Origene e la sessualità umana

origene

Origene all’origine di una lunga storia

Origene di Alessandria (187-253 o 254)[1] è stato uno dei più grandi, fecondi, dotti ed influenti teologi e maestri spirituali dei primi secoli del cristianesimo, uomo certamente di virtù e di vita austera, ma non tale da meritare di esser canonizzato, come è avvenuto per altri teologi, che figurano tra i Padri della Chiesa, e tra i suoi stessi discepoli.

La sua ricca e profonda dottrina, largamente ispirata alla Sacra Scrittura e alla tradizione dei Padri del deserto e frutto di una vita ascetica, ci ha lasciato insegnamenti basilari per l’edificazione della teologia e dello stesso dogma cattolico. Ma nel contempo – caso rarissimo nella storia della teologia – Origene, certamente senza avvedersene, è caduto in errori antropologici e quindi morali così gravi, che egli, a partire da circa due secoli dopo la sua morte, fu condannato per eresia da Papa Vigilio nel  543 (Denz.403-411) e da due Concili Ecumenici: il Costantinopolitano II del 553 (Denz.433) e il Lateranense I del 649 (Denz.519).

Come mai queste condanne e perchè così tardive? Perché è stato molto difficile ed è stato frutto di un lungo e sofferto travaglio tra uomini dotti e santi scoprire i suoi errori, dotati del fascino di un’apparente spiritualità e nascosti in un  ampio contesto teologico di alta qualità, tale da far scuola e addirittura scuola di santi per secoli.

Le condanne hanno certamente messo in guardia molti; ma per lunghi secoli l’origenismo è stata una corrente sotterranea agente nel sottosuolo della storia della spiritualità cattolica e nella stessa pastorale ecclesiastica una specie di presupposto scontato, come fosse un dato di fede, fino al Concilio Vaticano II, il quale, avendo finalmente svelato la radice dell’errore, ci mostra la verità contraria, per cui ci mette in condizione di evitarlo e di correggere coloro, i quali, non avendo recepito o compreso o accettato l’insegnamento conciliare e postconciliare su questo tema, sono ancora vittime del vecchio errore.

Il dualismo di Origene

Ma di quale errore si tratta? Si può rispondere in due parole con ciò che tutti gli studiosi o conoscitori di Origene sanno: l’influsso del dualismo platonico, col suo caratteristico sguardo diffidente, sprezzante od ostile verso il corpo e la sua esagerata e presuntuosa stima ed esaltazione dello spirito. Una stima dello spirito che si volgerà però paradossalmente, dopo Origene, come cercherò di spiegare, in soggezione della carne allo spirito.

È questo il lato più oscuro ma non meno reale, il rovescio della medaglia del dualismo origeniano, celato ad Origene stesso, che ne sarebbe stato inorridito, ma che emergerà 13 secoli dopo col dualismo cartesiano, sorgente insospettata eppure logica del libertinismo settecentesco, antenato del moderno edonismo pannelliano e freudiano, fino a giungere al genderismo dei nostri giorni.

Così da Origene al moderno genderismo e gay pride, saltando 17 secoli, un sottile perverso filo logico – chi mai lo direbbe? – congiunge l’ultraspiritualismo origeniano con il più aberrante erotismo dei giorni nostri. Vediamo come sono andate le cose, come è potuto avvenire che il più rigoroso spiritualismo abbia finito col dar corda al più animalesco sensualismo,  e come possiamo uscire da questa trappola umiliante e vergognosa.

Del resto, l’Accademia platonica, col suo scetticismo sensuale, contro la quale combattè Agostino, non aveva forse trovato un appiglio proprio nello spiritualismo dualista di Platone? Bastava accantonare il mondo delle idee come chimeriche astrazioni ed assumere la doxasensibile platonica come unico criterio morale e il gioco era fatto.

