Un mese fa è nato Damian. Si è ufficialmente stabilito che con lui abbiamo raggiunto la soglia degli 8 miliardi di abitanti sulla terra. Quando sono nato io, negli anni ’50 eravamo due miliardi e mezzo. Ferdinando de Haro oggi ci aggiorna sui soliti intellettuali nichilisti o ultraecologisti che auspicano la scomparsa dell’uomo cattivo dalla
faccia del pianeta e – dicono loro – il conseguente ritorno alla natura buona governata dall’equilibrio primordiale. Intellettuali che covano nelle viscere un greve risentimento per la realtà dell’uomo che non si è fatto da sé e che ha in cuore una inesauribile sete di felicità. Se questi intellettuali fossero venuti con me qualche sera fa in Cappella degli Scrovegni avrebbero visto otto
giovani coppie milanesi, una dozzina di bambini anche molto piccoli (otto carrozzine che non s’erano mai viste tutte insieme, tanto che quasi ci volevano i vigili per aiutarci a parcheggiarle nello stretto corridoio che conduce in Cappella…). E, chissà, quegli intellettuali dall’intelligenza nemica dell’intelligenza umana, avrebbero ammirato la realtà, si sarebbero stupiti per lo stupore negli occhi dei bambini e avrebbero magari concluso con le parole di de Haro:
«Entro cinque anni, quando Damian dirà il suo nome, saprà che si riferisce a se stesso come qualcosa di diverso dai suoi genitori, dai suoi fratelli, dal mondo in tutta la sua estensione (giocattoli, uccelli, torte, palline…). Può crescere senza essere risentito, senza voler scomparire dalla biosfera e da ciò che la biosfera genera, senza aspirare a fondersi con un’intelligenza universale. Basta solo che qualcuno, accanto a lui, gli faccia capire la sorpresa e la curiosità che giocattoli, uccelli, torte, palline risvegliano in lui… più avanti altre persone. La sorpresa e la curiosità di essere già amato, già vivo, già scritto, prima di svegliarsi. Damian, hai un mondo eccitante davanti a te, un mistero da scoprire!»