La scorsa settimana la più famosa clinica per gli aborti d’America, la Women’s Health Care Services a Wichita, Kansas, ha riaperto i battenti dopo l’uccisione nel 2009 del suo fondatore, il dottor George Tiller, per mano di un attivista pro life. La riapertura della clinica è stata salutata dalla stampa liberal come un “gesto di coraggio” contro le intimidazioni dei “terroristi della vita” che per anni hanno insanguinato i selciati delle cliniche. Nelle stesse ore a est, in Pennsylvania, nella città dell’Amore Fraterno, a Philadelphia, in un’aula di tribunale iniziava il processo-choc a un’altra clinica degli aborti, la Women’s Medical Society del dottor Kermit Gosnell (nella foto) , da trent’anni sulla piazza con la sua ditta di “pianificazione familiare”.
Come Gosnell, Tiller era specializzato nel porre fine alla vita di bambini sani e in grado di sopravvivere fuori dal corpo della madre. “Così va il mondo”, ripeteva il dottor Gosnell alle sue assistenti che ponevano scrupoli morali. Ma a differenza della clinica in Kansas, di quella a Philadelphia, ribattezzata “l’ossario dei bambini”,
la stampa per giorni non ha parlato, provando vergogna, quasi a esorcizzarne l’esistenza stessa tramite un silenzio surreale. Poi il caso è scoppiato sulle pagine di tutti i giornali del paese. Il Weekly Standard, giornale neoconservatore, ha sbattuto il caso Gosnell in copertina: “Barbarie a Philadelphia”, accostando il nome del dottor Gosnell addirittura a quello di Pol Pot. WorldNetDaily, un media conservatore fra i più noti d’America, lo ha chiamato “angelo della morte di Philadelphia”, paragonando Gosnell al medico nazista Josef Mengele. Che differenza c’è fra le due cliniche di Tiller e Gosnell, chiedono i conservatori dell’American Thinker? “L’igiene”. Tiller, ucciso da un militante antiabortista, aveva una clientela bianca della middle class e proveniente da ogni parte del mondo. Perché la sua a Wichita era una delle sole cinque cliniche d’America in cui si eseguivano “aborti a nascita parziale”, ovvero oltre la 24esima settimana di gravidanza. Prima dell’uccisione, Tiller si vantava nel sito web della clinica di avere “più esperienza nell’aborto tardivo di ogni altra persona nell’emisfero occidentale, con più di 60 mila aborti dal 1973”. Avendo la Corte suprema degli Stati Uniti deliberato
che il termine “persona”, così come viene usato nel 14esimo emendamento della Costituzione, non si applica al bambino non nato, se n’è dedotta la possibilità di porre un termine alla vita senza incorrere in azioni giudiziarie, fino al momento del parto. E’ l’avvento dell’“aborto a nascita parziale”. E’ la tecnica dell’aspirazione del cervello del bambino partorito soltanto a metà, perché altrimenti sarebbe omicidio (per questo Gosnell è a processo). Il medico afferra con una pinza i piedi del feto e porta fuori dall’utero prima le gambe poi il corpo, tranne la testa. A quel punto esegue un’incisione alla base del cranio per aspirare il cervello, poi completa il parto. Almeno mille aborti all’anno in America avvengono così. Scriveva nei giorni scorsi Jonah Goldberg sul Los Angeles Times: “Gosnell è accusato di aver eseguito aborti illegali e di aver fatto nascere e poi ucciso numerosi neonati. Ma la domanda più profonda è quale sia la differenza morale fra uccidere un bambino fuori dal corpo della madre per pochi secondi e ucciderlo ancora al suo interno”. Per questo il caso Gosnell non è un caso di malasanità o di orrore (Gosnell è stato ribattezzato “uno dei serial killer più spietati della storia americana”), ma apre la ferita degli aborti tardivi legali e indiscriminati negli Stati Uniti. Per questo sulla rivista cattolica First Things il filosofo conservatore Robert George ha implorato i giudici di salvare la vita al dottore: il problema non è lui, ha scritto George, ma l’aborto di massa.
