Lo chiamano “grumo”

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Una volta, quando l’uomo e la donna si univano in intimità potevano generare un bambino. Oggi non è più così, uomini e donne non ne sono più capaci. Da quarant’anni a questa parte, per bene che vada, al massimo producono un “grumo”.

Questa scoperta ha, fin da subito, avuto un forte impatto sulla salute delle donne, le quali hanno iniziato a soffrire di vari problemi fisici e psichici. Per scongiurare questo serio pericolo per la loro salute, nel maggio 1978, il Parlamento italiano ha approvato la legge 194, con la quale consentiva l’eliminazione dei pericolosi agglomerati cellulari. In questo modo si uniformava a quanto era già avvenuto in altri Paesi del mondo, che avevano già legiferato in materia allo scopo di scongiurare l’epidemia.

Da allora, in base ai dati in possesso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, si calcola che, nel mondo, siano stati estirpati oltre 1 miliardo di questi dannosissimi “cancri”, salvando così dalla malattia tantissime donne. Insomma, possiamo serenamente affermare, senza esagerare, che i provvedimenti emanati hanno avuto un successo formidabile!

In questa sede, è nostra intenzione scoprire qualcosa di più di questo terribile grumo, andando a vedere da vicino come si origina e poi si sviluppa. A tale proposito ricorreremo alle numerose scoperte scientifiche che la biologia ha compiuto in questo campo fino ad oggi.

Fecondazione e prima settimana di sviluppo

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Per scoprire come si origina il “grumo” e come avviene il suo primo sviluppo, ci affidiamo alle parole della dottoressa Cristina Fiore (www.beneinsieme.it):

… L’incontro tra uovo e spermatozoo è un gioco di seduzione, di messaggi, di corteggiamenti, di accettazione e di rifiuto. L’ovocita si prepara, prima dell’ovulazione, con il processo di meiosi (formazione del numero esatto di cromosomi ideale per un incontro fecondante, condizione per un incontro fruttuoso) e con la sintesi di molecole di mRNA, cosiddette di ‘lunga vita’. Il RNA messaggero è colui che porta le istruzioni affinché la cellula possa sintetizzare proteine, fondamentali per la sua vita; quindi, prima ancora dell’ovulazione, la madre fornisce al citoplasma che resta al figlio le informazioni perché egli possa avviare una sintesi proteica prima ancora di avere strutturato un proprio DNA e quindi di esserne capace da solo. L’RNA messaggero offre il modello per le primissime sintesi proteiche del nuovo essere ma non può essere usato se non è attivato da un fattore, portato dallo spermatozoo, che si chiama fattore attivante paterno.

Dopo l’ovulazione l’ovocita sfoggia tutto il suo sex appeal e si circonda da una nuvola di messaggi chimici che hanno il compito di richiamare l’attenzione dello spermatozoo (chemiotassi). Anche quest’ultimo si prepara, essenzialmente attraverso due meccanismi: la capacitazione e la reazione acrosomiale.

La capacitazione è un processo in cui persone o gruppi che si trovano in una situazione di impotenza apprendono modalità di pensiero ed azione che permettano loro di agire in maniera autonoma per soddisfare i propri bisogni fondamentali e incamminarsi lungo un processo di sviluppo: chi non aveva potere lo acquisisce, o meglio scopre di possederlo; in specifico il seme maschile in un periodo di condizionamento di circa 7 ore, che avviene nell’utero o nelle tube, libera il proprio acrosoma dal rivestimento di glicoproteine e liquido seminale (sperm coat) e diventa più attivo, si pone nelle condizioni di sviluppare la sua potenza.

La reazione acrosomiale consiste nella liberazione di enzimi proteolitici contenuti in un sacchetto che ricopre in parte la testa a mo’ di cappuccio (acrosoma). È la reazione che permette l’ingresso nell’ovocita ed è indotta da proteine zonali quando lo spermatozoo ha preso contatto con la zona pellucida dell’ovocita.

In pratica l’ovocita si pone in condizioni psicofisiche ottimali (meiosi) e stima un budget per il viaggio (mRNA), poi sfoggia tutto il suo sex appeal (chemiotassi); lo spermatozoo dal canto suo, cerca le sue migliori condizioni fisiche (capacitazione) e trova la capacità di vincere le resistenze e penetrare le difese (reazione acrosomiale).

Un corteggiamento in piena regola.

Quando gli spermatozoi raggiungono l’ovocita gli imprimono una rotazione in senso antiorario e lo fanno avanzare nella tuba muovendosi in modo simile ad un corpo celeste. Lo spermatozoo-principe supera la zona pellucida e entra nel citoplasma; si è realizzato il progetto a lungo preparato, quello che l’ovocita aveva atteso per tutta la vita, considerando che i gameti femminili sono presenti nell’ovaio fin dalla nascita.

È quindi la volontà congiunta dei fattori materno e paterno che permette la sintesi delle proteine (modello materno – assenso paterno) che serviranno nelle prime due settimane di sviluppo, quando il bimbo si chiama zigote/morula/blastula.

Appena lo zigote si divide in due cellule viene attivato il DNA del neoconcepito e comincia la sintesi dell’RNA messaggero; quest’ultimo viene messo da parte e verrà utilizzato per sintetizzare le proteine specifiche del bimbo a partire dal suo stadio di gastrula (terza settimana).

In ogni donna, anche quando non è ancora consapevole della gravidanza, si attiva ‘un’energia materna’, che sostiene e protegge la mamma e il suo cucciolo in modo silenzioso.

Dopo un giorno dalla fecondazione il bimbo pre-embrione chiama la sua mamma, inviandole numerosi segnali endocrini, e la mamma risponde e produce EPF (early pregnancy factor), ormone dalle proprietà immunosoppressive ma anche associato alla crescita. Alla pronta risposta materna il bimbo interagisce ancora e produce PAF (platelest activating factor) che favorisce la produzione di EPF.

 Al terzo giorno il pupetto è in grado di produrre HCG (gonadotropina corionica) che stimola le ovaie della sua mamma a produrre progesterone e estrogeni; vuole la sua culla! E la vuole comoda e confortevole… il progesterone inibisce la contrattilità uterina e gli estrogeni fanno diventare la mamma ‘morbida, elastica, comoda’. Inoltre la mamma copre il suo cucciolo con i propri anticorpi rendendolo invisibile al suo sistema immunitario; lo accoglie e lo protegge.

Il piccolino percorre tutta la tuba e deve annidarsi in utero, deve radicarsi nell’endometrio altrimenti morirà; la sua mamma risponde vascolarizzando l’endometrio, ammorbidendolo e rendendolo ‘adesivo’; la piccola morula può annidarsi e non cadere. Siamo arrivati al consenso formale e amorevole della mamma all’esistenza del figlio e all’offerta di sé.

 E poi? Che fa una mamma? Prepara la pappa! Gli offre il suo corpo-culla e prepara cibo buono e nutriente (aumenta il cortisolo e quindi si alza la glicemia). Il bimbetto quindi, al di là delle ambivalenze materne di inizio gravidanza, ha ricevuto cibo, accudimento, amore…”.