Ma che cosa è che accomuna origenismo e genderismo, così che si passi dall’uno all’altro mondo così apparentemente opposti? È la concezione del rapporto fra lo spirito e il sesso. Nell’uno e nell’altro caso il sesso non è una componente essenziale della persona umana, regolato da leggi proprie, ma un qualcosa di estrinseco e di indeterminato, a disposizione della persona, non essenziale al suo bene, sicchè la persona ha facoltà di rimpicciolire o aumentare a piacimento il valore del sesso. In tal modo si danno le due possibilità opposte del rigorismo origenista e dell’edonismo freudiano. Dal che vediamo come in questi due estremi non venga rispettata l’oggettiva dignità maschio-femmina voluta da Dio.

A questo punto comprendiamo anche come va che il dominio origeniano dello spirito sulla carne si possa rovesciare in dominio freudiano della carne sullo spirito. In Origene lo spirito distrugge la carne; in Freud la carne soffoca lo spirito. La carne, quando è maltrattata, si vendica. E se lo spirito le nega ciò che le è lecito, essa insorge e legalizza ciò che è illecito. Ma l’uomo è composto di spirito e corpo, è un animale ragionevole, quindi sessuato. Non è né un puro spirito né una bestia. Lo spirito, certo, è superiore al corpo, quindi al sesso. Ma ciò non lo autorizza a schiacciarlo. Il sesso, certo, è essenziale all’uomo. Ma ciò non autorizza il sesso a comandare sullo spirito.

Una soluzione sbagliata

Origene aveva viva la percezione della ribellione della carne allo spirito, conseguenza del peccato originale. Assetato di libertà spirituale, sentiva dolorosamente quanto, nella vita presente, la concupiscenza della carne intralci, ostacoli, indebolisca ed illanguidisca il vigore dello spirito, lo distragga dai suoi sublimi interessi, per volgerlo ai desideri della carne, ottunda l’acutezza dell’intelletto per immergerlo nel senso; fa perdere all’uomo il gusto della sapienza e delle cose spirituali, lo illude con i piaceri della carne. Desideroso di elevarsi in alto, la passione sessuale spinge l’uomo verso il basso. Desideroso di contemplare l’ideale, l’attrattiva del sesso lo persuade che è inutile tentare di andare al di là del senso. L’«uomo animale», per dirla con S.Paolo, frena il cammino dell’«uomo spirituale».

Ma a questo punto Origene è tragicamente tratto in inganno da Platone. Invece di ascoltare la Bibbia che gli insegnava la sostanziale bontà del sesso creato da Dio e destinato alla resurrezione e che tutto il problema stava in una saggia sottomissione del sesso allo spirito, Origene si persuase che il problema stava nel liberarsi dal sesso come da un nemico o da una prigione o come da un impostore che non fa vedere la verità o un seduttore che spinge al peccato o da un despota che asservisce lo  spirito.

Dunque non liberare il sesso dal peccato, per consentire al sesso di attuarsi onestamente secondo la legge della sua natura creata da Dio, il che sarebbe la cosa giusta, ma l’idea platonica di uomo come puro spirito, che, intralciato nella sua navigazione da una zavorra che gli è estranea e di peso, la vuol gettare a mare. Errore fatale, che priva l’uomo e quindi il suo stesso spirito di quella modalità essenziale maschile-femminile, che sola dà all’uomo, come ha detto Papa Benedetto XVI, la pienezza dell’humanum.La vera e piena libertà spirituale l’uomo la raggiunge proprio valorizzando onestamente il sesso, sia pur nella dovuta disciplina resa necessaria dallo stato passeggero di natura decaduta.

L’idea origeniano-platonica di uno spirito perfettamente uno e identico nell’uomo e nella donna, al quale si aggiunge l’esser uomo e donna come un accidente o un ente contingente estrinseco non necessario, e l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, non corrisponde per nulla alla verità del composto umano,  che invece si attua essenzialmente e concretamente nell’esser uomo e donna, che sono due modalità di pari dignità personale e reciprocamente complementari nella natura.

