Il problema della scuola laica

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Nella società di oggi tutte le certezze sembrano vacillare e nulla resta fisso e sicuro come una casa costruita sulla roccia. Le stesse basi etiche e sociali su cui poggiò solidamente l’Italia per un lungo lasso di tempo (almeno dal 1870 al 1970) paiono sgretolarsi come un gigante dai piedi d’argilla.

Così, per esempio, la famiglia, minata dal divorzio express, dalle separazioni molteplici e precoci, e dalle convivenze totalmente instabili della new generation; così la moralità pubblica, difesa ancora dalla Costituzione della Repubblica (1948) dietro il nome aulico di “buon costume”, ora scomparsa dietro le spinte convergenti del capitalismo-consumismo, della pornografia, delle mode indecenti e malsane, del vietato vietare sessantottino, della droga quantomeno tollerata, eccetera. Sulla Chiesa cattolica apostolica e romana, la quale fu anch’essa nei lunghi secoli della storia medievale e moderna una base sociale solida che offrì sicurezze e stabilità, beh, stendiamo un velo pietoso… Chi scrive, cattolico romano fin nel midollo, non ama criticare la Chiesa, la religione o le tradizioni per partito preso e respinge ogni anticlericalismo di vetero o di nuovo conio. Ma possiamo dire, in tutta franchezza, che non si sa più, e già da vari lustri, cosa pensi la cattolicità della sua stessa dottrina, visto il numero vario e variabile delle idee prima affermate e poi smentite, quindi condannate o canonizzate da questo o quel presule parroco teologo e cardinale…

Dulcis in fundo, la scuola italiana. Secolare ed invidiato gioiello della nostra nazione, almeno dall’Umanesimo e dal Rinascimento in qua (con le prime università al mondo sorte nella penisola) e passando per la scuola di Stato di Croce e Gentile, la scuola pubblica sembra a poco a poco, anzi assai velocemente, cedere il passo alla cultura del vuoto, della mediocrità, del tutto e niente e del titolo per il titolo. “Avere il diploma! Avere la laurea!”. E poi? Precariato eterno o fuga verso altri lidi.

Molti, a destra e anche a sinistra, hanno giustamente criticato la Buona Scuola di Matteo Renzi, buona scuola che sfavorisce lo studio, l’apprendimento, la riflessione, l’impegno, il merito e che incoraggia invece progetti programmi e percorsi che hanno ben poco di scolastico e molto di ideologico. Pochi però hanno cercato di analizzare le cause e le radici di una crisi pedagogica-didattica-educativa-formativa che non ha atteso il trionfo del PD per manifestarsi. Anzi! Essa inizia ben prima dell’esistenza del PD e dei 5 stelle, di Forza Italia e della Lega.

Tuttavia, il peggio è immortale e tende a sorprenderci sempre. I problemi scolastici di fine ‘900 ad esempio paiono irrisori rispetto a quelli in atto e soprattutto a quelli che si annunciano in avvenire. Un libretto appena uscito ha il gran merito di indurci in poche pagine dense a sentire tutto il peso di una crisi attualissima, ma altresì epocale e (mal) celata. La quale però sta al centro di una vasta serie di problemi come l’educazione dei giovani, la perdita del senso della vita e dell’amore del bene comune, il ritorno dell’analfabetismo e dell’illettrismo (indotto?) e infine l’appiattimento culturale dei giovani nel senso voluto dai media (cf. Elisabetta Frezza, MalaScuola, Leonardo da Vinci, Roma, 2017).

Il saggio fa stato sulla crisi scolastica ed educativa, crisi innegabile e a questo punto sempre meno negata, tranne che dai negazionisti di mestiere, per i quali come disse una volta Walter Veltroni, “il futuro è sempre meraviglioso”! L’Autrice affronta di petto la decadenza della scuola e della trasmissione dei valori etico-sociali, in parallelo con la crisi della civiltà come tale, notando il “progressivo sfaldamento dei principi cardine su cui si regge da sempre la vita individuale e collettiva” (pagine 9-10). E già non è poco.

Ma il cuore della sua coraggiosa denuncia non è qui.

Esso si situa su ciò che noi genitori iniziamo a vedere nelle scuole della nostra città, ovvero una tentata manipolazione soft delle intelligenze giovanili in base alle nuovissime teorie sulla sessualizzazione precoce degli infanti, sulla libertà di scelta in materia di sessualità e di genere di appartenenza, e sull’idea – in verità stantia ma proposta ad ogni anni scolastico come incredibile trovata – della scuola più come laboratorio di vita e di socializzazione (meglio se multietnico, multiculturale, multireligioso…) che come luogo deputato alla trasmissione del sapere, del ben vivere e del conoscere.

Le pagine che la Frezza dedica al tema sono ottime per la documentazione e pessime per la rabbia che posso ingenerare nei lettori attenti.

In luogo dell’insegnamento umanistico-scientifico non sempre agevole certo per i cosiddetti nativi digitali, fondato su cultura, consapevolezza e spirito critico, la novella scuola è divenuta un insieme di percorsi (meglio se visivi e cinematografici) con questi nobili e imprescindibili pilastri educativi: “Differenze/diversità, amore, rispetto, inclusione, stereotipi, omofobia, bullismo, cyberbullismo, cittadinanza (attiva), legalità, orientamento, eccetera” (p. 89).

Attraverso un uso sapiente della storia e delle scienze, della letteratura e dei progetti extra-scolastici si mira a creare un uomo nuovo, il cittadino neutro dal punto di vista dei valori, ma anche apolide e sradicato, senza patria, senza famiglia stabile, e soprattutto senza convinzioni che non siano quelle inculcate da una stravagante ideologia liberal (col silenziatore): tolleranza, apertura, diversità, identità liquida e variabile, spirito di adattamento e di compromesso, laicità, valore del corpo e del sesso, libertà dai vincoli, dalla famiglia, dalla realtà, avversione al fanatismo, alla tradizione, al rigore, alle norme stabili e universali. “E’ la protervia dell’uomo che si fa dio a se stesso, arbitro del bene e del male, misura del proprio comportamento morale, padrone assoluto della vita e della morte” (p. 165).

Porsi questi problemi non è fare opera di disfattismo, ma esercitare quel sano senso critico che da un lato è venerato come un idolo dei nuovi pedagogisti à la page, ma d’altro canto senza basi culturali solide e strutturate, diventerà ben presto, per i giovani italiani, un’utopia e una chimera.

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