
“Non conosciamo gli effetti collaterali a lungo termine”. È uno dei refrain argomentativi di coloro che in totale buona fede sono timorosi rispetto alla vaccinazione Covid. Partiamo da un fatto innegabile: è vero; non è ancora trascorso un anno dall’approvazione dei vaccini contro il Covid e non possiamo avere dati sul medio e lungo termine. E sgombriamo il campo da un altro equivoco: non avere questi dati è una lacuna che non fa piacere a nessun medico. Fatte queste necessarie precisazioni, precisiamo esaminando il passaggio successivo dell’argomento di chi rifiuta il vaccino sulla base del timore di cui sopra che più o meno dice: “poiché non conosciamo gli effetti a lungo termine, io il vaccino non lo faccio”.
Il ragionamento può trovare due differenti tipi di risposta (almeno io ho pensato a questi): 1) Nemmeno del Covid si conoscono gli effetti a lungo termine. Se il vaccino ha meno di un anno, il Covid ha un anno e mezzo di età e non possiamo escludere effetti nocivi a carico di vari apparati, considerando alcuni danni cardiaci, neurologici e renali che alcune persone colpite dall’infezione registrano. Dunque siamo di fronte a due incognite tra loro opposte, ma anche intrecciate, dal momento che il vaccino non dà il 100% di garanzia di non restare infettato e al contempo il non vaccinarsi non dà il 100% di garanzia di non avere effetti a lungo termine, dal momento che la mancata vaccinazione incrementa il rischio di infezione e con essa il rischio di possibile sequele tardive. Poiché, storpiando in maniera vergognosa ed ironica Wittgenstein, di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere, non ritengo che l’argomento dei possibili effetti a lungo termine del vaccino, che si elide con l’argomento dei possibili effetti a lungo termine del Covid, possa avere razionalmente un impatto sulla decisione che piuttosto è costretta a fondarsi sugli effetti a breve termine, largamente favorevoli alla vaccinazione in maniera proporzionale al rischio di partenza infettivo. 2) Quanto tempo si è disposti ad attendere prima di ricevere soddisfazione sugli effetti a lungo termine? Qui devo dire che quando ho posto la domanda, mi sono trovato di fronte sempre il silenzio. Le certezze della perentorietà dell’affermazione iniziale vacillano. 2 anni? 3 anni? 5? 10 anni? Quanto tempo? A questo proposito vorrei citare un caso che può aiutare a riflettere, quello della Nimesulide, un antinfiammatorio di vasto impiego. La Nimesulide fu autorizzata al commercio in Italia nel 1985 (nota amarcord: ricordo quando studiando farmacologia, ne memorizzavo l’azione scavanger). Il farmaco conobbe un successo strabiliante: era un antidolorifico efficace e molto ben tollerato sotto il profilo della gastrolesività che caratterizza la classe di farmaci antiinfiammatori). Non vi era pressoché abitazione dove nel cassetto delle medicine non trovasse posto la scatolina con le compresse o le bustine di Nimesulide. Questo fino al 2002, quando le agenzie del farmaco di Finlandia prima e di Spagna poi, dispongono il ritiro dal mercato della Nimesulide a seguito di casi (66 in Finlandia) di danno epatico grave. Nel 2007 il ritiro è deciso dalle autorità irlandesi per 53 casi di epatotossicità, 9 dei quali evoluti in insufficienza epatica e 3 deceduti. In Italia il monitoraggio condottò nel periodo 2001-2007, individuò 738 segnalazioni di sospette reazioni avverse al farmaco, di cui 360 (48,8%) di casi gravi, e 19 (2,6%) fatali. Su un bacino di 3,5 milioni di persone che nel solo 2006 avevano assunto il farmaco (circa un morto per milione). La Nimesulide è ancora in commercio e continua ad essere ampiamente prescritta ed assunta (anche se non ai livelli precedenti) in Italia ed in altri 15 Paesi europei. In Italia, poiché il rischio di epatotossicità aumenta con l’uso cronico, le autorità hanno disposto (con successivi provvedimenti del 2010 e 2012) la riduzione del rischio mediante l’obbligo di ricetta non ripetibile con la prescrizione di un’unica confezione per ricetta e l’indicazione del trattamento del dolore acuto, optando per il mantenimento in commercio del farmaco, stante il rischio di maggiori eventi gastrolesivi derivanti da un suo ritiro dal commercio. La storia della Nimesulide mi pare insegni almeno un paio di cose: 1) gli eventi avversi possono manifestarsi a distanza di un tempo molto lungo (17 anni, dalla commercializzazione alla segnalazione dei casi) 2) la presenza di eventi avversi gravi, ed anche fatali, non è condizione che necessariamente porta al ritiro dei farmaci, la cui permanenza sul mercato dipende da un’analisi del rapporto rischio/beneficio che può essere difforme nei vari Paesi. Perché non esiste soltanto il bianco e il nero, ma anche una gamma molto vasta di grigi e tutti dovremmo sempre tenerlo a mente. La mia conclusione è quella della stragrande maggioranza dei medici del mondo: guardiamo i dati a mano a mano che si presentano e guardiamoli in maniera corretta. I vaccini sono strumenti, non sono né la divinità né satana.
