Spesso, sui tetti delle chiese e sulle cuspidi dei campanili vediamo un gallo segnavento in rame antico, chiamato anemoscopio, dal greco osservare la direzione. Proprio il gallo ci guiderà nel cammino di scoperta dello sguardo interiore e positivo di cui l’uomo ha bisogno per cogliere ove si diriga il suo spirito.
La figura del gallo, che troviamo anche nei vangeli a proposito del
tradimento e della conversione di Pietro, era deputata al risveglio degli uomini al mattino presto1. Per questo, la terza vigilia della notte (da mezzanotte alle tre) si chiamava il canto del gallo, galli cantus (cfr. Mc 13,35).
Fu a causa di questa abitudine che codesto gallinaceo divenne il simbolo della vigilanza ed è come tale che si è posto su numerosi campanili di chiese cristiane. Forse, fu anche nello stesso senso che un capo israelita del sec. VI fece incidere un gallo sul sigillo personale al di sotto del suo nome e titolo, come narra 2Re 25,23.
Infine, alcuni disegni catacombali, mettendo a parallelo la notte nella quale il gallo annuncia l’aurora e i tempi di oscurità religiosa, in cui la fede cristiana afferma la vita dell’aldilà, ne fanno il simbolo della risurrezione.
Vigilanza, dunque, e resurrezione sono i due significati del gallo che diventano pregnanti per il cristiano. Alla comprensione del significato del gallo nella pericope evangelica, quale traccia di un percorso di rinascita spirituale e, dunque, anche psicologica, giovano le significative tracce della Tradizione, testimoniata dalla storia anche archeologica.
Lo studio delle pietre ci aiuta a “vedere” nell’anima ciò a cui diversamente non sapremmo nemmeno pensare.
Ecco il testo, che si trova all’ interno del cap. 22 di Luca, e passi paralleli, dopo l’istituzione dell’eucaristia, là dove Gesù rivolge le ultime raccomandazioni per la missione Lc 22, 31ss, e si discute di chi sia il più grande (Lc 22, 24-27), si preannuncia il combattimento contro satana (Lc 22, 31-34) e, proprio qui, Gesù pronuncia le parole che in quella notte, amaramente, torneranno alla mente e agli occhi di Pietro:
31Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; 32ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». 33E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». 34Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi».54Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. 55Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. 56Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». 57Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». 58Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». 59Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». 60Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. 61Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». 62E, uscito fuori, pianse amaramente. (Lc 22, 31-34; 54b-62)
Dal testo evangelico, che descrive un particolare momento di sofferenza e tradimento da parte di Pietro durante la passione di Gesù, prende il nome la Basilica di San Pietro in Gallicantu, in Gerusalemme, che ha, dunque, come tutti i luoghi santi della Palestina, un’origine evangelica testuale.
In epoca bizantina, sul luogo vi era una chiesa dedicata alle lacrime di pentimento versate da Pietro dopo il suo tradimento. Nel sec. XII vi sorgeva una chiesa denominata San Pietro in Gallicantu, nome che si è deciso di conservare fino ai giorni nostri. Una lunga scalinata di epoca romana dal quartiere alto scendeva alla città bassa, verso la Valle del Cedron. Essa esisteva già all’epoca di Cristo; è bello pertanto pensare che su di essa sia passato Gesù in compagnia degli apostoli, la sera del Giovedì Santo, dopo l’ultima cena avvenuta in una abitazione del monte Sion (Cenacolo), quando scese verso l’orto del Getsemani.
Le strutture portanti della chiesa superiore formano delle arcate decorative molto suggestive e sul fondo della cripta si possono vedere le rocce naturali della parete del monte, nella quale è scavata e i mosaici del pavimento bizantino. Questa digressione è per dire che la Basilica con le sue opere è in memoria del pentimento di Pietro, sottolineandone l’importanza spirituale, ma, nella prospettiva della logoterapia, anche terapeutica.
Le tre icone del cambiamento
Tre icone di stile orientale costituiscono il vero tesoro spirituale del santuario e rappresentano i tre passaggi fondamentali per la vocazione di san Pietro: il tradimento, il pentimento e la missione di capo della Chiesa, affidatagli da Cristo risorto sul lago di Tiberiade.