Perché il processo a Gosnell non ha attirato un centesimo dello spasimo che i media nutrono sempre per gli assassini seriali? Perché la grande stampa ha paura della storia. Perché Gosnell, come Tiller, aveva fama di paladino dell’aborto. Ma a differenza di Tiller, Gosnell attirava donne povere e spesso abbandonate. Di ritorno da New York, dove si era laureato in Medicina e aveva appreso i rudimenti della lotta abortista, Gosnell era tornato a Philadelphia, per aprire una clinica di aborti nel Mantua, una zona per poveri e minoranze, sostenuto dalla Planned Parenthood, la più grande, capillare e potente organizzazione abortista d’America. “Volevo essere una forza positiva per le minoranze”, ha detto Gosnell al Philadelphia Daily News. “Aspiravo alla perfezione per i miei pazienti, a dare loro quello che avrei dato a mia figlia”.
Ma andiamo con ordine. La vicenda inizia il 18 febbraio 2010, quando l’Fbi fa irruzione nella clinica abortista di Philadelphia Women’s Medical Society, dove il
medico progressista Gosnell opera da molti anni. Gli agenti scoprono che molti dei bambini abortiti avevano un’età di gestazione superiore al limite di 24 settimane
fissato dalla legge dello stato (un bambino che viene fatto nascere dopo la 24esima settimana ha molte probabilità di sopravvivere se riceve cure mediche adeguate).
Non solo, Gosnell avrebbe praticato l’infanticidio su centinaia di bambini nati. Nelle ultime due settimane in aula gli assistenti del medico raccontano come la
clinica fosse frequentata, giorno e notte, da donne fuori tempo limite per ottenere un aborto legalmente, proprio perché il celebre medico “assicurava la morte fetale”.
Molti stanno raccontando di avere ancora vivi negli occhi le “contorsioni dei bimbi appena venuti alla luce” e nelle orecchie “il pianto dei bambini nati” e successivamente uccisi da Gosnell attraverso una metodica spietata e semplice: la recisione del midollo spinale, con una tecnica che lui stesso chiamava “snipping”.
I testimoni raccontano di decine, pare un centinaio, di “morti fetali” perpetuate
così: bambini di trenta settimane lasciati piangere per venti minuti e poi messi a tacere con lo “snipping”. Di un bambino appena nato, il medico disse “è così grande che potrebbe accompagnarmi alla fermata dell’autobus”.
Secondo James Taranto del Wall Street Journal, la vicenda è “un colpo mortale alla Roe vs. Wade”, la sentenza che ha reso assoluto il diritto all’aborto in America. L’argomento dei sostenitori della sentenza è che la proibizione dell’aborto, o anche solo di alcune sue pratiche come quello a “nascita parziale”, costringerebbe le donne al pericolo di interventi clandestini. Il caso Gosnell dimostrerebbe il contrario: anche in presenza di un quadro legalistico permissivo, l’aborto sfugge di mano ai suoi demiurghi, scrive Taranto. L’aborto non è mai “safe”. Sicuro. Gosnell avrebbe praticato centinaia di simili interventi di infanticidio e in tribunale deve
rispondere di sette in particolare, compresa la morte di una donna. “Non riesco e descriverlo, sembrava un piccolo alieno”. Così Sherry West ha raccontato le urla di un bambino nato vivo a seguito di un aborto tardivo. Stephen Massof, un altro membro dello staff di Gosnell, racconta come il dottore con una sforbiciata secca alla colonna vertebrale separasse il cervello dal resto del corpo dei bambini. Una specie di “decapitazione”, l’ha definita il collaboratore del medico. “Queste uccisioni erano diventate talmente di routine, che nessuno ha potuto dare una cifra esatta”, dice il rapporto del Gran Giurì. “Erano considerate ‘procedure standard’”.