I progressi tecnologici sono, oggi, in grado di fornirci delle ottime immagini di questi primissimi istanti di vita. Vediamone alcune (Encarta 2006, Microsoft corporation):

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Siamo al primo giorno di vita. Circa 6-10 ore dopo la fusione tra lo spermatozoo e l’ovocita, è possibile osservare la presenza, all’interno della cellula uovo fertilizzata, di due pronuclei [Nella foto (Phototake NYC/Dr. Nikas/Jason Burns) appaiono come due macchie giallastre di forma irregolare] che contengono il dna del padre e della madre. Nelle ore successive i due pronuclei si avvicinano, trainati dal sistema di “funi” che attraversa tutta la cellula finché, giunti a stretto contatto, le membrane si rompono ed il loro contenuto si fonde. Si costituisce così, all’interno della sua prima cellula, il patrimonio genetico completo del nuovo individuo, che verrà trasmesso a tutte le cellule del corpo umano, e che rimarrà tale per tutta la vita. La fecondazione è compiuta: una nuova persona, unica e irripetibile, è stata generata.

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Lo zigote, la prima cellula del nuovo individuo derivante dalla fecondazione, inizia a dividersi per mitosi. Tale processo è detto segmentazione, e non comporta un aumento dimensionale dell’uovo. Di conseguenza, a ogni divisione si formano cellule geneticamente identiche ma sempre più piccole. La divisione avviene a partire dal terzo giorno e si verifica al ritmo di due volte al giorno, secondo una precisa geometria che l’embrione conosce molto bene. Qui l’embrione è chiamato “morula” perché dall’aspetto simile a una mora [nella foto (Phototake NYC/Jason Burns/Ace) una morula al terzo giorno di sviluppo embrionale]. Mentre continua nelle sue divisioni cellulari, la morula percorre le tube di Falloppio, finché, verso il quarto giorno entra nella cavità uterina.

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A cinque giorni di vita, l’embrione si trova già nell’utero, dove assume l’aspetto di una sfera cava detta “blastula”. La cavità si espande progressivamente finché si conclude con la formazione della “blastocisti”, quando l’embrione ha circa 180 cellule. Alla fine del quinto giorno, la blastocisti rompe l’involucro protettivo che aveva sinora rivestito l’embrione, affinché – verso il sesto/settimo giorno – possa impiantarsi nella parete uterina.

Dopo una settimana dal concepimento la mucosa uterina e già ispessita e riccamente vascolarizzata, grazie all’aumento della produzione di progesterone, iniziato dal concepimento. A questo punto l’embrione può aderire facilmente all’endometrio, e ricevere il nutrimento che gli è necessario, finché non si è formata la placenta.

Il “Cross talk” (Linguaggio incrociato)

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Sin dai primissimi istanti di vita, quindi, si instaura – tra madre e figlio concepito – un silenzioso dialogo fatto di amorevole reciprocità. L’embrione e la mamma “si scambiano cellule, messaggi ormonali [e] fattori di crescita” (Prof. Giuseppe Noia, www.noiaprenatalis.it).

“Grazie al costante colloquio incrociato con la madre, l’embrione va a impiantarsi nella zona migliore. […] È sorprendente anche osservare l’adattarsi della donna al proprio bambino, visto che ‘il loro patrimonio genetico è diverso al 50%’. […] Innanzitutto, non c’è il rigetto dell’altro, che si verifica quando è presente in un organismo un diverso patrimonio genetico: pensiamo, ad esempio, ai trapianti d’organo. Nel caso della gravidanza, invece, l’embrione dialoga con la madre per gestire la sua collocazione. […] Si tratta della ‘tolleranza immunitaria’, spiega Noia: ‘avviene una sorta di mascheramento delle parti paterne dell’embrione che avrebbero indotto la madre a rigettarlo’”.

Un vero e proprio scambio reciproco dove non è solo il corpo della mamma a prendersi cura del bambino, ma è anche il nascituro a svolgere un benefico effetto nei confronti di lei. Sempre il prof. Noia riferisce dell’esperienza documentata, negli Stati Uniti, dalla ricercatrice Diana Bianchi, la quale ha notato come “le cellule staminali del figlio ancora in grembo avevano circondato un follicolo tiroideo della madre che aveva avuto una tendenza neoplastica, trasformandolo in cellule tiroidee”. In sostanza, le cellule staminali – passate nel corpo della madre attraverso la placenta -, sono state in grado, prima, di individuare il tumore e, poi, di circoscriverlo e curarlo differenziandosi in cellule tiroidee.

Le cellule staminali del figlio “hanno quindi la potenzialità di riparare danni ad organi della gestante, trasmettendo benefici alla sua salute”.

Ma c’è dell’altro. Si è anche scoperto che le cellule staminali fetali possono rimanere per moltissimi anni all’interno del corpo della madre, anche fino a “35 anni dopo la nascita” del figlio. Infatti – continua Noia – è possibile “rintracciare cellule fetali nel sangue periferico, nella cute e nel fegato […]. In seguito all’impianto dell’embrione, dal dodicesimo giorno in poi, globuli bianchi del figlio si ritrovano nel midollo osseo e nel circolo sanguigno della donna, così gli eritroblasti (precursori dei globuli rossi)”.

Questo fenomeno potrebbe, anche, essere la spiegazione del perché le donne vivano più a lungo degli uomini.

È sempre il prof. Noia, a fornire una serie di dati relativi a ricerche effettuate sulla relazione madre-feto (www.noiaprenatalis.it/scienza-e-bioetica/33-aspetti-fisiologici-e-patologici-delle-interazioni-madre-feto.html) nei quali emergono “varie evidenze [che] dimostrano [come] nello sviluppo neuro-sensoriale del feto vi [sia] una intensa partecipazione materna e [come] i canali di comunicazione [siano] fortemente biunivoci”.

Un linguaggio incrociato, quello della madre con il feto, che non è solo di tipo “biologico-sensoriale”, ma anche “psicologico-spirituale”. Mentre nel primo caso la presenza del figlio ha un “incremento esponenziale”, nel senso che cresce con il crescere del bambino nel proprio ventre; nel secondo caso il figlio è percepito “indipendentemente dalle sue dimensioni” seguendo la legge del “tutto o nulla”: “la presenza del figlio viene avvertita come un tutt’uno di presenza, indipendentemente dalle sue dimensioni”.

È esperienza acquisita “come moltissime madri riescano a fare una corretta diagnosi di sesso del proprio bambino senza l’ausilio dell’ecografia o dell’amniocentesi”. È altresì esperienza comune come molte donne riescano a percepire di essere rimaste incinte prima che il test di gravidanza lo confermi. Infine – come riscontra il Prof. Noia in base alla sua esperienza personale – in più di venti casi di gravidanza gemellare, le pazienti avevano riferito una “diversità percettiva” ancor prima che la gravidanza gemellare fosse confermata dall’esame ecografico o ormonale.

In ambito neonatale “sta galoppando la conoscenza del protagonismo biologico dell’embrione fin dalle prime ore della sua vita”. Infatti, appena poche ore dopo la fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo, sono attivati “ben 46 geni”. Ciò significa che l’embrione ha, da subito, “la direzione del proprio progetto di vita, la sua individualità”. È quello che ha dimostrato Helen Pearson con l’affermazione “Your destiny from day one” (Nature 2002-418:14,15), “Il tuo destino dal giorno uno”.

