Bergamo, Lunedì 28 Giugno 2021
Se si è grandi ammiratori di un maestro della statura del Maestro Muti; se da qualche giorno non si segue la cronaca, ma si riceve su Whatsapp la foto di un simile scarno messaggio, come potete leggere qui sotto, e non si

ha il tempo di compiere una breve ricerca tramite la ‘rete’, non si può non provare un sobbalzo di trepidazione al cuore. Cosa è successo? Perché tali parole?
E’ morto l’amato maestro? Mi è accaduto oggi a Bergamo, da poco uscito da una visita in ospedale! Ho immaginato il peggio! Una lettera di addio del più grande interprete contemporaneo, ma soprattutto di un educatore e formatore di musicisti e direttori di orchestra, che, ne sono profondamente convinto, ha da insegnare tanto anche a noi docenti tutti, non solo di musica, come pure ai genitori?
Non avrei potuto verificare la notizia prima di almeno quarantacinque minuti. Mi dicevo: –Non è possibile!
Tanta era l’amarezza che sempre ho colto nei suoi interventi verso un mondo di governanti e di organizzatori di eventi culturali, che non accostano l’arte con il dovuto rispetto … che la prima impressione, mal guidata dal titolista imprudente, poteva sembrar avere un qualche fondamento. Ma, dopo un buon quarto d’ora di simili dolorosi pensieri, mi son detto: – Se anche fosse, il Maestro non ha perso la guerra. Ha testimoniato con rigore, con quel rigore che ha sempre vissuto fin da adolescente e giovane liceale, grato ai suoi genitori e insegnanti severi, anche severissimi, ma che furono capaci di trasmettergli serietà, conoscenze vere, sensibilità … la competenza di vivere la musica come una missione, come sempre ci ha ripetuto!
E poi, un’intuizione e una speranza:
–Non può essere! Probabilmente, vuole solo uscire dai grandi incarichi e mantenere solo taluni concerti … soprattutto, la meravigliosa orchestra Luigi Cherubini che ha fondato a Ravenna con giovani selezionatissimi da tutto il mondo. Qui forma i futuri direttori di orchestra. E, allora, una risoluzione:

–Aprirò sempre le diciannove puntate di PAIDEIA 2021-2022 con una frase del Maestro: una luce per non perdere la bussola in questo mondo che ha capovolto i principî e che deve ricominciare a studiare con rigore! La commenterò brevemente, o la farò chiosare agli ospiti.
Giunto a casa, una grande gioia! Rintraccio prima Il Foglio e poi direttamente il Corriere della Sera (QUI). Il Maestro sta benissimo e spiega veramente cosa intende. Che sollievo!
«… mi sono stancato della vita» … «Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: “Tutto declina”». … «Perché ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta dove aveva studiato Salvemini, con professori non severi; severissimi. Ricordo un’interrogazione di latino alle medie. L’insegnante mi chiese: “Pluit aqua”; che caso è aqua? Anziché ablativo, risposi: nominativo. Mi afferrò per le orecchie e mi scosse come la corda di una campana. Grazie a quel professore, non ho più sbagliato una citazione in latino. Oggi lo arresterebbero». … «Rimpiango la serietà». (Da Aldo Cazzullo, Riccardo Muti: «Mi sono stancato della vita. I direttori gesticolano e studiano poco», Corriere della Sera /27 Giugno 2021).

Il Maestro non vuole stupire, né scandalizzare, ma con quel carattere schietto che va dritto al cuore dei problemi con passione per la verità, non esita a sferzare i nuovi nomi … Non riconosce più il suo mestiere perché non ha più accanto un Toscanini, o un Antonino Votto, o un grande come Schömberg che, scrivendo a Kandinsky, disse apertamente: «…se la regia e la scenografia disturbano la musica, sono sbagliate» .
Coraggioso Muti anche nel non volere dare all’impaziente giornalista i nomi di quei nuovi direttori, che fanno spettacolo di sé. Non vuole fare loro una pubblicità indiretta.
Non dobbiamo stupire, ma educare. Tocca anche al pubblico, credo, sapersi rendere conto. Discernere ciò che vale dall’inutile e superfluo. Muti potrebbe passare per orgoglioso. Forse è orgoglioso dei grandi, ma non di se stesso.
Un po’ come Socrate che sapeva di non sapere, quante volte ci ha detto di non essere un competente che capisce la musica o il compositore?! La musica e il compositore restano sempre oltre e l’interprete, il direttore, ha il compito, la missione di interpretare, di avvicinarsi all’intentio del compositore, di eseguire ed educare all’esecuzione, cogliendone lo spirito oltre le note e le frazioni del tempo.
Nell’intervista nomina Luca Ronconi, prima attore e poi regista, e Giorgio Strehler. In loro prima è accaduta l’arte e poi il successo.
“Strehler, che non soltanto conosceva la musica ed era in grado di leggere una partitura, ma perseguiva il Bello: non come fatto estetico, come necessità della vera arte. Le mie produzioni con Strehler —Le Nozze di Figaro, il Don Giovanni, il Falstaff— mi hanno accompagnato e mi accompagneranno per tutta la vita e mi hanno insegnato molto. Ecco perché talvolta, forse esagerando, dico che sono stanco della vita. Penso di non appartenere più a un mondo che sta capovolgendo del tutto quei principî di cultura, di etica nell’arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato».

