DELLA POLITICA COME DOVERE MORALE E ATTO D’AMORE. Da don Sturzo a Papa Francesco (1)

Alessandro Manzoni in una lettera del 28 febbraio 1848, indirizzata ad Antonio Rosmini scrisse: “Io laico in tutti i sensi”, sottolineando così l’approccio laico rispetto alla sua fede cattolica e la convinzione che l’uomo deve conquistarsi la propria libertà anche rispetto alla corruzione e all’oppressione dello Stato e della Chiesa.

Quello che unisce tra loro il pensiero dei cattolici liberali italiani è l’idea filosofica ed antropologica di persona

libera e responsabile. Seguendo questo filo rosso, tra tanti nomi, spicca quello di Luigi Sturzo, senza comunque dimenticare i più moderni come, ad esempio, quello di M. Novak1.

Se Rosmini è il nome più illustre del pensiero liberale cattolico dell’Ottocento, Sturzo è il maestro del pensiero liberale cattolico del Novecento.

Il nome di Rosmini ricorre più volte negli scritti di Sturzo, in particolare in “Chiesa e Stato” e negli articoli del periodo 1946-1959, di solito associato a quelli di Gioberti, Manzoni, Balbo, Ventura, Montalembert, Ketteler, cioè ai personaggi più rappresentativi di quel cattolicesimo liberale che aveva soprattutto a che fare con gli avvenimenti politici del 1848 che rappresentavano un serio tentativo di un impegno dei cattolici nelle lotte politiche per l’instaurazione di ordinamenti costituzionali fondati sui principi fondamentali delle libertà religiose, civili e politiche.

Un calatino “DOC”

Don Luigi Sturzo – Fonte Wikipedìa

Luigi Sturzo nacque in quel di Caltagirone il 26 novembre 1871 ed è parte di un gruppo di personaggi dei quali, in piazza, si discute volentieri, scandendone chiaramente nome e cognome, e perché no, con una punta di orgoglio campanilistico. Altri ve ne sono, evocati più raramente ed in modo più sommesso…

La famiglia Sturzo faceva parte dell’aristocrazia agraria ed era imbevuta di una vivida sensibilità religiosa. Malgrado l’appartenenza a una borghesia privilegiata, il cuore di Sturzo batteva per i più bistrattati. Credeva nella libera iniziativa, però riteneva fosse dovere di ogni sistema assistere i più sfortunati.

Il padre, Felice, possedeva molti terreni a colture tradizionali e alcuni giardini di agrumi, uno di essi nella tenuta di Russa dei Boschi, all’interno del Bosco di Santo Pietro. Luigi, già da bambino, amava molto i frequenti soggiorni in campagna e non perdeva occasione per trattenersi in compagnia dei contadini.

Fonte BeWeB

Per lavorare nei loro terreni erano impiegati uomini “a giornata” che a quel tempo venivano “scelti” in Piazza. Felice aveva fama di uomo giusto e per questo rispettato. Fu molto presente nella vita civile e, insieme ai figli, si impegnò nelle opere sociali cattoliche. In particolare nel 1897, al fianco del figlio Luigi, fu il primo presidente della Cassa Rurale San Giacomo.

In quegli anni, la città di Caltagirone conservava le caratteristiche di un grosso centro agricolo caratterizzato dal latifondo e da un’estesa proprietà comunale poiché proprio il Comune possedeva la maggior parte della terra. Questo patrimonio si era ampliato durante i secoli, sin da quando la città era stata alleata dei Normanni e questi ultimi, per premiarla, avevano donato un grande bosco con un bellissimo sughereto nella riserva naturale di Santo Pietro. Durante la dominazione dei Mori, le tasse venivano riscosse per Comune, non per persona; a causa di questa modalità, nel paese, si pagavano pochissime tasse.

Le “quotizzazioni

Sturzo pensò che, cambiato il periodo storico, si potessero cambiare anche le regole. Progettò, così, di dividere le terre tra i contadini per farli diventare proprietari, sostenendo, inoltre, che non doveva trattarsi di piccoli lotti, ma di buone porzioni di terra, che avrebbero potuto dare una maggiore rendita. I lotti, a suo parere, non avrebbero avuto senso senza una casa rurale.

Così, nel 1951, vennero destinate ai contadini le terre demaniali della Contrada di Santo Pietro. Il sughereto, però, non venne toccato e rimane tuttora patrimonio demaniale. I vari appezzamenti furono assegnati ciascuno ad ogni famiglia che ne facesse richiesta e che non possedesse alcuna proprietà. La mia famiglia ne ricevette una porzione da coltivare, in cambio di un costo minimo d’affitto.

Nel 1952 sorse una casetta: una casetta di pietra dove sono tornata più e più volte. Una casetta a cui tutti fecero festa, umile, ma con il pregio di offrire un ricovero nei giorni di lavoro come in quelli di svago. Ora è un rudere spettrale, ma al suo apparire ricevette onori degni di una reggia.