Ricorda Giuseppe Noia che è ormai disponibile una vasta letteratura volta ad evidenziare proprio questo “protagonismo biologico dell’embrione” (ibid). L’embrione, quindi, oltre a dialogare con la madre si pone anche come “un direttore d’orchestra non solo del suo impianto, ma anche del suo destino futuro”.

Alcune considerazioni prima di proseguire

Prima di proseguire con lo sviluppo del piccolo oltre la prima settimana di vita, dobbiamo fare tre considerazioni.

Come prima cosa, possiamo concludere che, sin dai primi sette giorni di vita, definire l’embrione come un insignificante “grumo di cellule, senza vita relazionale biologica e psicodinamica”, come fosse un parassita o un cancro della donna, è assolutamente riduttivo e consapevolmente falso. Una terminologia, questa, volutamente scorretta che depone contro una vasta letteratura scientifica verificata e ampiamente riconosciuta.

Le scoperte scientifiche che altrove servono ad evocare un’empirica onnipotenza, vengono qui consciamente ignorate o maldestramente falsificate negando ogni evidenza. C’è chi dice che non è possibile stabilire scientificamente il momento in cui il feto si possa considerare un essere umano. Qualcuno lo ritiene tale quando si presenta la prima attività cerebrale, altri parlano di capacità respiratoria. Qualcun altro, ben più ardito, fa partire il riconoscimento di persona solo con la nascita, cioè quando l’ “ammasso cellulare” sia uscito dal limbo in cui è stato relegato e abbia la capacità di vivere autonomamente al di fuori dell’utero della madre della quale, fino a quel momento, è stato solo un’appendice.

Quei geni onniscienti, con i quali gli scienziati materialisti riescono a spiegare tutto, persino – attraverso l’impiego di una buona dose di fantasia e creatività – la maggiore o minore tendenza al tradimento, o al senso religioso, qui sono omertosi e muti. Incapaci di riconoscere l’evidenza, veramente empirica, che un nuovo individuo unico e irripetibile è già presente, a livello genetico, sin dalla fusione del gamete maschile e di quello femminile.

Che l’embrione sia un figlio e non un “grumo cellulare” risulta, altresì, evidente quando la donna incorre in un aborto spontaneo, con tutto il carico di dolore psichico che ne consegue. Ci troviamo qui davanti a quel linguaggio psicologico-spirituale già visto, attraverso il quale il figlio viene percepito indipendentemente dal suo stadio di sviluppo. Nessuna donna che ha abortito spontaneamente dirà mai – come fa notare Noia –: “Ho perso un embrione di 12 millimetri”, bensì: “Ho perso il mio bambino”. Ci sono donne che ormai anziane, versano ancora lacrime al riaffiorare del ricordo di quel loro figlio abortito spontaneamente in gioventù.

Studi effettuati sulla vedovanza hanno dimostrato che: “Il tempo di elaborazione e sedimentazione del lutto dopo un aborto spontaneo precoce (8-9 settimane) è temporalmente equiparabile alla elaborazione e sedimentazione del lutto di donne che hanno perso i propri mariti”.

La stessa cosa si verifica in caso di aborto volontario. Come la donna è in grado di percepire la presenza del figlio, prima di averne la conferma pratica, allo stesso modo riesce a percepirne l’assenza, anche se il figlio è stato abortito precocemente. Come dice il professore: “La perdita della presenza del figlio non è equiparabile alle dimensioni dell’embrione, poiché è indipendente dal peso in grammi e dalla lunghezza in centimetri”. Ne consegue che tutti quei tentativi, di certa classe medica, volti ad anticipare il prima possibile un eventuale aborto con lo scopo di risparmiare un maggiore dolore alle donne, sono destinati a fallire miseramente. Infatti, “il concetto di proporzionalità traumatica (piccolo embrione = piccolo trauma) è solo un fenomeno culturale proiettivo, utilizzando una proporzionalità matematica tra le dimensioni dell’embrione e l’entità del trauma psicologico, ma, nell’esperienza osservazionale e soprattutto nell’esperienza delle donne, non esiste”.

Si può interrompere, con un aborto, la percezione biologico-sensoriale, ma non si potrà eliminare quella psicologico-spirituale, che continuerà ad accompagnare la donna per tutta la vita.

Una seconda osservazione, che chiaramente si palesa, emerge quando si entra nel merito della fecondazione in vitro. È del tutto evidente come, in questo ambito, saltino completamente quell’iniziale corteggiamento e cross-talk di cui abbiamo parlato.

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Con la Fiv, infatti, la fecondazione avviene al di fuori del corpo femminile. Qui un ovulo maturo viene prelevato aspirandolo dalle tube di Falloppio, oppure direttamente dall’ovaio, mediante una piccola incisione addominale. In questo secondo caso, non essendo le cellule uovo ancora completamente mature, verranno stimolate alla crescita in provetta, mediante iniezioni di ormoni.

Quando gli ovuli sono pronti, vengono immersi in uno speciale liquido ricco di nutrienti, dopodiché viene unito, per circa 18 ore, dello sperma lavato e incubato. Il preparato così ottenuto viene posto in un apposito mezzo di coltura ed esaminato dopo circa 40 ore. Se gli ovuli sono stati fecondati, si formano gli embrioni che, allo stadio di 2-4 cellule, vengono trasferiti nell’utero della madre. Per aumentare le probabilità di gravidanza, si preferisce trasferire in utero più embrioni, ciò può, tuttavia, esporre la donna al rischio di gravidanza multipla. Ecco che allora interviene la legge, consentendo di congelare gli embrioni in esubero.

Dopo oltre trent’anni di fivet centinaia di migliaia di embrioni sono ancora lì, immersi nell’azoto liquido. Centinaia di migliaia di vite abbandonate o dimenticate da quei genitori che, nel frattempo, hanno fatto nascere i loro fratelli. Molti altri sono morti, visto che la percentuale di gravidanza per ogni ciclo di Pma si aggira intorno al 25%. Altri sono stati distrutti. Altri ancora usati per le sperimentazioni, anche le più aberranti, come la produzione di embrioni chimera, quelli, cioè, che contengono sia materiale genetico umano che animale.

Se consideriamo poi che i gameti femminile o maschile possono provenire anche da donatori esterni alla coppia, quella fase di corteggiamento – così ben descritta dalla dottoressa Fiore -, assume molto più i tratti di un appuntamento al buio o di un matrimonio forzato e combinato.

Quel dialogo incrociato che inizia con la fecondazione, continua durante il viaggio nella tuba fino all’impianto nell’endometrio è, qui, totalmente assente. Tant’è vero che, dopo il trasferimento in utero degli embrioni prodotti in laboratorio, alla donna devono essere praticate iniezioni quotidiane di progesterone. Quell’ormone che il cross-talk avrebbe stimolato naturalmente.

Il fatto stesso che la percentuale di successo della Fiv non vada oltre il 25%, può essere un segnale di quanto sia importante, in questi primissimi giorni di vita, quel dialogo silenzioso tra la madre e il bambino concepito, al fine di ottenere un ottimo impianto nell’endometrio e il buon proseguimento della gravidanza.

