SOFFERENZA DELL’UOMO E SOFFERENZA IN DIO 2. Verità della morte e del soffrire ed orientamento protestante

Sofferenza in Dio nel dialogo teologico

All’interno del dialogo ecumenico, apertosi fin da prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, il tema della sofferenza di Dio ha preso sempre più piede fin quasi a porre in ombra, anche in area cattolica, il tema della impassibilità di Dio. Questo per un equivoco nella lettura di piani per loro natura diversa.

 

Guiard des Moulins, Bible historiale, Miniatura della SS. Trinità,  XV sec., Parigi, BNF

 

Dio, in quanto incarnato in Cristo, progressivamente, sembra diventare Dio della storia non tanto nel senso di suo Signore, ma di Dio storico, che, della storia, della dimensione temporale e umana, assume tutte le sembianze sino a smarrire le proprie. Le prerogative dell’eterno progressivamente vengono meno, tanto che, nella pratica del linguaggio, anche dei fedeli, il Cristo diviene l’amico Gesù non in senso evangelico, ma quasi banale del termine. Viene meno il presupposto di carattere non solo metafisico, ma anche rivelativo di quel Dio, che resta inaccessibile tranne che nell’incarnazione.

 

 

Miniatura della SS. Trinità, sec XV Firenze – Opera del Duomo – Cod. G 2 n. 16 – C 93

 

Ma Colui che è incarnato –sappiamo per la rivelazione- non smette di sedere alla destra del Padre, di essere, cioè, Dio con tutte le sue prerogative. A tal riguardo vedi l’articolo del teologo Manfred Hauke, Gli attributi di Dio, in RTLu XVI (1/2011) 5-11, in particolare a pag. 9.

Parte della filosofia e della teologia contemporanea e del secolo scorso salta le questioni della impassibilità di Dio per dare attenzione alla sofferenza

dell’uomo omettendo, congiuntamente, la questione del peccato dell’uomo. Non occorrerebbe riportare citazioni dal Nuovo Testamento per affermare che Cristo è attento alla sofferenza dell’uomo. Infatti, ogni volta che Egli se ne fa carico, lo fa in compresenza del riconoscimento da parte dell’uomo del proprio peccato. Gesù viene precisamente accusato dai suoi avversari di rimettere i peccati come solo  Dio può fare!

 

Sofferenza e peccato

Nell’annuncio di Atti 2-4 Pietro si preoccupa di rendere ben chiaro agli astanti che si sono macchiati di peccato di deicidio. Perché, allora, taluni teologi, parlando della sofferenza dell’uomo, tralasciano la questione del peccato, mentre Pietro la pone in evidenza? Pietro, poi, non si chiede cosa facesse Dio mentre il Figlio moriva, ma dichiara, invece, che gli astanti hanno causato la Sua morte. Pietro convince il mondo quanto al proprio peccato. Egli incarna la missione dello Spirito.

Una riflessione sulla sofferenza dell’uomo, disgiunta dalla riflessione sul suo peccato, non dà risposta alla sofferenza dell’uomo; non lo salva!

Oggi, però, tra gli annunciatori come tra gli uditori della Parola, l’annuncio della resurrezione di Atti, che parte dall’accusa di peccato verso i giudei, non ha, apparentemente, molto significato. I giudei avevano la nozione di peccato, gli uomini di oggi no; indipendentemente dal fatto che il peccato esista o meno.

Al contempo, non vi è poi gran differenza tra chi ignora il peccato e chi, convinto di essere legalmente puro, si ritenga immune da peccato. Entrambi vanno convinti di peccato (Gv.16, 8).

