Relatio Synodi: verità dimezzate…

relatio-synodi-cover-655x1024Che la Relazione finale del Sinodo straordinario sulla famiglia sia migliore di quella elaborata dopo la prima settimana di discussioni è indubbio. Tuttavia, bisogna evitare i facili entusiasmi. Il testo, infatti, pur non presentando errori, non ribadisce la verità tutta intera ma, anzi, cerca di annacquarla. In effetti, la Relatio fa aperture che, come nota compiaciuto Andrea Tornielli su Vatican Insider , solo qualche anno fa sarebbero sembrate impensabili.

Prendiamo per esempio i paragrafi 52 e 53. In essi si affronta il tema dell’accesso all’Eucaristia dei divorziati risposati: senza prendere alcuna decisione, si lascia aperto il dibattito, in vista, evidentemente, del Sinodo ordinario dell’anno prossimo. È però inquietante veder spalancare la porta a ipotesi che, secondo il Magistero della Chiesa, avrebbero dovuto essere definitivamente chiuse.

Nel 1994, la Congregazione per la dottrina della fede emanò una lettera ai vescovi “Circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”. L’allora card. Ratzinger, con l’approvazione di S. Giovanni Paolo II, ricordava (al n. 5) che il divieto di dare la Comunione a questa categoria di fedeli è da considerarsi prassi vincolante, così come lasciato intendere dall’Esortazione Apostolica Familiaris consortio (1981). Perché, a vent’anni di distanza, i vescovi continuano ad interrogarsi sulla validità o meno di questa disciplina? La morale può cambiare nel tempo? E la dottrina sui sacramenti? Non stupisce allora che tali paragrafi non abbiano raggiunto i 2/3 dei placet.

Altro punto che non ha conseguito la maggioranza qualificata è il n. 55, in cui si affronta il tema dell’omosessualità. Tornielli nota con studiato disappunto che tale paragrafo riprende semplicemente il Catechismo e un documento del Sant’Uffizio: come è mai possibile allora – sembra chiedersi – che non sia stato approvato? La risposta potrebbe essere questa. Leggendo bene il testo, infatti, ci accorgiamo che parla solo del rispetto dovuto agli omosessuali. Certo, è doveroso accogliere e amare le persone, e pure ricordare che le tendenze non sono peccati. Ma, come Tornielli sa bene, il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 2357, definisce gli atti omosessuali «intrinsecamente disordinati», che «in nessun caso possono essere approvati» (nemmeno se due stanno insieme da 30 anni: qualcuno lo spieghi al cardinale Marx!). Tutto ciò è stato ribadito pure dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 2003, con le “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” (al n. 4: lo stesso paragrafo citato dalla Relatio!). Perché non lo si è ribadito? I testi del Magistero vanno letti e citati nella loro interezza, senza subdole omissioni! Evidentemente, però, l’omosessualità praticata non è più considerata un peccato. E allora non si capisce perché mai le unioni gay non possano essere assolutamente assimilabili al matrimonio e alla famiglia. Visto il clima culturale in cui ci troviamo, e date le parole in libertà sbattute in prima pagina in questi giorni di Sinodo, ci si sarebbe aspettata maggiore chiarezza. E magari anche più coraggio. Ne vien fuori, invece, un enorme pasticcio, che lascia delusi. È questa la risposta che i nostri pastori vogliono dare all’aggressiva e ormai onnipervasiva ideologia omosessualista? È così che la Chiesa aiuta gli omosessuali che si sforzano di vivere in castità? È in tal modo che i vescovi incoraggiano quanti lottano a difesa della famiglia naturale, subendo insulti e attacchi anche fisici?

Le omissioni e il linguaggio ambiguo non sono utili per la salvezza delle anime. Non rendono la Chiesa profetica e faro di luce per chi brancola nel buio. Né tantomeno riflettono il “sì, sì, no, no” evangelico. Abbiamo bisogno di verità e di ordine. Non di ipocrisia e confusione.

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