Ci rimane da considerare ora il terzo argomento. Vedere cioè quel che succede quando una donna assume la pillola del giorno dopo.

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La pillola del giorno dopo è un preparato a base di ormoni che va preso entro e non oltre 72 ore dopo un rapporto sessuale, che possa aver dato origine a una gravidanza indesiderata. La sua azione è di tipo “antinidatorio”, ovvero è in grado di alterare la parete uterina, impedendo che l’eventuale ovulo fecondato si impianti.

Come abbiamo visto, l’impianto del feto nell’endometrio avviene verso il settimo giorno dalla fecondazione, ovvero quando si trova allo stadio di blastocisti. In questo periodo la comunicazione non verbale madre-feto, intercorsa a partire dal concepimento, ha contribuito a preparare opportunamente l’endometrio, ispessendolo e vascolarizzandolo, al fine di favorire l’impianto.

Ebbene, quella bomba ormonale che è la pillola del giorno dopo, può interferire sia direttamente nella formazione propria dell’embrione, sia sulla parete dell’utero rendendola inadatta alla fissazione del feto che, conseguentemente, andrà perso come si fosse trattato di un precocissimo aborto spontaneo.

Scendendo a livello tecnico, è sempre il prof. Noia – nell’articolo già citato – a mostrarne le modalità. I dati confermano “come sia importante la relazionalità dei primi otto giorni ai fini di produrre il ‘cervello placentare’ in cui coesistono le produzioni di neuroromoni, neuro peptidi, neuro steroidi e neurotrasmettitori”. Da questo punto di vista risulta “molto difficile non ipotizzare che dei fattori ambientali nella fase endotubarica di tipo farmacologico-ormonale (vedi pillola del giorno dopo) non possano influenzare la preparazione dell’impianto e quindi nei fatti intercettarlo e provocare l’aborto precoce”.

Giuseppe Noia cita anche altre fonti: “L’azione del levonorgestrel sulle integrine comporta modificazioni biochimiche dell’endometrio che ostacolano l’impianto” (JD Wang e coll, Proceeding of the International conference on reproductive health, 1998). “I cambiamenti dell’espressione citochinica nella tuba di Fallopio influenzano lo sviluppo embrionale attraverso una alterazione del milieu peri-impianto” (HZ Li e coll, Molecular Human Reproduction 2004, 10; 7, 489; A Christow e coll, Molecular Human Reproduction 2002, 8; 4, 333-340). “Non possiamo concludere che la pillola per la contraccezione d’emergenza non impedisca mai la gravidanza dopo la fecondazione” (Trussel J e coll, Contracenption 2006, 72 (2), 87-89).

Questo è maggiormente vero, quando si prende in esame la pillola EllaONe, quella che ha efficacia “antinidatoria” fino a “cinque giorni dopo” un rapporto sessuale fecondante. Il principio farmacologico di questa pillola è l’Ulipristal acetato, che è lo stesso del gruppo farmaceutico della pillola abortiva Ru486. “Un antiprogestinico sintetico di seconda generazione, che tecnicamente svolge un’azione selettiva e antagonista per i recettori del progesterone e impedisce l’annidamento dell’embrione svolgendo quindi un’azione abortiva” (Prof.sa Maria Luisa Di Pietro).

È trascorsa appena una settimana, da quando l’ovulo e lo spermatozoo si sono fusi insieme dando origine a un nuovo essere umano e, per una moltitudine di questi piccoli d’uomo, la vita si è già interrotta.

Piccolissimi orfani di genitori viventi si trovano in un limbo congelato fuori dal tempo. Moltissimi altri sono periti durante i cicli di fecondazione in provetta, sia in quanto soprannumerari, sia perché selezionati, ovvero scartati a favore di altri considerati migliori. Tanti altri sono stati trasformati in cavie per la sperimentazione, comprese le più snaturate e di nessuna utilità, come la creazione dei mostruosi “embrioni chimera”.

Infine, moltissimi altri, sono stati abortiti precocemente, a seguito dell’azione antinidatoria dei “contraccettivi di emergenza”. Una quantità indefinita, difficile da quantificare poiché l’assunzione di tali pillole avviene propriamente in un contesto di incertezza.

Ebbene, proprio perché sfuggevoli a qualsiasi computo matematico, tutte queste perdite non sono state conteggiate tra quel miliardo e più di “grumi soppressi”, di cui dicevamo all’inizio. Una possibile stima approssimativa la possiamo, tuttavia, trovare nel libro di Antonio Socci “Il genocidio censurato, Aborto: un miliardo di vittime innocenti” (Piemme, I ed. 2006, pp. 21-23).

Riguardo agli embrioni perduti con la Fiv – si legge nel libro -: “Si calcola che solo per far nascere 20 bambini occorra ‘produrre’ circa 1.800 embrioni di cui dunque 1.780 destinati alla morte. Se è vero che oggi i nati con Pma nel mondo sono ormai circa 1 milione, per calcolare la moltitudine di ‘fratelli’ che sono stati ‘sacrificati’ dovremmo orientarci circa sui 90 milioni di embrioni”. Dobbiamo ora aggiungere quelli dei “contraccettivi di emergenza” e quelli dei sistemi di contraccezione come, ad esempio, la spirale. Anche se molte donne non lo sanno, la spirale è, infatti, un vero e proprio “contraccettivo” abortivo, visto che la sua azione consiste nell’impedire l’annidamento in utero dell’embrione già formato. A questo proposito, la dottoressa Thèrèse Gillaizeau Amiot stima gli aborti farmaceutici intorno “ai 4 milioni”; mentre quelli derivati dall’uso della spirale a “460 milioni” (si pensi che solo in Francia sono 2 milioni e mezzo le donne che la usano).

Come si vede le cifre sono immani. Le stime (sebbene valutate al ribasso) sono talmente grandi e la scia di morte così estesa e così direttamente proporzionale all’algida indifferenza globale che l’avvolge, da lasciare ammutoliti.

E allora non aggiungiamo altro. Chiamiamo a raccolta le nostre forze e proseguiamo nel cammino, perché il miliardo di “grumi” eliminati – dei quali stiamo seguendo il percorso – è riuscito, nonostante tutto, a superare la durissima selezione dei primi sette giorni di vita, continuando a crescere e svilupparsi anche nelle settimane successive.

La fissazione delle blastocisti

Il nostro “miliardo” è stato quindi generato dopo un “appassionato” corteggiamento e poi ha amorevolmente dialogato con la propria mamma. Non sono intervenute interferenze esterne, così tutto è proseguito per il meglio. Le blastocisti si sono ben impiantate nell’endometrio liberando quegli enzimi che, penetrati nella mucosa dell’utero attraverso i tessuti, hanno consentito ai piccolini di alimentarsi col sangue e con le cellule della madre, prima del formarsi della placenta. Qui si è prodotto una specie di brodo nutriente di ottima qualità che ha permesso il proseguimento della gravidanza. Se la mucosa uterina non fosse stata sufficientemente ricca, sarebbe sopravvenuto un aborto spontaneo, ma non è questo il nostro caso.

