di Paolo Pugni (il Blog di Costanza Miriano)
Caro Riccardo,
ti ricordi quando mi incalzavi con le tue domande che mi parevano persino aggressive? Quando insistevi nel chiedermi, e chiederti, come fosse possibile conquistare, non per invasione per attrazione, coloro che più amavamo e più ci sfuggivano?
“Dobbiamo indossare i vestiti della festa”, dicevi prendendomi per il braccio e agitando l’altra mano sulla quale svettava inquietante l’indice teso come una carezza, “e mettere su la faccia da salvati, altrimenti ce ne verrà chiesto conto! Basta con le minacce! Basta con le
maledizioni! Dobbiamo innamorare!”.
E te ne andavi in giro smarrito, come se fosse possibile trovare negli angoli, negli spigoli, la soluzione. Fosse possibile cambiarsele queste facce e trovarne di nuove, radianti più che radiose, capaci di indicare la via, quel “più in là” che dicesse dove andare, che rimandasse a Dio tutto e tutti.
Avevi appeso agli stipiti di casa tua i versetti della Bibbia, come si legge nell’Antico Testamento, perché il tuo pensiero fosse sempre diretto là, come se quella faccia fosse solo la conseguenza di un pensiero mono-diretto, single-minded per dirla all’ammericana (sì con de M). E la tua famiglia, moglie e cinque figli, ti seguiva non so se per rispetto o per pazienza, temo non per amore, per quell’amore che tu volevi ispirare per attrazione.
Che cosa hai sbagliato? Dove s’è incriccato l’animo tuo? Qual è stata la crepa che ha lasciato entrare il veleno?
Riccardo, avrei dovuto capirlo quando un’estate, alla solita cena tra uomini, venisti velato da una canotta elastica, che rivelava muscoli nascosti, come se la tensione facesse sparire anni e sbobinasse il tempo.
Non lo notai –e quale uomo l’avrebbe fatto?- se ne ricordò mia moglie, che pure t’aveva visto di sfuggita, tempo dopo.
Che cosa hai fatto Riccardo? Perché hai barattato quella salvezza per un letto non tuo? Come hai potuto scambiare il bene con il tuo orgoglio? Che cosa ti ha spinto a recitare, tu che stavi così attento alle parole, la più sdrucita di tutte le battute da filmetto sguaiato: “è ora che pensi a me stesso!”?
Ma soprattutto, dove ho sbagliato io per non essere stato capace di vedere, di sentire, di anticipare, di esserti vicino?
Perché di questo mi pento, di averti scagliato lontano, senza speranza, senza rimpianto. Di averti ormai giudicato perso, vigliacco, infame traditore, profanatore. E non aver mosso un dito.
Così quando un anno fa per errore chiamai te invece che l’altro Riccardo al quale l’intenzione era rivolta, fui atterrito e per un istante pensai di bruciare la conversazione in un lampo. Ci scambiammo poche parole, di superficie, per non toccare la ferita, per non rivelare il dolore.
E poi il vuoto.
Non ce l’ho addosso quella faccia che tu volevi, non riesco a percorrere il sentiero che porta all’attrazione. Vorrei. Non muovo che pochi passi impaurito. E il tuo ricordo ora mi seduce, mi invoca. Che fine hai fatto Riccardo? Dove sei? Vedo la tragedia che hai lasciato, vedo il vuoto nella tua famiglia che pure s’è ripresa e respira e cresce e vive. Ma come monca. Non per la tua mancanza, che ormai la cicatrice è asciutta. Ma per averli depredati dei ricordi, quelli dove tu non hai più posto, come una foto strappata a metà.
Mi richiami ad amarti, a mettermi al tuo fianco, a piangere, a sgridarti. Perché questo è l’amore, questa è la faccia da salvati: prendere il tuo odore senza approvare la tua puzza. Che sono cose molto diverse.
Abbracciare la tua pena, se c’è e se non c’è fartela sorgere, perché non è bene quello che hai fatto, ma il male non è più importante di te.
Faccio fatica sai?
Perché colpisce duro stare con i cattivi. Ti sporchi e devi essere molto più forte. E non so se ce l’ho questa forza io. Ho paura.
Ma non sono da solo e allora devo scendere giù nel gorgo, legato forte al mio muro, e darti la mano –che fa da ponte tra il tuo errore e la tua sofferenza- e starmene lì, avvinghiato a te a capire, a parlare, a spiegare, ad amare.
Allora ci tornerà addosso, ci assalirà, ci splenderà in volto quella faccia da salvati che cercavi tanto, e che ti riporterà là dove hai deviato.
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