Leggendo le cronache non possiamo chiudere gli occhi di fronte a fenomeni sociali di atti criminosi, dal femminicidio al bullismo: quotidianamente i media ne parlano. Sintomo di quale cultura? Sintomi di quale insoddisfazione? patologia individuale o sociale?
Sono molte le domande e le riflessioni da fare che spettano tanto al politico quanto al professionista della
salute mentale, e perché no, anche al religioso. Ma un dato è certo, vi è un certo malessere del vivere che trova nella sintomatologia più varia manifestazione. Ad esempio, la depressione che colpisce nel mondo circa 121 milioni di persone. In Italia le statistiche parlano chiaro: una persona su tre ne soffre. E dato allarmante, sempre più giovani ed adolescenti, ne vivono la drammatica condizione. Uno studio ISTAT, riportato dalla fondazione Umberto Veronesi, segnala che nel 2021 sono stati 220mila i ragazzi, tra i 14 e i 19 anni, insoddisfatti della propria vita e, di certo, la pandemia ha contribuito ad aumentarne la sofferenza privati della scuola e della vita sociale (QUI).
La depressione
Certo, quando parliamo di depressione bisogna fare un distinguo; somatogenesi o psicogenesi? Vale a dire: è conseguenza di un disturbo organico o conseguenza di un disagio psicologico esistenziale? Al di là della genesi, sta di fatto che in entrambi i casi vi è un vissuto della perdita. Un lutto per la mancanza di senso della vita.
La vita, nei casi di maggiore depressione, non assume valore; tutto è insignificante a tal punto che si desidera la morte. Emblema di tale desiderio da disperazione è nei racconti biblici.
Nell’Antico Testamento, Giobbe, provato dal dolore, invoca la morte (Gb 12,4-5; 13,4-13) ed Elia, spaventato e stanco, chiede al Signore di morire (1 Re 19,4). Ignari, entrambi, del progetto del Signore, Giobbe viene risollevato fino al vivere ancora molti anni e appagato e soddisfatto mentre Elia, rinfrancato dal Signore, porta a compimento la sua missione con soddisfazione.
Cos’altro è possibile cogliere, dal punto di vista psicologico nei due profeti? La fiducia e la fede che nonostante un dolore e una sofferenza diventa preludio per compiere e attuare un significato; dare senso alla vita attraverso un compito.
Un aiuto dalla fede
Si potrebbe pensare che tutto quanto vissuto dai profeti non abbia collegamento con la depressione, e invece no.
Il depresso non vede progetto, non scorge il senso, non ha fiducia. Ci chiediamo, quindi, quanto il valore della fede possa aiutare, ma, attenzione, a non eliminare ma a reagire ad essa al di là della sua eziologia. Indipendentemente da un approccio psicofarmacologico o psicoterapico. Il depresso ha un atteggiamento di sfiducia nella vita, niente ha senso e niente è significativo. Il depresso ha come mantra mentale: “tutto è finito”; “non c’è speranza”; “non ho fiducia in niente”; “non credo più a nessuno”. Difetta nella “fede”, dal greco feidè, che i latini resero con feides da fid, legare, osservare, rispettare, fidarsi fino a compiersi in fiducia, che determina “speranza”, ossia, cambiamento ottimista.
Non è un caso che il credente, attraverso la fede in Dio, ritrovi quella fiducia, che diventa “medicina spirituale” per meglio affrontare ogni condizione umana.
Gesù voleva che si confidasse in Lui. Ci sono molti passi dei Vangeli in cui rimprovera agli apostoli e ad altre persone di non avere piena fiducia in Lui. È impressionante notare come Gesù curasse quanti riponevano fiducia in Lui.
Davanti all’emorroissa, ha detto:
’Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita’. E in quell’istante la donna guarì (Mt 9, 22).
Gesù ci chiede di avere fiducia assoluta:
Non affannatevi, dunque, per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena (Mt 6, 25-34).
Dal punto di vista spirituale, una persona sempre troverà, nell’incontro con Gesù, fatto di preghiera o di riflessione sulle sue parole, trasformazione perché in esse si percepisce il senso della propria esistenza.
Colmare il vuoto
Credo che il senso di vuoto è la malattia del terzo millennio e, a differenza del passato, le depressioni sono caratterizzate da un senso di annullamento, di annichilimento, di frammentazione, di spaesamento. Lo psichiatra V. Frankl, da me conosciuto, ha affermato che la nevrosi dei nostri tempi è caratterizzata da una mancanza di senso (Frankl V. E., logoterapia e analisi esistenziale Ed. Morcelliana 2001). E lo psicologo, C. G. Jung ha riconosciuto che
la nevrosi in ultima analisi è una sofferenza che non ha trovato il suo significato. E l’uomo che ha superato i trent’anni si ammala di nevrosi perché ha perso il senso spirituale e religioso della vita (Jung C. G., Pratica della psicoterapia, ed. Boringhieri, To 1993)
Oggi, nella società moderna del web, dove pullulano informazioni e disinformazioni, stimoli, immagini e descrizioni di fatti e misfatti, non è facile trovare riferimenti stabili e duraturi, come i valori, i principi, la morale e il pudore che la fede ancora assicura. Senza i quali si perde il senso di identità e il proliferare di diverse forme di aiuto counselor, mental coach, psicoterapie a buon mercato, che non sempre assicurano il giusto ritrovamento di se. Anzi, innalzando l’uomo al suo stesso egoismo, prodigano per un nuovo idolo: l’Io, il Sé (Riccardi P., Parole che trasformano psicoterapia dal vangelo Ed. Cittadella Assisi 2014). Senza una reale dimensione interpersonale, che riconosca il prossimo come se stesso (cf Mc 12, 29), si manifesta un diffuso senso di smarrimento e le parole semplici e profonde, ma soprattutto gratuite di Gesù di Nazaret, suonano come una moderna psicoterapia di trasformazione (Riccardi P., ibidem)