Seconda settimana di vita

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Le cellule iniziano a differenziarsi. Un grappolo diventa il sacco amniotico, cioè l’involucro pieno d’acqua salata dove crescerà il bambino. Un secondo grappolo si svilupperà tramutandosi in sacco vitellino dal quale ha origine la parte corpuscolare del sangue e la costituzione dell’intestino primitivo. Un terzo, infine, diventa la placenta.

Nell’ambito di queste strutture vi sono anche altre cellule che sviluppandosi rapidamente formeranno il bambino. Questi foglietti embrionali, o germinativi, sono di tre tipi: ectoderma, mesoderma e endoderma. Dal mesoderma si origina poi il mesenchima, o tessuto connettivo embrionale, formato da cellule disperse in un’abbondante sostanza intercellulare. La terna di tipi cellulari, più il mesenchima, rappresentano il tessuto originario da cui inizieranno a differenziarsi alcuni gruppi di tessuti che saranno presenti nell’organismo completo.

In particolare, dall’ectoderma si formeranno l’epidermide, il tessuto nervoso e le ghiandole endocrine, i capelli, le unghie, lo smalto dentario, il cristallino dell’occhio e le strutture dell’orecchio interno. Dal mesoderma deriveranno il derma, i muscoli, il sistema circolatorio, le ovaie o i testicoli, gli epiteli che rivestono le cavità corporee (peritoneo, pleure, pericardio). Dall’endoderma si formeranno il fegato, il pancreas, l’apparato digerente; le vie respiratorie; la vescica, l’uretra e la prostata; la tiroide, paratiroide e timo e le cellule delle linee germinali di ovociti e spermatozoi. Dal mesenchima si formeranno invece tutti i tessuti di tipo connettivale.

Piano piano l’embrione inizia a rendersi evidente assumendo la forma di un corpicino cilindrico.

Terza settimana di vita

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All’inizio della terza settimana (verso il 15° giorno) inizia il processo di gastrulazione che porterà, verso il 18° giorno, allo sviluppo di un asse di direzione caudo-craniale (coda-testa) dell’embrione. L’ectoderma si ispessisce e si introflette. Da questa struttura, in continua trasformazione, migrano delle cellule che si differenziano da quelle dell’ectoderma e si posizionano tra quest’ultimo e l’endoderma, dando origine al terzo foglietto: il mesoderma.

La parte centrale del mesoderma si distacca dalle porzioni laterali e forma un cordone, chiamato corda dorsale. Intorno a questa, per migrazione di cellule del mesoderma laterale, si formeranno i corpi vertebrali che andranno ad accogliere il canale neurale originatosi dall’ectoderma.

La corda dorsale, dopo aver svolto questa preziosa funzione di richiamo delle cellule del mesoderma, regredisce e non darà origine a nessuna struttura del nostro corpo adulto. Dal mesoderma laterale, invece, si formeranno lo scheletro, la muscolatura, il tessuto connettivo, l’apparato cardiocircolatorio e i reni.

L’abbozzo nervoso deriva dal foglietto ectodermico e compare attorno al 17° giorno, sotto forma di un ispessimento chiamato “placca neurale”. Successivamente la placca si approfonda fino a formare un avvallamento, la “doccia neurale”, che si chiuderà la settimana successiva (21°-28° giorno) dando origine al canale neurale. Da quel momento i neuroni inizieranno a moltiplicarsi al ritmo di 4.000 al secondo finché, al termine della 16° settimana saranno già più di 20 miliardi. Oltre a moltiplicarsi, le cellule nervose si differenziano e si dispongono a formare una fitta rete di comunicazioni.

È proprio durante questo processo di generazione dei neuroni (neurogenesi) che si origina quel particolare assetto morfo-funzionale che permetterà al nuovo individuo di svolgere le funzioni cerebrali più evolute tipiche dell’essere umano, come la percezione delle forme, il riconoscimento visivo, il coordinamento dei movimenti volontari, il linguaggio, l’apprendimento, la memoria, ecc.

Oltre al sistema nervoso, durante questo periodo si forma un altro importantissimo organo: il cuore. Al 22° giorno è piccolo quanto un seme di papavero e possiede solo due cavità, ma ha già il suo battito, grazie alla presenza di cellule specializzate, i miocardiociti, che sono in grado di contrarsi. La vera e propria circolazione embrionale inizierà tra il 27° e il 29° giorno. Le vene sono sottili come un capello, ma già in grado di permettere lo scorrere delle prime cellule di sangue, che devono portare ossigeno e nutrimento, indispensabili per il proseguimento della crescita.

Ora l’embrione assomiglia a un piccolissimo cavalluccio marino. Misura circa 3 mm. e ha le dimensioni di un chicco di caffè. Nonostante ciò, dopo solo tre settimane, ha già un suo sistema nervoso e il cuore che batte. Da questo momento non smetterà più, continuando a battere per tutta la vita, a meno che…

Quarta settimana di vita

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Siamo alla fine del primo mese di vita, il cuore funziona e il corpicino presenta già gli abbozzi di tutti i principali organi. Grazie ai foglietti embrionali inizia da qui l’organogenesi, quel processo che porterà alla formazione completa di ogni organo, tessuto e apparato.

L’embrione cresce di 1 mm. al giorno. A quattro settimane non è più grande di un fagiolo e il suo cuore batte 80 volte al minuto ma, ogni dì che passa, va sempre più veloce. Le piccole gemme che si sono formate lungo il corpicino si svilupperanno in braccia e gambe, mentre strati di tessuto si aggregano su quattro lati per formare il viso. La parte superiore diventerà la fronte e il naso, e le guance si ripiegano dai lati per riunirsi a formare il labbro superiore. Il segno di questa unione (la linea verticale incavata che dal naso arriva alla bocca) rimarrà tra i tratti somatici del nostro volto per tutta la vita.

Si può distinguere l’estremità cefalica, contenente le tre vescicole da cui avrà origine l’encefalo, e il cristallino degli occhi che si presenta come un puntino nero (Photo Researchers, Inc./Professors P.M. Motta and S. Makabe/Science Photo Library, Encarta 2006).

A partire dal sacco vitellino, durante questa settimana iniziano a formarsi le cellule germinali primordiali, i precursori degli oogoni (nella femmina) e degli spermatogoni (nel maschio). A meno di un mese di vita l’embrione prepara le linee cellulari dalle quali si origineranno i gameti: pensa già ai propri figli!

Siamo al termine della quarta settimana, l’embrione è ormai lungo circa 5-6 mm. In appena un mese, a partire dallo stadio di zigote, ha aumentato la sua massa di ben settemila volte.

Quinta settimana di vita

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Alla quinta settimana, la futura mamma ha già constatato un ritardo del ciclo e, probabilmente, le è sorto il sospetto di essere rimasta incinta. Mentre si appresta a trovarne la conferma con il test di gravidanza, il suo piccolino continua silenziosamente a crescere. La “doccia neurale” si è chiusa qualche giorno fa e i neuroni hanno già iniziato a formare la corteccia cerebrale, moltiplicandosi e differenziandosi. Intanto è iniziata anche la vera e propria circolazione embrionale: ossigeno e nutrimento vengono trasportati in tutto il corpicino, attraverso le piccolissime vene.

