Il terremoto è il contesto. Ogni storia ha un suo contesto dove disporre i suoi protagonisti. Ogni narrazione letteraria necessita di un orizzonte dentro cui si muove la vita, si incrociano i destini, si agita la fantasia. Ogni romanzo ha una sua ambientazione e non sempre si tratta di qualcosa che sta semplicemente sullo sfondo.
In “Multivan” di Matteo Prosperini (Ed. Pendragon, pag. 201, € 15,00) il sisma del 2012 in Emilia Romagna è il contesto del tutto imprevedibile (eppure, inconsciamente desiderato come si attende sempre qualcosa che cambi la vita come sembra dirci Francesco uno dei personaggi meglio raccontati dall’autore quando sospira “ci vorrebbe un grande evento, una cosa eccezionale”…). Con le scosse si muove la terra, ma pure questo piacevole romanzo in cui si girano le pagine e si accumulano le macerie delle misere vite di un paese della bassa bolognese. Il terremoto è, tuttavia, anche il grande pretesto perché le esistenze
di ciascuno, come in un grande specchio, si rivelino.
Prosperini riesce, con sorprendente profondità narrativa, a testimoniare cosa sia stato il sisma del 2012 là dove era impensabile che accadesse. Le scosse fanno emergere, come il fenomeno della fanghiglia che esce dalla terra, ciò che è già presente nell’animo. “Il terremoto ha semplicemente detto la verità sulla vita delle persone” (pag. 194).
In un dialogo tra il don del paese e Fabrizio, distratto, egoista, generoso sposo e padre di due figli, in cui la confidenza tocca la dimensione più intima della propria vita nuziale rivelando come dal giorno del sisma non avesse più dormito con la moglie né avuto rapporti sessuali, il sacerdote gli domanda: “Ma è tutta colpa del terremoto?”.
L’autore che ha vissuto quell’evento sa che c’è un prima e un dopo che non si risolve solo nel fatto che la ricostruzione richiederà anni e “niente sarà più come prima”. Non è questo lo sguardo che gli preme. Anche in un altro grande scenario della vita, la malattia o la perdita di lavoro, le cose non sono più come prima. Il dato più sorprendente di queste pagine, a tratti commoventi, in altre leggere e scanzonate, in altre ancora drammatiche, è questa la verità della realtà. Le cose che accadono non solo banalmente succedono. I fatti della vita, anche gli imprevisti più minuti e non solo gli eventi eccezionali, sono la grande possibilità perché le persone siano poste dinanzi a se stesse, riconoscendone i limiti e i valori, mettendole in un potenziale cammino di libertà. “Il terremoto, come un crash test, svela a ciascuno di noi le parti forti e quelle meno resistenti, e questo è davvero liberante (pag. 189).
Il potere della realtà è di ricondurre alla realtà. E’ come il ritorno da un esilio. Lo straniero può tornare finalmente alla sua patria. Paradossalmente, là dove la casa è crollata è possibile finalmente tornare a casa, abitare relazioni, mettere a tavola la vita.
Non si tratta di qualcosa che riguarda uno. Il terremoto è, tuttavia, un evento. Se ogni accadimento ha il potere di richiamare al reale e all’ideale, il sisma è qualcosa che riguarda tutti allo stesso modo. Il romanzo di Prosperini, in questo drammatico contesto e suggestivo pretesto, racconta la storia di un paese che deve fare i conti più che con l’inagibilità delle abitazioni e delle strutture con le tante “inagibilità del cuore”. Anche l’edificio del protagonista, il prete, si scopre pieno di crepe. Non ci si riferisce alla chiesa parrocchiale in cui tutto era pronto per la Prima Comunione, ma al suo mondo interiore. “E’ lui che ha messo a nudo la mia superbia, l’ha come mascherata, portata in superficie” (pag. 189). Nessuno può essere esonerato da un lavorio su di sé, dentro di sé, rimuovendo la polvere che si è addensata sul tanto fare, tirando fuori dalle macerie una modalità inedita di essere. Elena, Fabrizio, Francesco, Paolo, il picchiatore, Beatrice, il Sindaco … tutti sono mossi, dai sussulti del sisma, a fare i conti con le malattie dell’animo che rendono instabili le relazioni, ipocrite le parole, precarie le volontà, fragili le esistenze, sentimentale l’amore…
L’imprevisto è qualcosa di necessario che accade per ridestare e risorgere. Non come autoaffermazione machistica come di chi “tiene botta”, ma come di chi trova quello aveva perduto. Una nuova capacità di amare e vivere.
Sul Multivan, stupenda analogia dell’Arca di Noè, come un surfista in mezzo alla tempesta, c’è posto per tutti. Chi vi sale, si salva.
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