Il rinnovamento conciliare

Origene ignora – e non c’è da stupirsi, dato il suo tempo –  quello che sarà, 17 secoli più tardi, l’insegnamento del Vaticano II, pur fondato sulla Scrittura (Gn 2,24), sulla comunione sessuale fra uomo e donna, quando il Concilio dice che

 «proprio perché atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, quell’amore abbraccia il bene di tutta la persona e perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità i sentimenti dell’animo e le loro manifestazioni fisiche e di nobilitarli come elementi e segni speciali dell’amicizia coniugale»[2].

«Questo amore – continua il Concilio[3]– è espresso e reso perfetto in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi».

È da notare con quanta enfasi e ricchezza di motivazioni il Concilio parla dell’unione sessuale come espressione d’amore e incentivo dell’amorepiù intimo e totale che possa unire due persone umane, senza accennare alla procreazione, che ovviamente non è esclusa, ma vien messa in secondo piano.

Ancor più, poi, si esce dalla verità sull’uomo e sul sesso, se la prospettiva, come sembra fare Origene in linea con Platone, è quella di eliminare il sesso, anziché realizzare un libero spirito in libero sesso, il che è la prospettiva della resurrezione, negando la quale si cade nell’eresia. Infatti Dio vuole che alla resurrezione sia restaurata quell’armonia tra spirito e sesso e tra uomo e donna, che il peccato aveva distrutto e che corrisponde al piano originario del rapporto uomo-donna: essere «una sola carne» (Gn 2, 24).

Inoltre, una percezione che in Origene è totalmente assente e che sarà propria invece del Magistero della Chiesa postconciliare, è quella dell’influsso della differenza maschio-femmina al livello dell’anima[4], sì da causare una differenza tra l’anima dell’uomo e quella della donna e per converso il fatto che l’esser uomo o l’esser donna è determinato rispettivamente da un’anima maschile e da un’anima femminile[5], il tutto senza compromettere affatto la sostanziale identità ed uguaglianza di natura e pari dignità personale dell’uomo e della donna.

Ciò che ha sempre attratto in Origene, sia i Santi che i rigoristi, è il rigore della sua castità, che però sconfina in un radicalismo, con il quale ha interpretato e vissuto il farsi «eunuchi per il regno dei cieli» (Mt 19,12), in modo troppo materiale, che poi la Chiesa ha condannato, salvo, quando il significato letterale lo infastidisce, rifugiarsi nell’allegoria, che peraltro eleva veramente lo spirito. Sì, certo, Origene dimostra con la sua abbondantissima produzione teologica di alta qualità, che l’astinenza sessuale per il regno di Dio produce molto frutto. Tuttavia si vede anche che qualcosa non ha funzionato nell’essersi lasciato sedurre da Platone.

La castità prepara alla resurrezione

Il fatto è che Origene non ha capito che in fin dei conti la castità non prepara a diventare puri spiriti, ma prepara alla resurrezione della carne, è rinuncia al sesso tentatore per l’acquisto del sesso salvatore, come dice S.Agostino: «Caro te excacaverat? Caro te sanat»; rinuncia al sesso per Cristo in vista del suo recupero centuplicato (Mt 19,29). I religiosi per il Concilio sono prefigurazione della coppia risorta.

Le dottrine del Concilio sono guidate, criteriate ed illuminate da un paradigma escatologico, alla luce del quale possono essere comprese ed apprezzate nella loro novità. Il Concilio, allora, nel presentare il sesso in una prospettiva escatologica, non ha potuto non promuovere la dignità del sesso femminile, esso pure presente alla resurrezione, in quanto l’essere donna non è un difetto, ma un pregio, degno quindi di essere presente alla resurrezione, dove risplenderà ogni pregio e sarà assente qualunque difetto.

Tale esaltazione della dignità della sessualità umana fatta dal Concilio, non poteva non volgersi a vantaggio della dignità della donna, come già aveva fatto  S. Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris del 1963, mentre sappiamo che il dualismo platonico tratta il sesso femminile ben peggio di quello maschile, riducendolo a un semplice strumento di piacere o al massimo a mezzo per la riproduzione della specie.

