano, il potere, infatti, viene gestito fuori dai confini nazionali e anche dalle assemblee
politiche rappresentative. Tale malcontento ha avuto conferma nelle ultime elezioni europee, disertate da una percentuale che è diventata maggioritaria.
Serpeggia quindi nel comune sentire una percezione di frustrazione e inanità che si evidenzia in particolare quando si dibatte sul corso dei conflitti più pericolosi e sanguinosi: quello russo-ucraino e quello israelo-palestinese.
Soffermandomi sul primo conflitto, vorrei cercare di capire, beninteso da profano, se esiste un’alternativa, magari difficile ma non impossibile, ad un copione che qualcuno sembra aver già scritto (leggi QUI). Un cammino a tappe che non esclude, anzi prevede come esito finale, devastazioni del territorio europeo con armi nucleari.
Siamo come i ballerini del film Titanic, che danzano disinteressati mentre la nave affonda. Ci deve pur essere un modo per destare i cittadini dal loro torpore o dal diffuso senso di ineluttabilità; ci sarà pur una via, un piano di pace percorribile, per distogliere politici e militari dal cupio dissolvi, il desiderio ardente di morire (anzi, di far morire).
Certo, io sono l’ultimo arrivato a parlare di queste cose e so bene che su questi temi si moltiplicano le trattative di pace o i tentativi di risoluzione del conflitto da parte di vari Stati e istituzioni. Ma sempre con risultati inconcludenti per la pace, che nessuno realmente vuole. E il prossimo negoziato in Svizzera non lascia certo presagire granché visto che il tavolo delle trattative sarà aperto solo a uno dei due schieramenti belligeranti: l’Ucraina potrà concludere felicemente un accordo con sé stessa ma dubito fortemente che ciò sarà risolutivo per il conflitto.
L’ultimo vertice del G7 organizzato dai potenti del mondo e con presenza allargata addirittura al Papa, oltre che all’immancabile Zelensky, ha ribadito la linea di sostegno oltranzista alla guerra. Mi chiedo per quale motivo i guerrafondai del G7 abbiano invitato il Papa. Forse pensavano di beneficiare di una certa disinvolta e misericordiosa propensione a largheggiare in benedizioni? Spero proprio che papa Francesco stia lontano dai loro intrighi e sono sicuro che benedirà sempre la pace. Temo però inutilmente.
Una proposta che non si può continuare ad escludere
Dunque, a mio modesto parere, sarebbe opportuno ipotizzare un approccio diverso dai precedenti, per rendere possibile una exit strategy.
Oggi i più insormontabili e irriducibili ostacoli alla fine del conflitto in Ucraina sono Zelensky e la Nato (o meglio l’amministrazione statunitense che orchestra e sostiene più direttamente tutte le fasi della guerra). Per Zelensky non possono esistere opzioni di pace senza il ripristino dello status quo ante, cioè della situazione preesistente all’inizio della guerra. Peraltro, lui stesso era arrivato nel 2022 ad accettare una possibilità di trattativa, ma fu distolto dagli alleati occidentali (Boris Johnson in primis) e da allora virò verso una chiusura pregiudiziale a tali scelte, addirittura vietate per legge.
Insomma, Zelensky è un dittatore, che non solo si è sottratto alla possibilità di essere confermato alla guida del suo Paese da libere lezioni (a differenza di Putin), ma pretende anche di essere applaudito e riverito nonché di imporre la sua ‘lista della spesa militare’ anche all’estero.
Questa sua posizione di dominio assoluto e dispotico sui suoi concittadini viene costantemente difesa dagli alleati politici e militari. Eppure, gli occidentali si ostinano a sostenerlo anche come campione a baluardo dei valori democratici.
È proprio qui, su questi capisaldi, che i veri fautori della pace potrebbero puntare qualche speranza, fondata su un approccio sinora non tentato. Un approccio che metta in discussione il ruolo di Zelensky. Perché se Zelensky venisse messo da parte, una prospettiva di pace sarebbe possibile e ben gradita al popolo ucraino che geme sotto il suo tallone (nonostante ciò che dice la propaganda che insiste sulla compattezza dello spirito patriottico e tace sulla fuoriuscita di dieci milioni di ucraini dalla propria patria).
E allora mi chiedo: perché non favorire, anzi direi obbligare come condizione imprescindibile degli aiuti concessi, l’indizione di elezioni politiche nel territorio ucraino? Gli alleati occidentali non potrebbero ostacolare questo presupposto di legittimità, necessario per chi si pone alla guida di un popolo. Sono sicuro poi che se si arrivasse a questa opzione, la Russia concederebbe una tregua per il tempo necessario a far svolgere la campagna elettorale. Certo, se le elezioni confermassero Zelensky, si sarebbe punto e a capo; ma con il beneficio di un periodo di respiro che il popolo ucraino difficilmente sarebbe disposto a perdere. E, comunque, Zelensky acquisirebbe una patente di rappresentatività democratica che oggi non ha. Il che sarebbe ‘democraticamente’ positivo, sanando il deficit di legittimità attuale.