Contro l’aborto a nascita parziale, praticato per anni nella sua forma estrema da Gosnell, si schierò l’ex presidente George W. Bush, che nel 2003 firmò una legge approvata dal Congresso Usa per il bando della brutale pratica, che il senatore democratico liberal Moynihan definì “infanticidio”. Nel 2007 la Corte suprema confermò la costituzionalità della messa al bando di questo titpo di intervento, ma in tredici stati le corti statali hanno bloccato il divieto. Anche il presidente Barack Obama si è sempre opposto a misure che limitassero il ricorso all’aborto a nascita parziale. Il caso Gosnell porta dunque alla luce una pagina vergognosa della medicina occidentale. I pro life lamentano la scarsissima attenzione che tv, siti internet e giornali hanno dedicato alla storia della clinica di Philadelphia.
La deputata Marsha Blackburn parla del “più grande scandalo mediatico della storia americana”. “Se Gosnell fosse entrato in una clinica e avesse ucciso sette bambini con un AR-15 (un fucile semiautomatico, ndr), sarebbe stata una notizia nazionale”, ha detto il deputato repubblicano Chris Smith, che ha definito il processo Gosnell come quello “del secolo”, per via delle implicazioni che dovrebbe e potrà avere nel dibattito sull’aborto. Il caso Gosnell getta luce anche sulla volontà politica e generale di mettere un freno all’industria degli aborti. La clinica, infatti, venne del tutto lasciata senza controlli nel 1993, quando il democratico pro life Bob Casey perse le elezioni da governatore a favore di un candidato repubblicano pro choice, Tom Ridge. Da quella data – spiega il rapporto – il dipartimento della Salute della Pennsylvania ha optato per un blocco dei controlli per non “porre una barriera contro le donne” in cerca di un aborto.
“Meglio lasciare fare le cliniche come volevano, anche se, come ha dimostrato Gosnell, questo significava che a pagare fossero sia donne che bambini”, continua il documento. Michelle Malkin ha scritto sulla National Review che l’intera vicenda della Women’s Medical Society è rivelatrice del dibattito sull’aborto. “L’indifferenza
mortale per proteggere la vita non è marginale all’esistenza dell’industria dell’aborto: è la sua essenza”, sottolinea l’autrice. “L’orrore di Philadelphia non è una anomalia. E’ la logica, raccapricciante conseguenza di una malevola impresa con radici
eugenetiche, sotto una veste femminista”, così conclude la Malkin. Al Wall Street Journal Leon Kass, bioeticista principe sotto i due mandati di George W. Bush e intellettuale straussiano di Chicago, ha detto che il caso Gosnell indica qualcosa di più rispetto ai sofismi legali che circondano l’aborto in America. Si tratta della mancanza di orrore che circonda ormai il maltrattamento della vita umana. Jeb Bush, ex governatore della Florida e probabile sfidante repubblicano nel 2016, ha scritto: “I media si sono dimenticati cosa va messo in prima pagina”. Anche fra i media mainstream si sono levate voci di scandalo per il silenzio giornalistico e culturale che circonda il caso
Gosnell. Fra le tante quella di un editorialista dell’Atlantic di Boston, Conor Friedersdorf, che ha sottolineato come il caso metta in discussione tutti i punti che il
pensiero abortista evita sempre di trattare: “Le regole interne alle cliniche, la legalizzazione dell’aborto a nascita parziale, le pene per chi non denuncia gli abusi, i termini
di prescrizione per omicidi come quelli di cui è accusato Gosnell, la responsabilità del personale per il cattivo comportamento dei medici con cui lavorano”.
Durissima Kirsten Powers su Usa Today: “Decapitazione infantile. Feti buttati nei barattoli. Il pianto di un bambino ancora vivo dopo che è stato prelevato dalla pancia
della madre durante un aborto. Avete mai sentito parlare di queste ripugnanti accuse? No e non è colpa vostra. Da quando il caso Gosnell è finito in tribunale la
copertura mediatica è stata molto scarsa mentre invece la storia sarebbe dovuta essere su tutte le prime pagine dei giornali”. Per la giornalista “non era necessario essere
contro l’aborto per trovarlo ripugnante, soprattutto se praticato oltre la scadenza dei termini o per considerare il caso Gosnell degno di attenzioni. L’assordante silenzio
della stampa, prima una forza di giustizia in America, è una disgrazia”. In fondo, quello che ha fatto Gosnell, con strumenti rozzi e sporchi, è teorizzato da un po’ di tempo da molti celebri bioeticisti.
