L’intervista che Papa Francesco aveva concesso qualche settimana fa ad Eugenio Scalfari è stata tolta dal sito della Santa Sede. Lo ha annunciato un paio di giorni fa Padre Lombardi, portavoce della sala stampa vaticana. Ecco le motivazioni: «L’intervista è attendibile in senso generale, ma non nelle singole valutazioni: per questo si è ritenuto di non farne un testo consultabile sul sito della Santa Sede. In sostanza, togliendola si è fatta una messa a punto della natura di quel testo. C’era qualche equivoco e dibattito sul suo valore. Lo ha deciso la Segreteria di Stato».
Questa decisione – forse, azzardiamo noi, suggerita dalla stessa Congregazione per la dottrina della Fede – è la firma proveniente dalla stessa Santa Sede che alcuni passaggi di Papa Francesco mal si conciliavano con la sana dottrina. Ora non è più possibile nascondersi dietro il mignolo del cattolicamente corretto.
Questa decisione getta una luce di verità sulle discussioni che si sono succedute in queste ultime settimane in merito al neo pontificato di Francesco al fine di comprendere quali tra queste fosse la più corretta. In sintesi grossolana sono venute così a delinearsi le seguenti posizioni. C’è chi ha affermato che ora va tutto bene, anzi meglio di prima: ben vengano, se ci saranno, le riforme anche sui principi non negoziabili. Con questo Papa siamo finalmente entrati nell’età d’oro del cristianesimo che tutti aspettavamo. C’è chi ha sostenuto poi che il Pontefice non ha sbagliato una virgola in tema di dottrina: è solo un innovativo approccio pastorale a confondere i cultori del dogma. C’è chi invece ha ammesso che qualche scivolone papale in campo di fede e morale si è verificato, ma il vero Dna del cristiano sono accoglienza e solidarietà, non aspetti secondari come verità assolute e omosessualità. C’è chi invece con coraggio e forse con qualche sbavatura nei modi ha detto chiaro e tondo che il Papa è caduto in errori dottrinali e che la pastorale ha senso solo se rispetta i principi fissati dal Magistero. Chi ha ragione?
La cancellazione dal sito del Vaticano dell’intervista pare proprio assegnare la palma della vittoria a quest’ultima categoria. Ciò è confortato anche dalla seguente riflessione. Se sono un maniaco della precisione e voglio conoscere la lunghezza esatta di un oggetto mi recherò a Sèvres dove è custodito il metro campione, l’unità di misura di riferimento di tutti i metri esistenti. Se voglio trovare invece il metro dell’ortodossia cattolica devo attingere ai pronunciamenti del Magistero, unità di misura della cattolicità. A questa unità di misura devono adeguarsi tutti, pontefici compresi, perché il Magistero è strumento di verifica dell’ortodossia di qualsiasi affermazione o condotta.
Misurando le parole del Papa con il metro del Magistero qualche sua affermazione oversize c’è stata ed è inutile appellarsi alla regola della deferenza ed ossequio dovuti al Papa. Il quale ossequio e deferenza sono state fatte poi salve perché accostare le fonti del Magistero ad alcune uscite del Pontefice non è operazione irriverente, ma è solo scattare un’istantanea che nella sua nudità e crudezza magari ci potrà anche indisporre non poco, come un brutto referto medico, però è al servizio della verità. Non è esegesi, bensì cronaca.
Qui infatti ciò che duole e fa problema – e appuntiamo questo sempre nell’intento di scattare una fotografia delle varie reazioni ad alcune uscite del Pontefice – sta nel fatto che il disorientamento nei fedeli è nato da alcune argomentazioni elaborate dal Pontefice riguardanti non la dormizione della santa Vergine, bensì l’abc della dottrina: il ruolo della coscienza e la verità oggettiva, il dovere per ogni battezzato di condurre gli altri a Cristo (la conversione), le priorità sociali che per Papa Francesco sono il lavoro giovanile e la solitudine degli anziani (“e 50 milioni di aborti all’anno nel mondo non vengono prima?” chiede qualcuno), la distinzione tra condotte omosessuali, da censurare, e rispetto delle persone omosessuali, il materialismo dialettico che secondo il Pontefice trova dei riverberi nella Dottrina sociale della Chiesa, il rapporto tra fede e grazia di luterana memoria, la verità dell’unico Dio che si trova solo nella Chiesa cattolica.
Le uscite disinvolte di Papa Francesco hanno suscitato nei cuori dei cattolici osservanti almeno due reazioni. Da una parte si è tentato, finchè si è potuto, di ripresentare il pensiero del Papa secondo le cifre della cattolicità offerte dal Magistero. Ma i salti mortali prendono questo nome perché spesso producono conseguenze letali. Se ad esempio attribuissimo al pontefice la seguente frase: “Nei grandi problemi pratici della vita, la verità è soprattutto una questione di conciliazione e di combinazione degli opposti”, subito gli ermeneuti della continuità la interpreterebbero come indicazione pedagogica per condurre i lontani verso le verità tutta intera ma attraverso un percorso a tappe, mediando dove si può mediare ma non facendo sconti alla verità stessa. Peccato che questa frase sia di Stuart Mill che nella sua celebre opera “On Liberty” voleva sostenere proprio l’opposto. Questo per dire che, volendo, tutto – anche ciò che non appartiene al depositum fidei – possiamo cacciarlo a forza dentro lo scrigno della fede. Non ci si può poi salvare nemmeno facendo ricorso al contesto in cui alcune frasi sono state espresse perché purtroppo ogni frase del Papa deve stare in piedi da sé, senza troppi puntelli. E poi già l’intento di giustificare alla luce della sana dottrina le parole del Pontefice – e non semplicemente di illustrarne il contenuto – la dice lunga sul fatto che qualcosa è andato storto e non solo sul piano della comunicazione.
Su altro fronte si è tentato di minimizzare il portato delle frasi di Papa Bergoglio percorrendo due strade. La prima conduceva ad affermare la priorità dell’amore di Dio su qualsiasi regola dottrinale. Peccato che Gesù stesso abbia detto che “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14, 21). L’amore senza regole è come un’auto senza motore: non va da nessuna parte. La seconda strada si è infilata nel vicolo cieco della teoria quantitativa. Il Papa, così si è detto e scritto, è vero che si è espresso in modo un po’ ambiguo su alcuni aspetti dottrinali, ma solo in un paio di occasioni. In tutti gli altri suoi discorsi ha brillato per fedeltà al Magistero. E’ di piena evidenza che tale difesa è debole. Basta un solo omicidio a danno della sana dottrina per finire dietro le sbarre dell’ortodossia. La qualità a volte vince sulla quantità. Che dire di un pontefice che per 30 anni di pontificato è stato tetragono sulla dottrina e al termine dei suoi giorni, in una nota a piè di pagina di un suo libello di carattere divulgativo scrivesse: “E’ certo che Dio non esiste”? Questa affermazione non potrebbe inficiare tutte le altre? Non toglierebbe il terreno da sotto i piedi a tutti gli insegnamenti del suo ministero eccezion fatta per quelli infallibili?
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