Facciamo finta che succeda…
Se avanzasse una proposta di questo genere, l’ONU ed altre agenzie internazionali non avrebbero motivo di tirarsi indietro nel sostenerla; anzi, avrebbero titolo per favorire tali libere elezioni e, in vista di esse, maggiori possibilità di individuare arbitri e organizzare un tavolo di pace con rappresentanti politici. Alludo ad arbitri provenienti da Paesi neutrali come Turchia, India, Indonesia o rappresentanti del Vaticano. O altri ancora. Il compito dei delegati a questo tavolo di pace dovrebbe altresì essere quello di poter vigilare nelle operazioni di voto, definendo modalità che limitino brogli (come i voti postali o quelli acquisiti non in presenza).
Al di là di ulteriori dettagli, il succo del discorso è questo: non è possibile per i Paesi occidentali continuare ad appoggiare un alleato tiranno che pretende di battersi per i valori democratici, impedendo però ai suoi sudditi ogni diritto democratico; a cominciare da quello di poter votare.
La scelta di un rappresentante eletto dal popolo ucraino sarebbe quindi da considerare in linea con i valori occidentali e favorirebbe presumibilmente un processo di pace. È invece una sciagura impedirlo. Come stiamo vedendo…
Il voto libero è l’unico modo per garantire l’autodeterminazione di un popolo e per smascherare chi vuole accentrare tutti i poteri. Un conto è esercitarli in modo accentrato ma autorevole come Putin, le cui decisioni godono della fiducia della stragrande maggioranza dei russi che lo hanno votato recentemente; ben diverso è l’autoritarismo di chi piega un popolo che non può esprimere il suo consenso.
Nato, USA, Biden: per loro non c’è prospettiva di pace, mettiamoci il cuore in pace
Dicevo che l’altro maggiore ostacolo alla pace, oltre a Zelensky, è la Nato, legata a doppio filo all’amministrazione statunitense guidata da Biden. Il terzo player del conflitto, la Russia, non ha troppo bisogno di essere forzata ad intavolare trattative di armistizio (vedi ultima proposta di negoziato). Ne ha sicuramente più interesse dalla sua posizione di forza.
La Nato, lo sappiamo, non recederà mai dal proposito di completare i suoi piani di distruzione del nemico russo, funzionale al mantenimento dell’egemonia USA sui popoli europei. L’opzione ‘Nato morta, pace viva’ è però del tutto impossibile da realizzare.
Ma c’è un anello debole per gli invasati guerrafondai statunitensi: ed è la conferma o meno di Biden alla guida degli USA. Se venisse eletto quell’imbelle di Trump, allergico alle guerre e perciò inviso a NATO, CIA e deep state americano, la pace avrebbe (forse) una buona chance.
Dunque, la pace in Ucraina potrebbe passare, una volta di più, dal voto degli elettori.
Sempre ammesso che negli Stati Uniti alle prossime elezioni presidenziali valga il voto degli elettori reali e non di quelli virtuali o fittizi.
Appello finale
La pace può ancora dipendere dai voti dei popoli. In questi ultimi anni il voto popolare ha perso significato, essendosi il potere delle oligarchie dominanti emancipato dalle pastoie democratiche. Ma nella roulette della guerra è sul voto del popolo ucraino e americano che bisogna puntare per fermarla. Se non si punta, vince il banco o chi ha puntato sul nero. E il banco lo sappiamo a chi è in mano: è lo stesso arbitro/giocatore che ha puntato sul nero (cioè su morte e distruzione).
L’armistizio di belligeranti da sempre comporta concessioni di una parte verso l’altra e dolorose amputazioni territoriali. Anche l’Italia le ha dovute subire nell’ultima guerra mondiale. Era il costo amaro della pace. Ma con la pace il popolo italiano è risorto più forte di prima. Un bagno di sangue fino all’ultimo soldato per riconquistare un territorio a grande maggioranza non ucraina: è veramente questo ciò che vuole il popolo ucraino? E la concreta possibilità che il bagno di sangue coinvolga cittadini europei e americani è sostenuta dalla maggioranza compatta dei cittadini occidentali o solo dai politici che ci governano?
Spero che la mia proposta di promuovere libere elezioni in Ucraina possa attecchire nei politici e nel popolo italiano, con qualche iniziativa portata avanti da qualcuno più qualificato di me. Del resto, la nostra Costituzione esalta la democrazia, la sovranità popolare e ripudia la guerra. Non possiamo continuare ad asservirci a scelte e valori totalmente opposti.
Altrimenti si getti la maschera: la democrazia è un paravento, la nostra Costituzione è ‘l’orpello più bello del mondo’ e l’autoritarismo delle oligarchie occidentali una diffusa modalità di esercizio del potere, oppressivo del popolo.