«Stanco della vita» per Muti significa essere stanchi di un modo di non vivere. La frase, dunque, non è quella di un depresso, che non sa che farsene di stare al mondo e rinuncia ad esistere, ex-sistere, a stare fuori, ma di colui che vuole in-sistere, fermarsi, stare fermo, durare nel proposito di stare in quell’infinito che è tra le due note, nel quale la mente di Mozart restava sospesa, nel passaggio da una nota alla successiva; in quel mistero di silenzio, senza il quale la nota non c’è, non si manifesta. Quel silenzio, che il Maestro invoca per il suo futuro funerale per il quale prega di non avere inutili applausi; quel silenzio che lui ha sempre rubato allo spartito nel dirigere e, prima ancora, nell’accarezzarlo pregustandone la scoperta. La delicatezza dello sbocciare di un fiore, che prima è chiuso e, poi, in-atteso, si spalanca, stupendo occhi, cuore e mente!
Nella musica il silenzio viene prima; la nota poi! Allora, è goduta ancora nel silenzio. La musica è atto contemplativo!

Muti, così esperto di ciò che si crede essere la musica, come la notazione, la tecnica, l’armonia, il contrappunto … la sequela di termini specialistici ineludibili, forse non ha approfondito molti aspetti della fede e del linguaggio dottrinale cristiano, – nelle sue interviste però la fede sempre ritorna-, ma ha colto Dio proprio attraverso le note. Quell’infinito che nomina, quel Dante poeta religioso che sempre cita, sono ciò che, in ogni momento immerso nella musica, vede di Dio.
I compact disc non bastano
Non ci si può accontentare di ascoltare i compact disc da Lui incisi. Occorre vedere le espressioni mentre dirige: i gesti, lievi o decisi, sempre in sintonia con le frasi musicali: note e parole insieme, nel caso della musica operistica. E prima che ad un’ esecuzione, sarebbe speciale partecipare ai suoi rehearsal, a Ravenna, comunque facilmente rintracciabili su YouTube e nel sito Riccardo Muti Italian Opera Academy QUI, da guardare e riascoltare più volte. Pregustare … e poi … andare là, sotto il palco!
«Respirando la polvere del teatro» (Antonino Votto) i talenti emergeranno! Consumando le piste registrate, si diventerà veri ascoltatori intorno a lui.
Teatri abbandonati

(FOTO DI LORENZO JEDERMANN, Docente universitario e fotografo)
Si addolora Muti al pensiero che l’Italia sia piena di teatri del ’700 e dell’800 ancora chiusi e in decadimento. All’onorevole Franceschini ha spiegato di riaprirli, darli ai giovani. Formare nuove orchestre, quando ci sono Regioni che non ne hanno. Aiutare le centinaia di bande che languiscono, ridotte al silenzio da un anno e mezzo, con il disastro economico delle famiglie.
«Dobbiamo fare molte cose, se vogliamo che il nostro patrimonio operistico, il più eseguito al mondo, non sia considerato occasione di piacevole intrattenimento ma fonte di educazione e cultura, come le opere di Mozart, Wagner, Strauss. Verdi non è zum-pa-pa!». (Corriere della Sera, Ibidem)
Al tempo della chiusura
Terribile il termine inglese con il quale si è indicata la ‘chiusura’ che ha profanato chiese e teatri. Una chiusura dovuta alle norme sanitarie adottate specialmente in Italia. ‘Lockdown’, ‘isolamento’, ‘restare a casa’, la ‘punizione di un carcerato che viene confinato nella sua cella’, ‘chiusura delle saracinesche di una diga’ perché non passi l’acqua … Gli italiani, a mesi dall’inizio dell’istituzione delle ‘misure di contenimento’, ancora cercano, tramite la ‘rete’, il significato di questo termine. L’emergenza, paragonata ad una guerra in cui i ‘mezzi di informazione’ sono ridondati di termini bellici, ha fatto vedere l’altro come nemico, minando le basi della socialità e portando a barriere e scontri, anziché ponti.