Ora l’embrione misura circa 1 cm., iniziano a comparire gli abbozzi di pancreas e reni, mentre quelli degli arti superiori e inferiori si sono allungati. Il cordone ombelicale è ormai perfettamente formato.

Sesta settimana di vita

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A sei settimane il piccolino ha appena le dimensioni di un fagiolo, è lungo circa 16 mm. e pesa in media 1 grammo. Si formano gli abbozzi delle mani e dei piedi e compaiono le dita. I genitali iniziano a differenziarsi in maschile o femminile. Le pulsazioni cardiache sono diventate ritmiche. Il cuore ha ancora solo due camere ma pulsa già a circa 150 battiti al minuto.

Settima e ottava settimana di vita

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Durante queste due settimane Iniziano a svilupparsi le ossa, i muscoli, i nervi ed i grossi vasi. L’estremità cefalica dell’embrione comincia a separarsi dal torace e in essa è possibile distinguere gli abbozzi di naso, orecchie e mandibole. Si formano anche le prime gemme dentali, quelle strutture dalle quali più avanti si svilupperanno i denti. La testa è ancora molto grande rispetto al corpo, in una proporzione rispetto a questo di un terzo. In essa compare il “corpo calloso” cioè quella struttura nervosa che collega gli emisferi destro e sinistro del cervello. Quest’ultimo appare lucido sotto la pelle sottilissima, rivelando l’intreccio dei vasi capillari.

Gli occhi sono coperti da una pelle intatta, che finirà con l’aprirsi e formare le palpebre. Gli arti si allungano e appaiono gomiti e ginocchia, mentre si sviluppano anche le dita. Il piccolino tenta sin da ora di scalciare debolmente, per quanto la madre non possa ancora percepire alcun movimento dato che, alla fine dell’ottava settimana, quando è in posizione raggomitolata, ha giusto le dimensioni di una noce, è lungo circa 4,5 cm. e pesa sui 6 grammi. La parete addominale non è ancora completa, tuttavia gli organi interni sono già tutti nella giusta posizione, eccetto quelli riproduttivi.

Al termine del secondo mese, il cuore ha cominciato a pompare vigorosamente il sangue dato che, finalmente, ha sviluppato le quattro cavità. Ora è come un cuore adulto, con due atri e due ventricoli, anche se di dimensioni piccolissime.

A questo punto il sacco vitellino – che per otto settimane ha nutrito il piccolino – diventa inutile e superfluo. La funzione nutritiva da qui, fino alla nascita, verrà assolta dalla placenta. Oltre a permettere il passaggio del sangue ricco di nutrimento, dalla madre al cordone ombelicale, la placenta funge anche da filtro. Tutto ciò di cui il feto non ha bisogno viene fatto defluire nel sangue della madre, come vengono filtrate le sostanze dannose presenti nel sangue di lei prima che arrivino al piccolo. Tuttavia la placenta non è in grado di filtrare farmaci, alcol e nicotina. Questi, se presenti, entrano nella circolazione sanguigna anche del bimbo che si sta formando, interferendo negativamente nel suo sviluppo.

Nel frattempo i test di gravidanza delle mamme di quel miliardo di piccoli d’uomo, hanno dato tutti esito positivo e tutte hanno – chi prima chi poi; chi combattuta e chi invece convinta; chi pensando ad un grumo senza vita e chi invece consapevole trattasi di un figlio -, deciso per l’aborto, attivandosi di conseguenza.

Nona settimana di vita

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All’inizio del terzo mese il piccolino non è più chiamato embrione, ma feto. Nulla di improvviso o di straordinario è accaduto tra l’ottava e la nona settimana, il nuovo nome vuole solo indicare che a questo punto egli presenta sembianze umane, con un aspetto nettamente definito ed il possesso di tutti gli abbozzi degli organi fondamentali.

Tutti gli organi e i tratti del feto si completeranno nel corso di questo terzo mese. La testa cresce dall’alto e la parte inferiore si allunga per formare il collo, mentre si sviluppa il mento. Il naso e l’orecchio esterno sono completamente formati e le dita delle mani e dei piedi diventano visibili, per quanto collegate tra di loro da una specie di membrana.

Tra la nona e la decima settimana nei genitali maschili si sviluppa il glande e in quelli femminili si presenta l’abbozzo dell’utero. Le gemme dentali si tramutano nei primi abbozzi di denti. Nel pancreas si formano le strutture preposte alla produzione di insulina. Le anse intestinali sono ormai rientrate nella cavità addominale ed è scomparsa l’ernia ombelicale fisiologica. Si formano anche il fegato, i reni e lo stomaco (grande quanto un chicco di riso). Il feto è lungo dai 5 ai 7 cm. e pesa in media 14 grammi.

Il bimbo continua a crescere e mentre si avvia alla sua dodicesima settimana di sviluppo inizia anche a fare le smorfie e a muovere tutte le parti del corpo, al fine di sviluppare i muscoli e irrobustire le articolazioni. La frequenza cardiaca aumenta ancora un po’, fino ad un massimo di 157 battiti al minuto. Questo sarà anche il valore più alto in assoluto raggiungibile. Dopo questo picco il battito inizierà a rallentare ed il cuore passerà sotto il controllo del cervello che inizierà a controllare anche il resto del corpo.

Dodicesima settimana di vita (84 giorni)

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I genitali esterni si differenziano definitivamente. La vescica e l’uretra sono ben sviluppati e inizia a funzionare la tiroide. Alla fine del primo trimestre iniziano a crescere anche le unghie.

A dodici settimane è già possibile registrare la presenza di una modesta attività elettrica cerebrale, sintomo della progressiva maturazione del cervello che aveva avuto inizio, dopo la chiusura della “doccia neurale”, verso la quinta settimana di vita.

In questo periodo il bimbo inizia anche a mettersi il pollice in bocca e a sviluppare la preferenza per la mano destra o sinistra. È lungo circa 8 cm. e pesa in media 60 grammi ma, da adesso in poi, crescerà molto velocemente…

Stop, fine… buio…

E invece no. Per la maggior parte di quel miliardo di nostri figli e non grumi – ora ne abbiamo una limpida ed esaustiva certezza – la vita si è interrotta qui. Non possiamo, allora, proseguire con le immagini che ci mostrino lo sviluppo nei mesi successivi, poiché questo non c’è stato, non è mai avvenuto, fermato, interrotto per sempre, da quei genitori che prima li hanno generati e poi hanno voltato loro le spalle. E allora è proprio meglio non mostrarle queste fotografie orribili ma drammaticamente reali. Chi vuole, del resto, le può trovare senza problemi in internet. Basta digitare “aborto” in un qualsiasi motore di ricerca per trovarsi di fronte a centinaia di immagini crude e crudeli, nonché di qualche filmato molto eloquente.

Immagini vere di pezzi di bambino insanguinati, altro che grumi! Qua un piccolo braccio con la sua manina. Più in là, tra la mescolanza di fluidi e tessuti, spunta un piedino. Poco distante ecco la testa… anzi no, pezzi di testa, giacché questa deve essere prima spezzettata per essere estratta più agevolmente… un orrore senza fine.