Sulla rivista JAMA, l’organo dell’American Medical Association, è appena stato pubblicato uno studio molto vasto sulla sicurezza dei vaccini a mRNA. Si tratta di un’analisi ad interim (dal 14 dicembre al 26 giugno) su una popolazione di 6,2 milioni di persone che hanno ricevuto 11,8 milioni di dosi di vaccino appartenenti ad 8 assicurazioni sanitarie americane. Il Vaccine Safety Datalink (VSD) è un metodo di vigilanza della sicurezza vaccinale che consente di superare alcuni limiti del sistema VAERS che si basa sulla segnalazione volontaria. Il Vaccine Safety Datalink contiene dati amministrativi e le cartelle cliniche (le assicurazioni infatti devono pagare le prestazioni sanitarie) che sono continuamente aggiornati, consentendo di verificare precocemente l’emergere di eventi avversi anomali rispetto alle attese. La popolazione vaccinata entro i primi 21 giorni è stata confrontata con 2 tipologie di controlli: 1) i vaccinati dopo 22-42 giorni 2) i non vaccinati Ovviamente le analisi sono state stratificate per sesso, fasce di età, razza, etnia, sede e data di vaccinazione. Il Vaccine Safety Datalink è stato già usato per monitorare la sicurezza di altri vaccini. Sono stati monitorati con cadenza settimanale secondo quella che viene definita “analisi a ciclo rapido” 23 potenziali eventi avversi gravi. Risultati più rilevanti: – Nessuno degli eventi monitorati ha superato la soglia di allarme stabilita convenzionalmente (test a 1 coda con p<0,0048). (Tabella) – Le due comparazioni hanno un elevato tasso di concordanza. – Nessun rischio aggiuntivo di sindrome trombotico-trombocitopenica derivante dai vaccini a mRNA, né di tromboembolismo. – Rischio aggiuntivo di mio/pericardite nella fascia di età 12-39 anni che non è significativo se si assume l’intervallo dei primi 21 giorni nel suo complesso, ma lo è se si misura nei primi 7 giorni dopo la vaccinazione (RR 9,83; 95% CI 3,35-35,77). L’analisi col gruppo non vaccinato conferma complessivamente l’incremento di rischio (RR 1,39; 95% CI 1,05-1,82). – In termini assoluti l’eccesso di rischio di mio-pericardite è pari a 6,3 casi per milione di dosi. La maggioranza dei casi è stata ricoverata e la durata media del ricovero è stata di 1 giorno. Si allegano anche le tabelle dei risultati delle due differenti comparazioni. Il link allo studio è qui. https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2784015
Mi pare che questo documento dell’FDA sia da menzionare. I vaccini a mRNA si possono associare in alcuni casi allo sviluppo di un’infiammazione del muscolo cardiaco (miocardite) o della membrana che avvolge il cuore (pericardite). Nella maggioranza dei casi fino ad ora emersi si è trattato di forme ad evoluzione favorevole. L’FDA, riconoscendo che si tratta di reazioni avverse rilevanti per la definizione del profilo di sicurezza del prodotto, dopo avere imposto una specifica avvertenza da inserire nella scheda tecnica del vaccino, ha dato luogo ad una valutazione rischio/beneficio della vaccinazione dei giovani in termini di bilancia tra rischio di mio/pericardite, e beneficio di riduzione di un outcome combinato costituito da ospedalizzazione+ricovero in terapia intensiva+decesso. La stima del rischio di mio/pericardite sulla base dei dati VAERS da parte del CDC ha individuato come gruppo a maggiore rischio i maschi di 12-17 anni, con una prevalenza di 65 casi per milione di dosi. La stima effettuata dalla FDA del rischio di miocardite post-vaccino sulla base dei dati registrati nel sistema OPTUM, ha individuato il gruppo a maggiore rischio nei maschi di 16-17 anni, con una prevalenza più elevata pari a 200 casi su un milione di vaccinati. La FDA ha individuato diversi scenari, tra cui: Scenario più probabile: variante delta dominante e riduzione di efficacia del vaccino Scenario peggiore: basso tasso di infezione e riduzione d’efficacia del vaccino. Risultati: Maschi e femmine >18aa: favorevole al vaccino in tutti gli scenari Femmine 16-17aa: favorevole al vaccino in tutti gli scenari Maschi 16-17 aa: favorevole al vaccino nello scenario più probabile; favorevole alla NON vaccinazione nello scenario peggiore. La FDA riferisce che questo modello non considera però la maggiore gravità e durata dell’ospedalizzazione Covid rispetto alla mio/pericardite vaccinale, la prevenzione di oltre 13.000 infezioni Covid nei maschi 16-17aa. che non richiedono ricovero una cui parte può comunque generare esiti di lunga durata, né i benefici indiretti per la salute pubblica che derivano dalla vaccinazione di questo gruppo di soggetti. In considerazione di questi fattori aggiuntivi, la FDA giudica che anche nello scenario peggiore, i benefici della vaccinazione superano sufficientemente i rischi per sostenere l’approvazione dei vaccini nei maschi di 16-17 anni. L’azienda è stata obbligata ad eseguire studi post-marketing sull’insorgenza di casi mio/pericardite anche asintomatici. Qui il documento della FDA. Il punto è sviluppato a pagina 24. https://www.fda.gov/media/151733/download Un precedente studio aveva individuato che nel primo anno di pandemia il rischio a 3 mesi di mio/pericardite nei maschi della fascia di età 12-17 anni era il più elevato, pari a 450 casi per milione di infezioni. https://www.newscientist.com/…/mg25133462-800…/ Non si finirà di sottolineare mai abbastanza il fatto che la valutazione della sicurezza dei prodotti farmaceutici è un’operazione complessa che di certo non può essere fatta a suon di boatos da curva pubblicati sui social. Dalla pagina facebook Renzo Puccetti – Medico
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