Proprio queste tre icone, con il loro significato di fede, contestualmente, ci danno il senso del fallimento apparente e della rinascita anche psicologica della persona, tanto che, dopo il pentimento per aver smarrito il senso della sequela di Cristo, Pietro, ricevuta da Gesù la missione di evangelizzare, non fu più triste, mentre, al momento del tradimento, al canto del gallo, uscito all’aperto, davanti all’evidenza della sua infedeltà -perdita del senso- pianse amaramente (cf Mt 26,75) .
I tre canti del gallo
Nei quattro Vangeli compaiono diverse discordanze narrative, sulle quali i commentatori sono intervenuti più volte cercando di ricostruire un quadro coerente. Se non ché, l’incoerenza dei dati appare tale solo se si parte da un punto di vista presunto, ma erroneo. Non conoscendo, noi lettori di oggi, probabilmente, il contesto storico del gallo e del suo canto notturno, penseremmo che il gallo abbia cantato una o più volte a seconda delle diverse redazioni e in tempi più o meno ravvicinati. Ma gli evangelisti e Gesù conoscevano, invece, il senso del canto del gallo nella misurazione delle ore della notte.
Processo psicologico dell’evento
Quale fu il processo psicologico di quell’evento? San Tommaso d’Aquino nel Commento al Vangelo secondo Matteo, spiega che non fu semplicemente il canto del gallo a risvegliare la coscienza di Pietro. Perché il gallo aveva già cantato una prima volta, e Pietro non si ricordò affatto di quello che gli aveva detto il Signore. Ma neanche il secondo canto del gallo lo ridestò. Era necessario che lo sguardo di Pietro si incrociasse con lo sguardo di Gesù. Per questo San Luca scrive:
“E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente” (Lc 22,60-62).
Lo sguardo di Gesù raggiunge nel cuore della notte; sempre! Pietro è un uomo che, pur avendo tradito, ma per paura, non ha completamente offuscato la coscienza. Il riferimento ai principî tiene aperto il cuore allo sguardo di Gesù e Gesù può fare finalmente breccia in lui.
Per questo, un autore spirituale del XVII secolo, il domenicano Padre Luigi Chardon, notò, seguendo l’intuizione di san Tommaso:
“Il gallo ha già cantato, ma San Pietro non ha riflettuto sulla sua funesta caduta finché Gesù non lo ha guardato con compassione. (…). Non appena San Pietro si accorse di questo sguardo d’amore, come svegliandosi da un torpore mortale, abbandonò immediatamente quel posto dove aveva tradito il suo Signore. Infatti, egli avvertì immediatamente che la sua presenza riempiva l’anima del suo maestro di violenti dolori, incomparabilmente più acuti di quelli provocati dalle torture e dalle umiliazioni dei suoi nemici” (Una meditazione al giorno sulla Passione del Signore, e meditazione del 14 agosto).
Ora, sempre secondo il Padre Chardon,
Giova molto poco che la tua coscienza con i suoi rimproveri canti come il gallo, che il predicatore, il direttore spirituale o il superiore facciano udire la loro voce, che ripetano spesso le loro convinzioni, che insistano tutti i giorni con gli stessi richiami e con le stesse pratiche.
Tu hai bisogno che Dio ti guardi nell’intimo e che ti illumini con gli splendori divini delle sue luci. Non basta che San Paolo predichi, è necessario che lo Spirito Santo apra il cuore di Lidia (“una donna di nome Lidia ascoltò e il Signore le aprì il cuore perché comprendesse ciò che San Paolo diceva” (At 16,14). Il primo canto del gallo non produce nessuna impressione sull’animo di San Pietro, perché gli occhi di Gesù non sono là. Domandagli non solo che non li distolga mai da te, per timore che tu cada in un sonno letargico e che il nemico possa vantarsi di averti sconfitto”2.
Benché il credente nel momento della difficoltà non possa incontrare il Gesù terreno, nella preghiera davanti al Santissimo Sacramento, in chiesa, si trova al cospetto di Gesù nella sua divinità, ma anche nella sua umanità, che è dotata di una psiche, così la vicinanza fisico spirituale del Sacramento lo mette in comunione con la santa umanità di Gesù, con la sua psiche equilibrata che sul penitente influisce benefica, come quando, affranti dal dolore incontriamo una persona capace di trasmetterci rassicurazione e sicurezza. Le sue parole di grazia faranno il resto.