E difatti mai come in questi cinquant’anni del postconcilio la donna ha mostrato la ricchezza delle risorse e delle energie psicologiche, morali, intellettuali, culturali e spirituali, delle quali ella è capace per il bene non solo della famiglia, ma anche della società e della Chiesa.

Se poi accanto a questo progresso innegabile, provvidenziale e meraviglioso si è verificato anche un regresso morale preoccupante, questo non significa altro che la donna deve continuare a seguire la traccia indicatale dal Concilio, in particolare il Messaggio alle Donne. Traccia che è stata ampliata dal successivo e ricco insegnamento dei Santi Papi Paolo VI[6]e Giovanni Paolo II[7].

L’errore di fondo di Origene

Il grave difetto della teologia di Origene dipende dall’essersi troppo attaccato a Platone, al punto dal non vedere quello che la Bibbia insegna pur di non scostarsi dal suo amato Platone. A parte il dualismo antropologico ed etico, in Origene c’è da notare un monismo metafisico di fondo, col quale egli cerca di controbilanciare il dualismo, ma il risultato è un fallimento, perché aggiunge errore ad errore: non si rimedia alla separazione fra materia e spirito con la confusione fra mondo e Dio.

A ciò porta infatti la sua famosa teoria dell’apocatastasi, che testimonia di uno scriteriato bisogno di unità tra Dio e mondo, come se l’esistenza dell’inferno arrecasse qualche pregiudizio alla detta unità. Infatti la ricomposizione finale o ricapitolazione finale dell’universo in Dio procurata da Cristo non dev’essere intesa come la ricostituzione di un’unità originaria frantumata, ma come la vittoria finale di Dio sui suoi nemici, a lui sottomessi per sempre.

L’eterna soggezione a Dio dei suoi nemici entra nell’ordine finale dell’universo, che comporta la sottomissione del male al bene, e la soggezione di tutte le creature a Dio o per amore o per forza, o per misericordia o per giustizia. Dio poteva disporre diversamente; ma se ha disposto così, il teologo deve accettare fiduciosamente il piano divino,  anche se non può scandagliare il perchè della scelta divina.

Altra pietra d’inciampo per Origene, sempre troppo attaccato a Platone, è il tema dell’antropologia, con particolare riferimento all’argomento qui prescelto, l’etica sessuale. L’insegnamento del c.2 del Genesi relativo alla creazione dell’anima nel soggetto atto a riceverla (v.7), la creazione dell’uomo e della donna nella parità di natura e reciproca complementarità (v.23), la comunione d’amore fra i due (v.24) gli restano completamente estranei e preferisce seguire Platone con la sua teoria della preesistenza dell’anima e del sesso come castigo del peccato.

Il peccato originale, poi, lo interpreta non come ribellione a Dio (3,6), ma, sempre seguendo Platone,come caduta dell’anima nel corpo maschio e femmina. Naturalmente riconosce il matrimonio come ordinato alla procreazione, ma siccome essa vale solo per la vita presente, prevede nella resurrezione la scomparsa della distinzione fra uomo e donna. Egli infatti immagina che il corpo risorto sarà asessuato e di forma «sferica», come gli sarà contestato al Sinodo di Costantinopoli del 543 (Denz.407). Del resto, per lui, come per Platone, l’esser donna è un difetto, che quindi non può esser presente alla resurrezione.

L’insufficienza del paradigma antropologico platonico, del quale Origene fa uso, appare in tutta la sua gravità se lo giudichiamo alla luce del dogma della resurrezione, in particolare della resurrezione della coppia umana, un tema sul quale S.Giovanni Paolo II, precorso da S.Tommaso, ci ha lasciato preziosi insegnamenti in quella che egli chiamò «teologia del corpo» nelle udienze generali del mercoledì dal 1979 al 1983[8].