Credo che il Maestro sposerebbe le parole che Italo Calvino scrisse nelle Lezioni americane, preparate per l’Università di Harvard, in occasione delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures, lezioni che mai tenne a causa della sua morte inaspettata:
“Alle volte sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione nelle sue formule più generiche”.
Tutto ciò ha disturbato molto la sensibilità del Maestro Muti, che sul tema della chiusura risponde così circa il ‘lockdown’: «A parte lo studio, è stato orribile. La disumanizzazione si è fatta ancora più profonda. La mancanza di rapporti umani è terrificante. Entri al ristorante e vedi al tavolo cinque persone tutte chine sul loro smartphone … Io non lo posseggo e non lo voglio. … La tv avrebbe dovuto approfittare del lockdown per fare trasmissioni educative. Invece, a parte qualche bel documentario, siamo stati invasi da virologi, da sedicenti “scienziati”. Per me scienziato era Guglielmo Marconi!». (Corriere della Sera, Ibidem) Parole poche e sufficienti!
Un’ignoranza atavica
Incantevole la sua spiegazione circa come il suo essere «stanco della vita» si sposi alla sua notevole attività, nonostante gli anni e il desiderio di essere vicino alla sua amata famiglia:

«Credo nei viaggi dell’amicizia e della pace. Non lavori per il successo, la quantità di applausi e articoli; lo fai perché capisci che la nostra professione è una missione. Ho diretto il primo concerto a Sarajevo dopo i bombardamenti, il Va’ pensiero a New York, nel buco lasciato dalle Torri Gemelle abbattute. Una sera ho diretto a Erevan, in Armenia, e la sera dopo a Istanbul. Ricordo a Nairobi un coro di bambini meraviglioso: avevano studiato il Va’ pensiero con una pronuncia assolutamente perfetta, mi commuovo ancora se ci penso. Ma a volte mi sembra di parlare ai sordi. Muti che parla ai sordi… Avvilente. Non è mancanza di volontà; è ignoranza atavica. E dire che le radici della musica mondiale sono in Italia: Palestrina, Monteverdi, Frescobaldi, Luca Marenzio, Scarlatti…».
Non ho paura della morte

(Il mio) mondo era «Un mondo semplice e fantastico, che mi manca moltissimo. Per questo le dico che appartengo a un’altra epoca. Oggi il mondo va così veloce, travolge tutto, … Mi dispiace lasciare gli affetti. Mia moglie, i miei figli Francesco, Chiara e Domenico, i nipoti. E gli animali». (Cooriere della Sera, Ibidem).
Muti ha saputo trasfigurare nell’interpretazione anche la morte . E ricordo quelle favolose riprese del Requiem di Verdi, in Sant’Apollinare in classe, che riguardo spesso con commozione, ‘ascoltando’ le sue espressioni facciali e mimate dal gesto delle braccia, delle mani, le espressioni degli occhi intensamente rapiti e che accompagnano l’orchestra, per lui e per me, il migliore strumento musicale:

Umiltà figlia di verità, amore e conoscenza
A Torino, al Teatro Regio, Riccardo Muti il 16 febbraio 2021, commosso, assicura: “Tornerò, lo prometto” e di fatti vi tornerà il 18 Marzo 2021 per un concerto celebrato in memoria delle vittime del Covid.

– Museo Civico d’Arte Antica
Il 16 febbraio 2021, ringraziando gli organizzatori, testualmente disse:
«Io ho fatto il mio dovere. Come ho sempre detto, un direttore di orchestra, senza l’orchestra e il coro è un direttore ‘muto’, non Muti, … è un direttore muto. Noi abbiamo bisogno, per esprimere le nostre idee, una volta che ci fossero, dell’orchestra e del coro. … Il “Così fan tutte” ha raggiunto il risultato, dal punto di vista esecutivo, notevole, notevolissimo, non parlo di interpretazione perché l’interpretazione è un fatto mio. Può essere buona o cattiva, però, il livello esecutivo è stato di grande prestigio … ». E conclude con la promessa ufficiale di tornare.
(Dalla videoregistrazione QUI)
E poiché la musica è una necessità dello spirito

aspettiamo il Maestro a Milano!

La settima edizione di “Riccardo Muti Italian Opera Academy”, organizzata per la prima volta in collaborazione con Fondazione Prada … Il pubblico potrà partecipare all’intero percorso di prove e concerti focalizzato sul Nabucco, diretto dal Maestro Riccardo Muti. Gli spazi ampi e flessibili del Deposito all’interno della Fondazione accoglieranno Riccardo Muti che, alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, intraprenderà un progetto di formazione rivolto a giovani direttori d’orchestra e maestri collaboratori al pianoforte provenienti da tutto il mondo. … Il pubblico potrà assistere alla presentazione al pianoforte dell’opera con Riccardo Muti, sabato 4 dicembre, alle prove che si svolgeranno dal 5 all’11 dicembre e ai due concerti finali del 14 e 15 dicembre, il primo diretto dal Maestro e il secondo presentato da Riccardo Muti e diretto dai giovani direttori d’orchestra. I biglietti saranno disponibili da settembre sul sito web di Fondazione Prada.
Dal sito RICCARDO MUTI ITALIAN OPERA ACADEMY (QUI ) sul quale potrete trovare tutte le inforazioni.
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