Il tradimento: Pietro ebbe paura
Due icone sono poste ai lati del presbiterio: a sinistra, la scena del tradimento e, a destra, quella del perdono offerto da Gesù. L’icona principale, in cui S. Pietro piange in una grotta, è posta nell’abside.
Pietro, i cui tratti psicologici nei Vangeli sembrano corrispondere a quelli di una persona impetuosa, generosa, ma anche avventata e che non conosce molto i moti del proprio animo, giunge a tradire Gesù per paura di perdere la propria vita.
Egli non è memore di queste parole di Gesù, pronunciate dal Maestro ben prima di quegli eventi (cf Mt 16, 24-27):
24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima? 27Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
Il riferimento etico e di salvezza metafisica, che viene da fuori, da Cristo, e non da Pietro, dall’uomo, erano presenti alla memoria, ma non interiorizzati dal cuore di Pietro. Pietro non aveva ancora preso su di sé la croce. Non stupisce, allora, che venga a trovarsi rapinato dalla paura. Pietro avrà bisogno di compiere un processo di identificazione con il messaggio, ma soprattutto con il Signore crocifisso, che lo farà piangere amaramente, ma anche con il Risorto, che lo costituirà nella gioia risanante.
Non aveva ancora compreso che la croce c’è. Frankl, forse, direbbe che, fuggendo la sofferenza, il dolore, l’umiliazione, l’uomo soccombe ad essa, ne resta schiacciato. Abbracciando, invece, la verità della sofferenza, del dolore, può vincere, trionfarne, trasformarla in prestazione. Diremmo noi che in Gesù, che è verità e trasparenza, l’uomo trasforma il suo modo di vedere e trasforma sé stesso. Non è più nella paura, perché colui che è salito sulla croce prima di lui, ora lo porta e non lo lascia solo sulla croce.
Se l’uomo si attacca alla vita, invece, si attacca alla vita passata, all’unica che conosce, essa lo seppellisce nel dolore. Se abbandona la vita precedente, la rinnega, lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Allora, vive.3
Macerazione interiore nella verità
Qui, Pietro è amaramente accovacciato, secondo la posa monastica, in una grotta nera e priva di luce. È l’immagine dello sconfortato, avvolto dal buio della fede, ma anche dell’umiliazione, del rimorso, della macerazione dei pensieri e dei sentimenti sulla propria condizione di perdizione spirituale ed esistenziale. È una situazione analoga a quella del Figliol Prodigo e dell’Innominato del Manzoni.
Agli occhi di Pietro, lo sguardo di Gesù apparirà così vero ed eloquente che, senza che Gesù dovesse giudicarlo, Pietro si giudicava da sé, al punto di uscire e piangere amaramente. E quell’ uscì e pianse amaramente, al passato remoto, indica un’azione passata, conclusa, con un significato definitivo.
Uscì senza poter più rientrare. In quella condizione spirituale non c’era spazio per lui davanti a Gesù. Pianse di amarezza, non compiangendo sé stesso, ma giudicandosi nella verità. È il riconoscimento della verità e del principio di realtà. Le cose stavano come gliele dicevano gli occhi innocenti e disarmanti di Gesù. Pietro aveva tradito senza giustificazioni; era così, era un fatto ormai evidente.
La novità: l’iniziativa di Gesù
Il gallo ha cantato nel cuore della notte. Pietro ha tradito tra il primo e il secondo canto. Ma ecco la novità! Quel Cristo, che tornerà nella gloria e che ha preso la propria croce volontariamente, volentieri, pur nel tradimento in atto di Pietro, non perde l’occasione di porgergli la mano a chi sta disperdendo la propria esistenza, come nell’episodio in cui Gesù salvò Pietro dalle acque, come è narrato in Mt 14, 25-33:
25Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 26I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». 28Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».
Pietro, in quel caso, teme che Gesù sia un fantasma e richiede una prova. Mette alla prova Gesù. “Ordina che venga a te camminando sulle acque”. Pietro vuole che Gesù gli risolva ogni problema, ma non così l’uomo cambia; non così supera le sue paure. Prima deve acquistare fiducia.