In un’intervista riportata dal quotidiano online La Nuova Bussola Quotidiana, di Lorenzo Bertocchi,  del 01-06-2015, il Cardinale Arcivescovo di Washington  Donald Wuerl dice:  «Quando ero un giovane sacerdote nella decade tra il 1960 e il 1970, c’era molta sperimentazione e confusione nella Chiesa. Gli insegnanti e il clero sono stati incoraggiati da alcuni a comunicare l’esperienza dell’amore di Dio, ma senza riferimento al Credo, ai sacramenti, o alla tradizione della Chiesa. Non ha funzionato molto bene. I cattolici sono cresciuti con l’impressione che il nostro patrimonio fosse poco più che un sentimento vagamente positivo su Dio. Quegli anni di sperimentazione hanno lasciato molti spiritualmente e intellettualmente deboli, e incapaci di resistere allo tsunami di laicità che si è verificato negli ultimi decenni. Abbiamo perso molte persone, perché non siamo riusciti a insegnare sul bene e il male, il bene comune, la natura della persona umana. Questo ha lasciato molti senza la possibilità di ammettere che siamo peccatori, che abbiamo bisogno di Gesù, perché molti non sanno più che cosa è il peccato».

Va ben compreso che non vi può essere misericordia senza riconoscimento del proprio peccato. Questo è lo snodo, che permette di accedere, o meno, alla comprensione del mistero della sofferenza. Se non ci fosse il peccato, Gesù non avrebbe dovuto affrontare il male, né soffrire, né ci chiederemmo se il Padre e lo Spirito soffrissero con e per Lui.

 

Impassibilità di Dio e salvezza, Dio ingiusto e insensibile

La Sacra liturgia, nel rito delle esequie, non cessa di ripetere: «Con la morte la vita non è tolta, ma trasformata». Questa è la verità della sofferenza e della morte. Ma al congiunto, che si dispera per il caro defunto, chi va a dirgli: -Non ti preoccupare, è un duro momento, poi passa tutto? – Io soffro adesso!!, risponderebbe il poverino. E lì, spesso, nasce la questione del Dio ingiusto ed insensibile.

 

 

Manoscritto sec.XIV, Acta sancti Petri pictis imaginibus adornata

– Vaticano –Bibl. – ms Vat. Lat. 8541 –Fol. 8 v. San Pietro guarisce Enea a Lidda, At 9, 32-35.

Qui entra in crisi, nel pensiero contemporaneo, -cioè per chi non ha ancora accolto la parola di conversione-, l’idea di impassibilità di Dio, verità peraltro fondamentale proprio per il mistero di salvezza, perché l’uomo sia certo della vicinanza di Dio. Se Dio non fosse impassibile –oggi sembra un assurdo e quasi una bestemmia- non salverebbe l’uomo! Pietro, davanti ad Enea, ammalato da otto anni, e a Tabità, da alcuni giorni defunta, si inginocchiò con fede nella potenza del Santo Nome di Gesù. Guarì l’uno e fece risorgere l’altra. L’uomo di fede e l’uomo che vuole aver fede si affidano alla potenza di Dio anche davanti all’irreparabile!

 

Manoscritto sec.XIV, Acta sancti Petri pictis imaginibus adornata

– Vaticano –Bibl. – ms Vat. Lat. 8541 –Fol. 8 v. San Pietro risuscita la munifica Tabità a Jeffe, At 9, 36-43

 

Al riguardo, molta teologia teme che accettare l’impassibilità di Dio equivalga ad attribuire a Dio la volontà di far soffrire sia l’uomo, sia il Figlio. Bisognerà tenere presente che, salvo cadere in un antropomorfismo mai accettato dalla fede cristiana (Rm 1, 23), in Dio ogni attributo, che manifesta un volto umano, mai va confuso con gli attributi umani: dall’ira alla giustizia, all’amore, alla sofferenza, Dio non vuol far soffrire né far gioire … Non si tratta di qualità, che eccedono le nostre (via negationis, via affirmationis, via eminentiae)[1], né sono di grandezza infinita. Esse eccedono anche il nostro modo di concepire, perché negli attributi di Dio c’è spazio persino per quanto noi possiamo considerare antinomico e disdicevole. Per dirne una: in Dio, oltre che per la sapienza, vi sarebbe  posto anche per l’insipienza o la follia. Dio è indefinibile. Pensare di dire che il Padre non è indifferente alla sofferenza del Figlio in realtà non ci dice cosa ciò comporti, ma certo non comporta lo stesso genere di partecipazione di chi, uomo, patisce per la propria umana sensibilità. Rischieremmo di trasformare il Padre, lo Spirito, Gesù, in un uomo più grande e perfetto dell’ordinario. Lo stesso Agostino, comunque, così convinto dell’immutabilità di Dio, come quasi Suo principale attributo, non fa che parlare della Sua vicinanza a lui nella sua vita e della Sua inabitazione. Non lo sente lontano grazie alla fede.