Nel 1956 le terre vennero cedute definitivamente, con un atto ufficiale, ai contadini e mio nonno, “ù cicuriàru”, divenne “proprietario terriero”. Il governo tentava, in tal modo, di rendere più fruttuose queste zone; l’idea era che un certo numero di famiglie si trasferisse a Santo Pietro in modo da evitare il viaggio tra la terra da coltivare e il paese nel quale si abitava. Il tentativo si ripeteva da secoli senza risultato.

Già Franchetti e Sonnino nel 1876, durante il loro viaggio in Sicilia, descrivevano i modi primitivi della produzione agricola e l’isolamento primordiale in cui vivevano i lavoratori della terra. “Però a questa sensazione d’isolamento spesso non risponde il fatto; ché l’ospitalità siciliana è tale da lasciare in chi l’ha sperimentata la più grande memoria”2.  

Spiritualità e pensiero

Francesco Hayez, Antonio Rosmini, 1853-1856, O/t,
Milano, Galleria d’Arte Moderna – Fonte Wikipedia

La spiritualità e il pensiero di Sturzo si nutrirono della personalità della figura storica di Rosmini. Durante il suo esilio a Londra che durerà, passando per Parigi, dal 1924 al 1940 (poi si recherà a New York fino al ritorno in Italia nel 1946), scrive a P. Bozzetti, Padre generale dei rosminiani:

“Io prego tanto il vostro venerato fondatore ogni giorno che mi conceda di vedere l’Italia, ritornata libera, senza la tirannia fascista” (L. Sturzo, 1975, p. 398)3.

Sui rapporti Sturzo-Rosmini, una testimonianza di De Rosa nel suo “Sturzo mi disse”. In uno dei primi incontri con Sturzo (2 aprile 1955) De Rosa gli chiese i motivi che lo avevano indotto ad interessarsi attivamente di politica e Sturzo rispose ricordando: “Insegnavo filosofia al Seminario di Caltagirone, dove avevo introdotto lo studio della logica rosminiana (ride ricordando queste cose). Al Seminario insegnavo Rosmini, ma scrivevo di Tomismo nella rivista…” (De Rosa, cit. Morcelliana, Brescia, 1982, pag. 25).

Il ricordo di Rosmini torna in una conversazione di tre anni dopo (aprile 1958): “Tornato a Caltagirone, dopo il periodo romano, insegnò filosofia e sociologia al Seminario di Caltagirone… Continuò ad insegnare fino al 1906…” (De Rosa, cit., pag. 81).

La sorella Nelina

Il conforto e il sostegno di Nelina (Emanuela), la gemella di Luigi, furono   molto importanti durante il suo esilio: si spendeva senza risparmiarsi per il fratello nonostante questo lavoro rimanesse nell’ombra.

Nel carteggio col suo gemello si capisce che fu come il suo “alter ego”: durante l’esilio di Luigi mantenne, per quanto possibile, i rapporti con i compagni di partito. Nel 1944 Nelina rappresentava il fratello a Caltagirone e in Sicilia soprattutto in occasione della visita di politici e ministri; fu candidata alle elezioni amministrative calatine dell’aprile-maggio 1946 risultando nella Democrazia Cristiana la prima degli eletti. Espresse però giudizi negativi sulla classe dirigente siciliana della Democrazia Cristiana, in particolare per aver favorito leggi agrarie che penalizzavano molto i proprietari.

Gli fu vicina sempre, a volte anche all’estero. Curò tutti gli affari di famiglia, la vendita delle arance che provenivano dalla campagna di Russa dei Boschi, la vendita del grano proveniente dalla tenuta d’Altobrando, ecc.

Nelina donò anche una somma per l’edificazione di una nuova chiesa parrocchiale, quella di Sant’Anna, che sorse nella zona nuova della città. Ma una cospicua parte del suo patrimonio andò per l’edificazione del Seminario estivo, oggi Seminario a tutti gli effetti.

Mario Scelba, suo concittadino, la descrisse come una donna colta, molto elegante ed anche molto indipendente per il tempo in cui visse. L’epitaffio sulla sua tomba nella cappella Sturzo al cimitero di Caltagirone recita: “Benemerita del culto e del povero. Lontana dal fratello di cui visse l’idea e il travaglio.”

Fratello che amava moltissimo la natura e il creato capaci di elevarlo a Dio creatore (come non riconoscere lo stesso pensiero di Rosmini); gli piaceva camminare per la montagna della “Ganzaria”, a pochi chilometri da Caltagirone e ne percorreva i sentieri in lungo e in largo.