Gesù acconsente a farlo camminare, ma Pietro non ha ancora capito di doversi fidare e si lascia nuovamente sopraffare dalla paura. L’uomo sente di sprofondare e di essere solo!
Nella cella del cuore
Nella caverna, Pietro sente Gesù che dice come siamo uomini di poca fede. Non riusciamo a non affogare, a non morire perché non abbiamo fede nelle risorse che lui ha posto in noi. Si tratta di andare a scavare in profondità nel campo per trovare il tesoro prezioso, il tesoro del Regno (Mt 13, 45).
Quanta malinconia sa suscitare questa icona! Lo sguardo di Pietro davanti alla verità di un amore, quello suo per Gesù, e quello di Gesù per lui. Credeva di nutrire un amore forte, ed era insufficiente, fragile.
La verità
Ma cosa fu per Pietro quel momento in cui il gallo cantò? Fu il momento della verità. Eppure, non aveva già in precedenza chiesto a Gesù, la notte del miracolo della pesca abbondante, di allontanarsi da lui, peccatore com’era (cf Lc 5,8)?
Cosa fa di diverso questo canto del gallo? Apre in lui la porta allo sgomento, quello raggelato dell’amante, che si rende conto di avere appena lasciato andare via l’amato senza più poterlo ritrovare! Forse, si tratta dell’immagine nostra e del nostro sguardo, improvvisamente costretto a inchiodarsi sulla miseria dell’incapacità di amare. Quando l’uomo è incapace di amare, non è nella possibilità di amare, diventa incapace di comunicare e si sente nella morte, privo della speranza dell’alterità, in questo caso, dell’alterità di Dio.
La risposta di Gesù
Ma Gesù non si ferma; al contrario, reagisce affidando a Pietro la sua missione:
15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». 17Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene? e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle…» (Gv 21,15-19).
Purificato dalla conoscenza del dolore, della perdita, Pietro ora è capace di proiettarsi oltre. Grazie all’amore vero si lascerà portare anche dove non avrebbe mai voluto arrivare.
Qui, Viktor Frankl, come in più parti abbiamo sottolineato nei precedenti articoli, ci direbbe non che nonostante la sofferenza, ma attraverso la sofferenza, grazie ad essa, accolta in una nuova luce, in nome di un senso riscoperto, trovato, si trova una leva per il cambiamento.
Conoscenza e responsabilità
Dobbiamo prendere conoscenza e coscienza delle nostre paure, ammettendo di averle, di provarle, di sentircene vinti. A quel punto, riusciamo a vedere la mano di Gesù. Naturalmente, nelle ordinarie vicende, la mano di Gesù si manifesta nell’amico che soccorre e, in sede psicoterapica, si riconosce nella mano del terapeuta, che invita a prendere coscienza della realtà nella quale, da soli, non si può fare niente. Prendere coscienza chiama poi alla responsabilità davanti alla vita, e responsabilità significa rispondere: ora che inizi a sentire la voce che chiama, divieni capace di rispondere, di essere responsabile poiché la presenza della voce dà senso4. Questo fa sì che si superi la nevrosi noogena.
Lo sguardo misericordioso dell’amico, del terapeuta, del genitore, del Padre Spirituale operano a immagine dello sguardo di Gesù, aprendo una linea di amore tra loro e chi è nella fragilità. Una concezione questa che rivoluziona le relazioni alla loro radice anche in ambito terapeutico. Per questo ,Frankl, quando iniziava un trattamento psicoterapico, spesso non sapeva come avrebbe agito nella relazione e aspettava di rendersi conto, dalle parole del paziente, di conoscere quegli elementi che lo stesso paziente gli avrebbe reso noti e tramite i quali avrebbe potuto operare l’intervento.
Frankl non giungeva alla seduta con la ricetta precostituita, con la soluzione pronta in base a un chiaro quadro clinico. Costruiva una relazione di vicinanza, ed empatia, e di apprezzamento dei valori del soggetto.
Con ciò, non si nega il valore di quella che è denominata distanza terapeutica e dei quadri di riferimento clinico, ma essi vanno collocati all’interno di un amore che solo può rigenerare la persona.
Le figure di riferimento
Le diverse figure, vicine alla persona, la accompagnano nel processo di vera macerazione interiore, mentre ripensano ai fallimenti, alle responsabilità nei confronti di coloro che sono stati trascinati da esse nella voragine dell’errore e del peccato.