A questo stadio dello sviluppo, al centro della scena, c’è una asettica sala operatoria o ambulatorio, e poi cannule aspiranti, pompe, cucchiai e pinze. In tempi recenti la sala operatoria è stata sostituita da una semplice pillola abbinata al bagno di casa propria, o a quello dell’ufficio, o a qualsiasi altro luogo in solitaria.

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Più di un miliardo di piccoli d’uomo sono stati cancellati usando una buona dose di cinismo seriale, nonché di crudele fantasia. Molti sono stati aspirati fuori dall’utero della madre con apposite cannule connesse a una pompa aspirante, introdotte attraverso il canale cervicale, mediante una tecnica detta “isterosuzione”. Molti altri sono stati raschiati via a pezzi “svuotando” la cavità uterina mediante l’utilizzo di un particolare cucchiaio metallico, chiamato curette a cui, all’occorrenza, può essere abbinato l’utilizzo del forcipe, in un procedimento detto “dilatazione ed evacuazione”.

I progressi “farmacologici” permettono oggi di evitare attrezzi chirurgici e lettino d’ospedale, ingurgitando una “pilloletta” efficace entro la 7°settimana di gravidanza (49° giorno dall’ultimo ciclo mestruale), accedendo all’aborto chimico mediante assunzione della fantasmagorica RU486. Un preparato velenoso che, entrando in competizione con l’ormone chiave della gravidanza, il progesterone, lo blocca e ne prende il posto sostituendosi ad esso. Il risultato è la morte lenta del figlio in pancia per mancanza di nutrimento, finché non si distacca dall’utero ed è espulso fuori. E così le donne moderne, e pienamente emancipate, attive protagoniste del proprio aborto, possono verificarne il buon esito controllando nell’assorbente, in assoluta riservatezza e libertà, l’espulsione del feto morto.

Altri appartenenti a quel nostro miliardo di figli mancanti all’appello, sono stati abortiti anche in periodi successivi ai tre mesi di vita. Del resto ciò è consentito dalla legge e, quindi, perché non coglierne l’opportunità? In Italia, ad esempio, la legge 194 consente l’aborto anche oltre i 90 giorni quando siano accertate “anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (art. 6). In questo caso si parla di “aborto tardivo”.

Un metodo che si utilizza alla 16° settimana è quello che causa l’avvelenamento del bimbo, mediante una “infusione salina”. Attraverso un ago introdotto nel sacco amniotico, passando attraverso l’addome della madre, viene estratta una piccola quantità di liquido amniotico e immesso, al suo posto, una soluzione salina molto concentrata, che il feto respira e inghiotte. L’effetto corrosivo dei sali può anche bruciare e asportare il delicato strato esterno della pelle del bambino. Durante le 24 ore successive, mentre il figlio lentamente si avvelena, si dibatte e ha le convulsioni, la madre entra in travaglio ed espelle il bambino morto.

Un’altra forma di aborto tardivo è l’isterotomia, consistente in un intervento chirurgico come si trattasse di un taglio cesareo, con l’unica differenza che – visto che il bimbo non è ancora giunto a completa maturazione -, l’incisione dell’addome sarà molto più piccola. Feto e placenta possono quindi essere agilmente estratti.

E per finire, tra tutti quei bambini “scomparsi” ci sono anche quelli che sono stati uccisi con un aborto molto tardivo, cioè verso l’ottavo o nono mese di gravidanza, anche se in questo caso più che a un’interruzione di gravidanza sembra di trovarsi di fronte a un infanticidio.

Per aborti molto tardivi, fino al 2003, è stata applicata in America una pratica veramente crudele. Qui l’uomo ha veramente superato se stesso in quanto a fantasia creativa cinica e luciferina. Ecco di che cosa si tratta.

In un primo tempo il ginecologo si premura di porre il feto in posizione podalica poi, con una pinza, gli afferra i piedi e li porta fuori dall’utero, provocando così il parto. Successivamente tutto il bimbo viene estratto, ad eccezione della testa, che rimane dentro la madre. A questo punto, con delle forbici, procede ad eseguire un’incisione sulla base del cranio attraverso la quale verrà introdotto un catetere. Dal tubicino verrà quindi aspirato tutto il cervello del bimbo, nonché il restante contenuto della scatola cranica. La testa, così svuotata, sarà infine estratta.

In America questa tecnica è stata abolita il 2 novembre 2003 tuttavia in altri Stati, come ad esempio in Cina, pratiche abortive di analoga crudeltà, sono tuttora regolarmente utilizzate.

Il fatto stesso di considerare l’embrione un “grumo di cellule” senza vita, lascia fuori tutta quella che è la tematica della sofferenza del feto, per cui gli aborti sono praticati senza alcuna analgesia, nonostante sia ampiamente dimostrato come il feto sia in grado di provare dolore.

È sempre il prof. Noia ad evidenziare questo aspetto nel suo articolo (ibid): “Si può dimostrare che il feto, una volta acquisiti i recettori cutanei per la sensibilità nocicettiva (dolorifica) e possedendo già da 8 settimane le terminazioni nervose […] che portano la percezione del dolore sino al talamo, senta il dolore fisico come ampiamente dimostrato dal prof. Hanand e dagli studi nei feti prematuri”. Quindi, già “dopo la 15° settimana di vita il feto possiede tutti gli elementi anatomici-fisiologici e centrali non solo per sentire il dolore, ma anche per sentirlo in maniera fortemente amplificata, non possedendo fino a 27 settimane pain modification system (sistema di modificazione del dolore), che permette di modulare la sensazione nocicettiva”.

Ne consegue che, durante tutti quegli aborti tardivi effettuati oltre la 16° settimana il feto muore, non solo provando dolore, ma percependolo “con una sensibilità dolorosa dieci volte superiore”. Analisi cliniche hanno mostrato come “un insulto invasivo che oltrepassi la cute fetale, crei nel feto una brusca immissione di ormoni (endorfine, catecolammine, cortisolo) nel torrente circolatorio come risposta allo stress doloroso e sul piano vascolare una vasodilatazione a livello cerebrale”.

A seguito di queste evidenze, quando è stato suggerito, a quei medici che praticano aborti tardivi, di effettuare analgesie ai feti, alcuni di essi hanno immediatamente protestato contestando la proposta. Eppure – ci ricorda Giuseppe Noia – agli animali usati per le sperimentazioni “che poi vengono sacrificati, si effettua una analgesia per evitare il dolore. Perché allora il cucciolo dell’uomo dovrebbe essere trattato diversamente dagli animali?”. Chissà perché, la risposta è fin troppo ovvia. Dopotutto un topolino da laboratorio è pur sempre qualcosa: è un topo; l’embrione invece è un grumo senza vita, è un niente, e il niente è certamente molto meno di un sorcio qualsiasi.