Gli “Incatusati”

Scuola della ceramica – Fonte Wikimapìa

In particolare, era affascinato dalle sorgenti d’acqua pura che qui sgorgano spontanee. Nello stesso tempo egli si chiedeva come alleviare la sete di cui da sempre soffrivano i suoi concittadini. Pare che fu proprio questo uno dei motivi per cui si candidò all’amministrazione della città. Don Luigi pensò di intercettare l’acqua e incanalarla in gallerie (gli “incatusati”, ancora oggi visibili) costruite in modo che l’acqua potesse essere portata in apposite vasche e, tramite motori a nafta, spinta fino a Caltagirone. Tutto il progetto e l’attuazione furono condotti d’intesa con il comune di San Michele di Ganzaria. Ebbe la capacità di coniugare l’amore per la natura con la sua utilizzazione per il bene comune.

Dal 1905 al 1920 fu pro-sindaco (in quanto sacerdote non poteva assumere la carica di sindaco) di Caltagirone. Sturzo capisce che il “non intervento” in politica dei cattolici è puro autolesionismo. Capisce che per mutare rotta bisogna assumere una posizione pubblica: gli inviti a sporcarsi le mani nelle Istituzioni gli regalano una ribalta nazionale.

Lo scontro con gli avversari è da subito frontale nel nome di una religione che non ammette compromessi. Con i mafiosi Sturzo si è scontrato per la gestione dei feudi nella piana di Catania, li ha individuati come il principale nemico dei poveri, di quanti abbisognano di un lavoro. Non voleva essere solo sacerdote, ma sacerdote impegnato per la sua comunità; studia e prepara il suo gruppo di collaboratori.

Si impegnò molto a favore dell’istruzione e della formazione nelle scuole civiche. Fondò la “Scuola della ceramica” e investì quanto possibile in quella direzione. I suoi sforzi andavano contro corrente se, nel 1894, il Procuratore della Repubblica di Caltagirone, inaugurando l’anno giudiziario, diceva:

“Il saper leggere e scrivere ha dato luogo a molti inconvenienti e specie nelle contese elettorali, alla rovina delle masse.”

E nelle sue memorie Giolitti ricorda che da Caltagirone, in quegli stessi anni, venne la richiesta dell’abolizione dell’istruzione elementare perché i contadini non potessero, leggendo, assorbire idee nuove.

Nel suo ultimo “Appello ai siciliani” ( QUI ) il 24 marzo 1959 il sacerdote calatino insiste affinché si aprano “Scuole serie, scuole importanti; scuole numerose, scuole che insegnano anche senza dare diplomi, al posto di scuole che danno diplomi e certificati fasulli a ragazzi senza cultura.” 

Don Luigi Sturzo e Antonio Rosmini

Don Luigi Sturzo – Fonte Wikipedìa

Ritroviamo in Sturzo il pensiero del Rosmini che rivendica il diritto elementare delle masse ad un “minimo per vivere”; il diritto del lavoro; l’idea che la teoria politica e sociale ha il suo perno nel concetto della persona umana che non è da confondersi con l’individuo. Il Roveretano pose in rapporto dialettico lo Stato e l’individuo.

Don Sturzo e la  “Rerum Novarum”

Conferenza tenuta a Catania il 20 maggio 1900
per l’Enciclica Rerum Novarum,
in A.L.S., parte IV, Scritti, fasc. 91, c. 1
Fonte Note di Pastorale Giovanile

Dopo il 1891, la pubblicazione della “Rerum novarum”, prima enciclica sulla condizione operaia, e lo scoppio delle rivolte dei contadini e degli operai delle zolfatare siciliane (i cosiddetti Fasci), spingono Sturzo a orientare i suoi studi filosofici verso l’impegno sociale. Il suo obiettivo era quello di stimolare una coscienza sociale e politica tra i cattolici siciliani.

Nel 1895 fonda il I comitato parrocchiale e una sezione operaia nella parrocchia di S. Giorgio. Una delle più antiche del paese, questa chiesa fu costruita dai genovesi giunti a Caltagirone intorno all’anno Mille, che la costruirono per celebrare la vittoria contro i Saraceni.

Fonte BEWEB

È il 1897 quando, a Caltagirone, fonda il giornale “la Croce di Costantino” di orientamento politico-sociale. Il giornale suscitò le ire degli avversari politici a motivo del metodo diretto e coraggioso che Sturzo utilizzava per comunicare e divulgare le proprie idee. Il 20 settembre 1897, per intimidirlo, bruciarono pubblicamente una copia del giornale nella piazza principale di Caltagirone. Il gesto non ottenne i risultati sperati tanto che, nell’Ottobre dello stesso anno, Sturzo fu denunciato per una riunione tenuta a Militello in violazione delle norme di pubblica sicurezza e, nel 1902 venne coinvolto nei tumulti esplosi a Palagonia, poiché sostenne un progetto di compartecipazione dei salariati agricoli alla gestione di un grosso fondo di proprietà di un’opera pia di Palermo.