Colui che si pente e che vuole cambiare deve scoprire il nesso tra errori, peccati e fragilità. Chiaramente, la questione spesso non si gioca solo sul piano morale, occorre attenzione a quelle che si configurano come vere e proprie patologie, ma non al di fuori di questo orizzonte valorizzante e motivante al di là delle stesse forze umane.
Il pentimento
La fase interiore della macerazione è critica. La attraversò anche Giuda, che riconobbe il suo tradimento, ma, retto solo sulla consapevolezza di essere stato ingiusto, perse la speranza e mai approdò ad essa. Perseverando nel suo modo di essere, sicuro del proprio punto di vista, decise di trovare da solo la soluzione nell’autopunizione suicida. Ma questo non fu un vero pentimento, ovvero una conversione nel modo di pensare e di sentire. Fu un’autopunizione. Gesù, invece vuole il perdono. Giuda, al contrario, non si lasciò toccare dagli occhi di Gesù, dal loro perdono. Si limitò al dato di realtà, alla verità umana, ma perdendo di vista il senso della vita nella sua interezza.
Perdonare sé stessi?
L’uomo, da solo, non è capace di perdono né verso gli altri, né verso sé stesso. Spesso, abbiamo sentito dire nei film, che riflettono sui drammi umani, che occorre perdonare sé stessi. Ma dovremmo capire il senso del perdono di sé stessi. L’uomo, in realtà, non può per natura perdonarsi perché non può essere giudice di sé stesso: nemo judex in domu sua.
Quando l’uomo si erge a giudice di sé o si autopunisce come Giuda o, se vuole perdonarsi, tende a modificare le norme morali per rendere la propria vita accettabile, o a non ritenerle riferite a sé stesso e cerca l’approvazione della comunità sociale. Tre percorsi illusori o, come quello del perdono sociale, gravemente imperfetti. Soluzioni non solo illusorie, ma gravemente devianti rispetto alla realtà, al principio di realtà, alla verità.
Giuda non incontra gli occhi di Gesù, Pietro sì.
Giuda, diversamente da Pietro, non incontra gli occhi di Gesù. Soccombe condannandosi ad una morte fisica, che prima era già stata spirituale. Egli incontrò la Luce, ma senza conoscerla. Pietro, invece, rappresentato accovacciato nella grotta nera, priva di luce, indica la discesa nelle profondità dell’essere, dell’anima, nella meditazione amara e umile. Rappresenta l’uomo che accetta di combattere contro sé stesso inteso come l’uomo vecchio, per poi uscire alla luce pienamente rinnovato e capace di rendere testimonianza alla Luce e alla Verità. Egli stesso, da morto che era, diviene luce. In questo combattimento si scopre il senso di quelle parole del Padre nostro, et ne nos inducas in tentationem, tradizionalmente tradotte con e non indurci in tentazione, le quali non intenderebbero dire che Dio spinga alla tentazione, nel senso di spingere a fare il male, ma che spinge alla prova, come quando lo Spirito spinse Gesù nel deserto (Mc 1, 12) dove affrontò ogni genere di prova, tentato da Satana (Mc 1, 13), similmente alla prova nell’Orto del Getsemani. Gesù e colui che lo segue, portando la propria croce, sono sottoposti a prove che non possono essere evitate. Devono trovarvi il senso e il senso è
«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Gv 12,27).
In questa vera e propria discesa agli inferi, Pietro si ricorda:
Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte.
E ricordò il senso delle parole di Gesù e le scoprì vere nella propria vita. Divenne testimone e apostolo, superando ogni paura,
Il perdono e la missione
Lo sguardo di Gesù non fu di disapprovazione, né di rimprovero. Non è nemmeno detto che sia stato di misericordia o di pietà. Allora, il Signore, voltatosi, guardò Pietro. Come già detto, al centro dell’abside segue il cammino di macerazione interiore di Pietro nella grotta, ma subito dopo, a destra, ecco l’icona della missione affidata a Pietro. Vediamo Gesù e Pietro di fronte l’uno all’altro, come già nell’icona del tradimento, là, sullo sfondo del Tempio, Pietro e Gesù, sullo sfondo del cenacolo; qui, mentre entrambi sono sullo sfondo delle rocce, allusione a Cristo che è la roccia.