Che il bambino si renda conto che qualcosa gli stia accadendo quando l’aborto inizia, è stato documentato nel 1984 da Bernard Nathanson, medico abortista americano e poi convinto pro-life, in quello che è diventato il noto documentario The Silent Scream (“L’urlo silenzioso”):

In esso viene mostrato un aborto in diretta di un feto di 12 settimane, ripreso durante l’ecografia. Nel filmato si vede chiaramente come, dal momento in cui la cannula aspirante fa il suo ingresso in utero, il bambino inizi ad agitarsi, a contrarsi, a ritrarsi. Mentre la cannula si muove freneticamente per individuarlo, lui sente di essere aggredito e si muove in modo spasmodico, vorrebbe fuggire e spalanca la bocca, come ad emettere un grido, di qui il titolo del documentario. Poi l’aspiratore rompe il sacco amniotico e, dopo aver fatto presa sul piccolino, lo risucchia verso il basso e gli strappa il corpo dalla testa… in quello che è un normale aborto di routine, consentito dalla legge, entro i primi 90 giorni di gravidanza.

Eppure, neanche un documento così evidente e reale, nonché le centinaia di immagini visibili in internet, dove è possibile constatare con i propri occhi ciò che accade durante un’interruzione volontaria di gravidanza, possono essere in grado di togliere quella cataratta di ideologia a chi si ostini a non voler vedere. A chi ritiene che l’aborto sia un diritto da difendere e lo spezzettare i propri figli nel grembo materno, una conquista della modernità. A chi pensa che il figlio in utero sia un aggregato insignificante di cellule, o un’appendice della madre e quindi, come tale, che spetti a lei decidere cosa farne, come fosse sua proprietà esclusiva. Semplicemente un niente, qualcosa che non esiste, giusto un po’ di materia amorfa, un amalgama indefinita di cellule, liquidi e sangue da gettare nella spazzatura… o da smaltire tra i “rifiuti speciali” ospedalieri. In appena trent’anni sono stati prodotti più di un miliardo di questi “rifiuti speciali”: un genocidio che non ha eguali nella Storia, da lasciare atterriti!

… e stelle

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Siamo giunti alla fine di questo viaggio che ci ha mostrato fino a quali profondità di male uomini e donne siano capaci di precipitare. Ora, dal fondo di questo abisso, di questo pozzo buio, volgiamo lo sguardo in alto, su al cielo, con la certezza che il Dio al quale persino il numero dei nostri capelli è noto, li ha ora tutti con sé, quel miliardo e più di piccoli angioletti, che nemmeno uno di essi è andato perduto.

Alziamo gli occhi lassù, tra le stelle, sicuri che la silenziosa strage non resterà impunita perché ad ognuno di quegli innocenti sarà resa giustizia. E qui saranno molti quelli chiamati a rispondere perché, come ricorda Giovanni Paolo II (Evangelium Vitae, n. 59) la colpa non ricade solo sulla madre che ha detto no. Colpevoli saranno anche i padri che hanno spinto all’aborto, o se ne sono infischiati lasciando sola la donna. Grave responsabilità morale ricadrà anche su familiari e amici che direttamente o indirettamente hanno spinto all’aborto con pressioni psicologiche o negando il proprio sostegno all’accoglienza quando avrebbero potuto darlo. Colpevoli saranno considerati pure i medici e il personale sanitario che ha materialmente eseguito, rinnegando così la propria vocazione e missione di curare e promuovere la vita.

La responsabilità coinvolgerà anche i legislatori “che hanno promosso e approvato leggi abortive e, nella misura in cui la cosa dipende da loro, [anche] gli amministratori delle strutture sanitarie utilizzate per praticare gli aborti”. Una responsabilità altrettanto grave riguarderà “quanti hanno favorito il diffondersi di una mentalità di permissivismo sessuale e disistima della maternità, sia coloro che avrebbero dovuto assicurare – e non l’hanno fatto – valide politiche familiari e sociali a sostegno delle famiglie”. Infine, anche le grandi reti complici saranno chiamate a rispondere, ovvero quelle “istituzioni internazionali, fondazioni e associazioni che si battono sistematicamente per la legalizzazione e la diffusione dell’aborto nel mondo”.

Come si vede, la responsabilità va ben oltre la personale autodeterminazione femminile. Quando tutti quanti ci troveremo di fronte a Dio per il giudizio personale (subito dopo la morte) e poi per quello universale e definitivo (al tempo escatologico), ci saranno parecchie sorprese.

Anzi, a proposito di colpa, è proprio alle donne che hanno abortito che il Papa rivolge uno speciale pensiero e un’esortazione a non perdere la speranza, perché il Dio che è perfettamente giusto è anche perfettamente misericordioso, come mostra il padre della parabola del figliol prodigo. Dio Padre non rifiuta il perdono a chi è sinceramente pentito. Un perdono, il Suo, che cura e risana la ferita nel cuore provocata dall’aborto e che restituisce veramente la pace.

Così scrive Giovanni Paolo II (n. 99): “Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l’accoglienza e l’attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell’uomo”.

Con queste parole di speranza concludiamo il nostro viaggio. Un cammino che ci ha precipitato giù a terra, lì dove gli uomini e le donne del nostro secolo hanno decisamente toccato il fondo, laggiù in fondo all’abisso dove il male ha vinto e il bene è stato sconfitto. Tuttavia la speranza non è vinta, quella speranza e consapevolezza che anche dal peggiore dei mali il bene possa risorgere più forte che mai, così che – come scrive il Papa -, dal dolore e dalla “sofferta testimonianza” per l’aborto volontario, possa rinascere la più eloquente difesa della vita.

Perché ciò accada è necessario che si ricominci a chiamare le cose con il loro nome. La strage degli innocenti (o il genocidio, come dice Socci) è avvenuta perché a quei piccoli d’uomo è stata tolta la dignità di figli, perché la menzogna ha prevalso sulla ragione. E allora con lo sguardo rivolto al cielo e al Dio che sa scrivere dritto anche sulle righe storte, chiediamo di darci passione e amore per la verità, chiediamo aiuto e forza per affermare la verità, affinché il vero possa tornare e risplendere.

Un ultimo pensiero riserviamo a quei figli, a quel miliardo di piccoli angioletti affinché – come le stelle rendono luminosa la notte più buia – anch’essi, con il loro sacrificio, possano illuminare di nuova consapevolezza gli uomini e le donne di questo tempo. Di modo che l’immane strage possa essere fermata e la scia di dolore che si porta appresso, quel dolore che dal cuore delle donne si è riversato e sparpagliato nel mondo, si tramuti da adesso in poi in un grande “sì”: sì al bene, sì alla verità, sì alla vita.

 

Bibliografia e sitografia:

  • Cristina Fiore (www.beneinsieme.it).
  • Giuseppe Noia (www.noiaprenatalis.it).
  • Encarta 2006, Microsoft corporation.
  • Antonio Socci, Il genocidio censurato, Aborto: un miliardo di vittime innocenti, Piemme, Casale Monferrato (Al), I ed. 2006.
  • curvedicrescita.com
  • cavmelzo.it
  • med.unsw.edu.au/embryo.html
  • alessandrofeo-it/sviluppo_del_feto.html
  • gravidanzaonline.it/gravidanza/viaggio_meraviglioso.html
  • Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, marzo 1995

Tratto da:

Lorenza Perfori, “Scegliere la Vita”, Fede & Cultura, maggio 2011

(Il libro della 1° Marcia Nazionale per la Vita – Desenzano del Garda, 28 maggio 2011)

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