Sturzo, però, ci ammonisce:

Voi non credereste che la mia vocazione politica non fu per niente una vocazione, né un’aspirazione della mia giovinezza, né un’attrattiva fantastica o sentimentale; fu una conseguenza non cercata della mia attività religioso-sociale presso operai e contadini4.

Nell’esercizio del suo ministero sacerdotale, infatti, aveva avuto modo di constatare la grande miseria del popolo ed aveva quindi sostenuto il progressivo inserimento dei cattolici italiani nella vita civile e politica dello Stato.

Il piccolo Giacomo

Casa natale di Don Sturzo – Fonte BeWeB

Accanto al palazzo a due piani abitato dalla famiglia Sturzo, si trovava “a putìa” (il negozio) di un calzolaio, tal don Eugenio, “u’ scarparu”. Qui, mio padre, che nel 1950 aveva otto anni, andava “a bottega” dopo la scuola poiché, a quel tempo, “du màstrù” si mandavano i bambini per imparare un mestiere. Falegname, calzolaio, ma mai “a spasso” si doveva stare. Chissà se anche questa giovane figura di lavoratore, avrà attirato l’attenzione della famiglia Sturzo (non di don Luigi che non vide più Caltagirone neanche dopo il ritorno dall’esilio) sui diritti civili che a quel tempo non erano ancora civili.

I ricordi dei giovani di quei giorni e dei loro padri raccontano gesti fatti di cappelli in mano, di Vossignoria e teste basse. Raccontano di famiglie numerose poiché le braccia servivano come indispensabili attrezzi di lavoro per coltivare la terra, per costruire case, non per portare sottobraccio libri di scuola. Scuole che poi erano poche e lontane da raggiungere per la maggior parte dei bambini.

Raccontano di bambine mandate “a padrone”, a servizio nei palazzi dei marchesi, lontano dalle famiglie che vedevano un paio di volte all’anno al momento di riscuotere la paga.

Superfluo aggiungere che per chi esercitava il potere sotto forma di oppressione e umiliazione lo status quo andava difeso ad ogni costo.

Dal canto suo, Sturzo, fin dall’inizio del suo programma, cercò di far capire ai suoi concittadini che il Comune non era proprietà privata dei notabili, ma bene comune. E tale rimase il suo progetto fino alla fine dei suoi giorni.

Gruppo di bambini in un carruggio, 1954 – Foto originale

La vita degli Sturzo ruotava intorno a quella casa e alla vicina parrocchia di San Giorgio. Il palazzo, in via Santa Sofia, è ancora oggi visibile, riportato a come era al tempo della famiglia. Si tratta di un edificio austero, semplicissimo nella sua architettura e si trova a pochi passi da uno slargo dove, come si usava all’epoca, i bambini, tra cui il piccolo Giacomo, “dopo bottega”, si riunivano a giocare. Molti erano i figli e, nelle strade, nei “carrùggi” e nei “cuttigghi” (sorta di piccolo cortile interno agli edifici) vi era sempre una gran folla di bambini.

(La seconda parte dell’articolo sul giornale di domani)


  1. Novak, M., 1987, “Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo”, Studium, Roma.
  2. Franchetti, L.- Sonnino, S., 1974, “Inchiesta in Sicilia”, Introduzione di E. Cavalieri e nota storica di Z. Giuffoletti, I vol. L. Franchetti, “Condizioni politiche e amministrative della Sicilia; II vol. S. Sonnino, “I contadini in Sicilia”, Firenze, Vallecchi (1^ ed. 1876; 2^ ed. 1925).
  3. Sturzo, L., 1975, “Scritti inediti”, a cura di F. Rizzi, Cinque Lune-Istituto Luigi Sturzo, Roma.
  4. Naro, M., “Con il Vangelo nascosto in petto: il cammino spirituale di Luigi Sturzo”, in “Senza pregiudizi né preconcetti per gli ideali di giustizia e di libertà, nella loro interezza”, Memoria del novantesimo anniversario dell’Appello ai liberi e forti” (Caltagirone, 27 febbraio 2009), Atti pp. 13-42.

Per notizie sulla vita di don Luigi Sturzo:

  • Busacca, L. e P., 2011, “Amato figlio… Frammenti di vita quotidiana della famiglia di Felice e Caterina Sturzo”, Effatà Editrice.
  • Caruso, A., 2012, “I siciliani”, Neri Pozza Editore, Vicenza.
  • Vitale, M., sito web: “Don Luigi Sturzo, un maestro per l’Italia di oggi e di domani”.
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Autore: Francesca Bronzetti

Insegnante specialista di Religione Cattolica nei licei e di Teologia alla Università Cattolica del sacro Cuore di Milano.

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