Nell’icona del tradimento, al centro, la prima volta il gallo del risveglio, della resurrezione promessa e qui, invece, in basso, le ceste dei pani e dei pesci sormontati dal fuoco dello Spirito e, più in alto, tra i flutti agitati del lago di Tiberiade, la barca della Chiesa tra i marosi, indicando la missione perigliosa della Chiesa.
Alcuni spunti terapeutici
Sul piano psicologico, gli spunti sono diversi e interessanti. Gesù, come il Padre misericordioso della Parabola, non muove il rimprovero a Pietro, rimprovero che non si rivelerebbe di alcuna utilità, essendo Pietro pentito. Ma lo accoglie, lo comprende nella sua debolezza e lo coinvolge nella missione, promettendo un’abbondante pesca. La missione di Pietro non è stata compromessa dalla sua debolezza e dal peccato della menzogna. L’amarezza del pianto l’ha lavato dalla colpa, come un battesimo, il battesimo della compunzione, perché egli è destinato, comunque, a qualcosa di grande non solo per sé, ma per tutti. È chiamato a pascere i suoi agnelli in forza dell’Amore per Gesù.
Compito del terapeuta
Davanti al fallimento colpevole, chi è chiamato ad aiutare chi avesse sbagliato, deve vedere e indicare la direzione. Deve sollecitare a riprendere con fiducia la propria vocazione nella vita. La perfezione della vocazione, infatti, non dipenderà principalmente dall’uomo fallibile, sappiamo che è tale, ma dalla fede nella Sua potenza, nella Sua vocazione, di Dio che chiama. Questa azione divina può trovare nello psicoterapeuta, nell’educatore, nel genitore, nel Padre spirituale un amplificatore e facilitatore dell’intervento di Dio, colui che chiama alla responsabilità, a saper rispondere alla propria vocazione.
Aiuterà ridare fiducia a chi è stato in errore o in peccato. Gesù, per chi ha un compito verso il debole ferito, è il modello.
Dall’altro canto, ogni uomo dovrebbe essere educato a comprendere che la propria vocazione a realizzare il piano di Dio e la propria ricevuta natura non vengono necessariamente compromesse dal male che egli potrebbe compiere, a meno che sia egli stesso a rifiutare il progetto divino.
Anche per chi non crede, terapeuta o paziente, è importante fidare in una visione comunque positiva dell’uomo e in una fiducia illimitata in lui poiché l’uomo è creato buono. Far leva sulla positività della sua esistenza è l’unica strada per salvarlo umanamente e soprannaturalmente. Caino, infatti, fu segnato da Dio con un Tau sulla fronte perché nessuno gli potesse causare del male.
Qui avrà luogo la “resurrezione” della persona ferita, la sua guarigione e la ripresa della propria missione nel mondo. In termini Frankliani, la persona porrà in atto una prestazione attribuendo una volontà di senso.
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- Cf. Galbiati, Enrico Dizionario enciclopedico della Bibbia e del mondo biblico, Massimo, Milano 1986. ↩︎
- Louis Chardon O.P., Una meditazione al giorno sulla Passione del Signore, ESD-Edizioni Studio Domenicano, 2013, meditazione del 14 Agosto. ↩︎
- Cf Riccardi P., Liberi dal passato in Parole che trasformano. Psicoterapia dal Vangelo, 2015, Cittadella, 51-55. ↩︎
- Cf Frankl, Viktor, Si può insegnare e imparare la psicoterapia? Scritti sulla logoterapia e analisi esistenziale, Edizioni Magi, 2009, 52-53. ↩︎
Articoli precedenti
21 Ottobre 2023 RICERCA DI DIO E DOMANDA DI SENSO. Psicologia e Fede teologale in dialogo.
4 Novembre 2023 LOGOTERAPIA E FEDE TEOLOGALE IN DIALOGO. La prospettiva umanistica di Viktor Frankl (1)
18 Novembre 2023 LOGOTERAPIA E FEDE TEOLOGALE IN DIALOGO. Viktor Frankl e il Dio “inconscio”(2).
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2 Gennaio 2024 LOGOTERAPIA E FEDE TEOLOGALE IN DIALOGO. Viktor Frankl e il valore della persona sofferente (5)