 

 

Piero della Francesca, Sant’Agostino, Cassiciaco, 1445-1460

Impassibilità e compassibilità di Dio

Al contrario, il possibile effetto della negazione dell’impassibilità di Dio, propria di questi orientamenti teologici protestantici, è non riuscire più a capire quanto insegna San Paolo: «Completo nella mia carne – citato anche in Salvifici Doloris, 1 – quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24).

Perché l’affermare che Dio è vicino alla sofferenza dell’uomo e di Gesù, dovrebbe necessariamente negarne l’immutabilità e l’impassibilità? Dio, come insegna Sant’Agostino, Dottore della Chiesa, e non solo teologo, è immutabile. Se mutasse, significherebbe che non ha raggiunto l’autorealizzazione, o che non sa permanere nel proprio stato, e questo è assurdo. Se vogliamo assumere le espressioni bibliche di passibilità (qualunque esse siano: ira, gioia, dolore, odio …) dovremo anche pensarle diverse da come noi le intendiamo, pena la deriva della ragionevolezza della fede (Teologia fondamentale). Purtroppo, una teologia, che accosta le Scritture prescindendo dall’ancilla theologiae e dalla metafisica, dimenticando che Dio è oltre le cose, è portata a confondere immutabilità ed inerzia.

La Tradizione ha sempre parlato di operazioni di Dio, di azioni pur in presenza della Sua immutabilità, questo perché immutabile significa che  Dio resta uguale a sé stesso e, in quanto onnipresente, essendo presente ad ogni realtà delle proprie creature, è ad esse intimamente vicino in ogni loro declinazione possibile, quale anche la sofferenza. Questo passaggio è fondamentale perché si capisca il valore e la possibilità dell’impassibilità-immutabilità come non in contraddizione con la compassibilità di Dio.

 

 

Giudizio universale, Monastero di Sant’Angelo in Formis (Capua), sec VI.

 

Per dire che Dio è vicino all’uomo, che soffre, quindi, non è necessario affermare che non sia immutabile, o che Dio non vuole tale sofferenza. Egli stesso ne rivela il senso attraverso il Figlio, che la accetta come disponibilità a lasciarsi uccidere da un uomo che non lo accoglie, al fine di farsi raggiungere dall’uomo e mostrarglisi vicino. Il Padre lo manda tra uomini del genere, -anche essi Suoi figli-, simili più a vignaioli infedeli che a figli di un Padre Misericordioso (vedi figlio più giovane della parabola) proprio per l’amore che ha verso l’uomo ed ogni creatura.

 

[1] Vedi p. es. la sintesi in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I, q. 13, art. 2.

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Autore: Marcello Giuliano

Nato a Brescia nel 1957, vive a Romano di Lombardia (BG). Dopo aver conseguito il Baccelierato in Teologia nel 1984 presso il Pontificio Ateneo Antonianum di Roma e il Diploma di Educatore Professionale nel 2001, ha lavorato numerosi anni nel sociale. Insegnante di Religione Cattolica nella Scuola Primaria in Provincia e Diocesi di Bergamo, collabora ai cammini di discernimento per persone separate, divorziate, risposate ed è formatore per gli Insegnanti di religione Cattolica per conto della stessa Diocesi. Scrive sulle riviste online Libertà & Persona e Agorà Irc prevalentemente con articoli inerenti la lettura simbolica dell’arte ed il campo educativo. Per Mimep-Docete ha pubblicato Dalla vita alla fede, dalla fede alla vita. Camminando con le famiglie ferite (2017); In collaborazione con Padre Gianmarco Arrigoni, O. F. M. Conv., ha curato il libro Mio Signore e mio Dio! (Gv 20, 28). La forza del dolore salvifico. Percorsi nella Santità e nell’arte, (2020). Ancora con Padre Gianmarco Arrigoni O. F. M. Conv., Non è qui, è Risorto! Mimep-Docete, Marzo 2024.

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