La croce intatta tra le macerie è il segno per salvare l’Europa

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di Giacomo Susca.

«Stat crux dum volvitur orbis», la croce resta salda mentre il mondo cambia. È la storia del Cristianesimo racchiusa in cinque parole. Il motto dei certosini non può essere ridotto a uno status da social network, però la comunità cristiana, che vive di simboli, si aggrappa al Simbolo per eccellenza. Quella croce perseguitata, offesa, osteggiata, dileggiata, mercificata, nonostante tutto rimane l’Alfa e l’Omega, il principio quando sembra arrivata l’Apocalisse. Se c’è stato un errore di valutazione nel commentare nell’immediatezza la catastrofe parigina, forse è stato quello di intravedere in un incidente la fine di una cultura o di un sistema di valori. Può crollare il tetto sopra le nostre teste, ma non il pavimento in cui affondano le radici della cristianità

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In cima alla guglia c’era una croce, quella croce. Precipitata nell’inferno di Notre-Dame. Ma poi, ieri mattina, tutti abbiamo visto un’altra croce.

Un’immagine molto più potente dello scheletro della cattedrale divorata dal fuoco. Sembrava esserci spazio solo per lacrime e sgomento. Fino a quando in tv e sui nostri smartphone sono apparse le prime foto dall’interno della cattedrale. La struttura portante è quasi intatta. «L’Altare maggiore e la grande Croce dorata si sono miracolosamente salvati». Miracolosamente, ha detto proprio così chi l’ha potuta ammirare per primo. Presto alla croce che precipita nel vuoto si sovrappone l’immagine di quella che resiste, inamovibile in fondo alla navata principale di Notre-Dame, oltre i caschi dei soccorritori fermi a contemplarla. In mezzo al caos, all’odore di bruciato, alle macerie fumanti e ai getti d’acqua degli idranti. Qualcuno si accorge di un altro dettaglio, che conferisce alla scena un’atmosfera ancora più mistica. Due raggi di luce entrano obliqui a illuminare la scena. Nessun regista o direttore della fotografia avrebbe potuto costruire un set più efficace. L’imponderabile assume di colpo significato agli occhi di chi vuole coglierlo. Eccolo, il segno della croce. «In hoc signo vinces», sotto questo segno vincerai, e Costantino ebbe l’illuminazione. Se adesso lo capiscono i francesi e gli europei tutti, avremo una speranza. Un punto fermo da cui ripartire, donazioni e ricostruzione verranno dopo.

Con ogni probabilità questa immagine è destinata a diventare un’icona del 2019. Nella notte tra lunedì e martedì, prima ancora che cominciasse la stima dei danni e si facesse la conta dei tesori persi e di quelli salvati, nella testa di miliardi di spettatori era impressa la «flèche» collassata tra le fiamme. Lo dimostrano i milioni di post e di condivisioni, insieme alle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Come in un incubo binario che prevedeva solo due fasi: consunzione, distruzione. Nessuna rinascita. La notte più nera di Parigi. Da ieri, invece, il racconto del dramma risplende sotto una luce nuova. Quella che lambisce l’abside di Notre-Dame nel sole del mattino.

«Stat crux dum volvitur orbis», la croce resta salda mentre il mondo cambia. È la storia del Cristianesimo racchiusa in cinque parole, del resto. Il motto dei certosini non può essere ridotto a uno status da social network, però la comunità cristiana, che vive di simboli, si aggrappa al Simbolo per eccellenza. Quella croce perseguitata, offesa, osteggiata, dileggiata, mercificata, nonostante tutto rimane l’Alfa e l’Omega, il principio quando sembra arrivata l’Apocalisse. Se c’è stato un errore di valutazione nel commentare nell’immediatezza la catastrofe parigina, forse è stato quello di intravedere in un incidente la fine di una cultura o di un sistema di valori. Può crollare il tetto sopra le nostre teste, ma non il pavimento in cui affondano le radici della cristianità. Non può che essere la condizione per qualsiasi ricostruzione, come testimoniano i frati di Assisi mentre osservano la volta di Notre-Dame squarciata come le vele della Basilica di San Francesco distrutte dal terremoto del 1997: «La cattedrale risorgerà com’è risorta la nostra Basilica».

Risorgere. Per fede e comandamento. Sarà così, finché ci sarà una croce che resta in piedi accanto ad un’altra che viene abbattuta, dalle colpe dell’uomo o dalla violenza degli elementi. È stato così nei secoli, succederà di nuovo. Stiamo entrando nel cuore della Settimana Santa, i teologi ci spiegano che è questo il senso ultimo della Via Crucis, dalla parrocchia di periferia alla magnifica cerimonia del Colosseo. Dove la croce campeggia al di sopra della sofferenza umana, illuminata dal fuoco delle fiaccole.

«Tenete in alto la croce affinché io possa vederla anche attraverso le fiamme», furono le ultime parole di Giovanna d’Arco, bruciata sul rogo nel 1431. E beatificata cinquecento anni più tardi proprio sotto il grande crocifisso dell’altare di Notre-Dame. Nel segno di questa croce.

Fonte: il Giornale

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