Il mistero dell’escatologia

Quando entriamo nel campo dell’escatologia, ci troviamo davanti a molte cose per noi quaggiù misteriose, circa le quali pochissimi sono i dati del Magistero e non restano altro che delle ipotesi teologiche. Molte sono le domande e poche le risposte. Per esempio: vi sarà il mondo vegetale ed animale? Che cosa faremo? Come ci muoveremo? Esisterà un progresso? Come sarà il tempo e lo spazio? E le nostre relazioni umane? Come sarà il corpo maschile e femminile? E le amicizie tra uomini e donne? Se l’unione sessuale è espressione dell’amore, e lassù ci sarà l’amore fra uomo e donna, vi sarà l’unione sessuale?

Il Concilio presenta la vita religiosa come un precorrimento della resurrezione. Esso dice che la vita religiosa «meglio  preannunzia la futura risurrezione e la gloria del regno celeste»[9]e che la castità consacrata «costituisce un segno particolare dei beni celesti»[10].

La domanda che ci possiamo porre è se la castità consacrata è funzionale solo alla vita presente, come vittoria dello spirito sulla carne o se abbia ancora uno scopo e un senso  nella resurrezione, che prevede la perfetta conciliazione del sesso con lo spirito. Forse è solo lassù che potremo comprendere in pienezza ciò che di recente ha detto Papa Francesco, e cioè che il sesso è un dono di Dio. Qui siamo molto lontani da Origene.

Oggi appare più che mai evidente che la relazione fra uomo e donna è capace di una tale intimità e vicendevole reciprocità, che si presenta come il paradigma originario ed insuperabile di ogni altra relazione umana interpersonale o sociale, la quale in confronto a questa appare inferiore, meno unitiva, meno arricchente, meno robusta, meno feconda, meno spontanea, meno soddisfacente, parziale ed incompleta. Ma per realizzare questo stupendo ideale, è necessario il rispetto dell’etica sessuale. così come oggi viene predicata dalla Chiesa, e così come ho indicato in questo articolo.

In una situazione storica come la nostra, che in nome dell’amore, della libertà, del piacere e della «diversità» si vorrebbero giustificare tutti i peccati e le aberrazioni sessuali e si nutre disprezzo per la famiglia, per la castità consacrata e per il celibato sacerdotale, una sana valutazione della sessualità nella luce della resurrezione, così come la ho esposta qui, libera da ogni forma di origenismo e rigorismo, sembra essere, senza cadere nel lassismo, la via giusta per riportare serenità, giudizio, senso di responsabilità e gioia nel compimento della volontà di Dio.


[1]Cf H.Crouzel, Origene, Edizioni Borla, Roma 1986.

[2]Gaudium et spes, 49.

[3]Ibid..Gaudium et spes, 49.

[4]Ho studiato questo tema in L’influsso della sessualita’ sui piani psicologico e spirituale della persona,  P. Giovanni Cavalcoli, O.P., tesi di licenza n. 172 presso lo Studio Teologico S. Tommaso d’Aquino, Bologna, 1977, pp. 5-63, (documento PDF – 9.56 MB);

http://www.arpato.org/testi/studi/Cavalcoli_tesi_1976-77.pdf

[5]Cf il mio saggioSULLA DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso della SITA, Ed.Massimo, Milano, 1987, pp.227-234.

[6]Cf la raccolta degli insegnamenti di S.Paolo VI La donna nel Magistero di Paolo VI, con Prefazione del Card.M.L.Ciappi, Tipografia Poliglotta Vaticana 1980.

[7]Oltre alle udienze generali del mercoledì sulla teologia del corpo, vedi la Lettera Apostolica Mulieris Dignitatemdel15 agosto 1988.

[8]LA RESURREZIONE DELLA SESSUALITA’ SECONDO S.TOMMASO, in Atti dell’VII Congresso Tomistico Internazionale a cura della Pontificia Accademia di San Tommaso, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1982, pp. 207-219; LA TEOLOGIA DEL CORPO NEL PENSIERO DI GIOVANNI PAOLO II, SacraDoctrina, 6, 1983pp.604-626; LA RESURREZIONE DEL CORPO, Sacra Doctrina, 1, 1985, pp.81-103

[9]Lumen Gentiunm, 44.

[10]Perfectae caritatis, 12.

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