Un anno fa è apparso sul prestigioso Journal of Medical Ethics il saggio di due studiosi italiani che fanno ricerca in Australia, Alberto Giubilini e Francesca Minerva:
“Se pensiamo che l’aborto è moralmente permesso perché i feti non hanno ancora le caratteristiche che conferiscono il diritto alla vita, visto che anche i neonati
mancano delle stesse caratteristiche, dovrebbe essere permesso anche l’aborto post nascita”. Ovvero: al pari del feto, anche il bambino già nato non ha lo status di
“persona”, pertanto l’uccisione di un neonato dovrebbe essere lecita in tutti i casi in cui è permesso l’aborto. Sembra che la Women’s Medical Society di Philadelphia
mettesse in pratica queste idee. Secondo il professor Jon A. Shields, docente al Claremont McKenna College che ha firmato un lungo saggio su Weekly Standard, “il dottor Gosnell si adatta al profilo di un killer sociopatico. Ma a differenza di molti deviati, Gosnell potrebbe sostenere di aver agito nell’esercizio dei suoi diritti costituzionali. Sotto le sentenze Roe e Doe, i medici hanno il diritto costituzionale a eseguire aborti durante il terzo trimestre di gravidanza”. Sarà questa la difesa di Gosnell al processo. Secondo Shields, quello che ha commesso Gosnell è lecito in altri stati americani.
“La Pennsylvania è uno dei nove stati che richiedono un secondo medico per concorrere con il ‘giudizio professionale’ di un dottore che vuole eseguire un aborto al terzo trimestre di gravidanza. Gosnell ha omesso di chiedere un secondo parere. Se Gosnell avesse eseguito le stesso aborto tardivo oltre il fiume a Cherry Hill, in New
Jersey o in altri stati, non avrebbe commesso un reato procedurale”. Quanto a uccidere i bambini sopravvissuti agli aborti, Shields dice: “La protezione dei bambini
che sopravvivono agli aborti rimane oggetto di controversie, non è una questione di diritto risolta. Mentre 27 stati tra cui la Pennsylvania hanno leggi che proteggono questi bambini, altri 23 stati e nel Distretto di Columbia non le hanno. Quindi, si potrebbe ragionevolmente chiedere se qualcuno merita la pena di morte per un atto
che è legale in quasi la metà degli stati, un atto che non è visto di buon occhio da personaggi pubblici come il presidente degli Stati Uniti”.
L’accusa del professor Shields è a Obama, perché quando era senatore dell’Illinois votò per negare i diritti di base, protetti dalla Costituzione, ai bambini sopravvissuti
all’aborto – non una sola, ma ben quattro volte. I pro life puntano già il dito contro il governatore democratico di New York, Andrew Cuomo, il cui disegno di legge parla infatti dell’aborto come di un “diritto fondamentale”, abolendo ogni limite temporale.
Eccolo il lato più tragico del caso Gosnell: è la legge ad aver aperto le porte a questo orrore. Nel 1977 il giudice della Corte suprema Clement Haynsworth stabilì, nel caso di un bambino sopravvissuto all’aborto, che “il feto in questo caso non è una persona da proteggere”. Morì dopo venti giorni. Due anni dopo, in Colautti vs. Franklyn, la Corte attribuì ai medici la libertà di determinare la “vitalità fetale”, conferendo loro un potere che andava oltre la Roe. Il giudice William Rehnquist dissentì dall’opinione della maggioranza. Quattro anni dopo ci fu il caso Planned Parenthood vs. Ashcroft. Il magistrato Lewis Powell in quel caso stabilì che un aborto “effettivo” doveva comportare un nuovo nato privo di vita. Durante un caso di aborto tardivo il giudice della Corte suprema del New Jersey, Maryanne Barry, stabilì che quel bambino con la testa fuoriuscita dal corpo della madre non è “nato”, è diverso da un bambino “voluto”. Di queste e altre parole risuona l’aula di tribunale di Philadelphia dove si processa il dottor Gosnell.
Nel paese in cui l’aborto è stato santificato come un diritto civile al pari della libertà di parola e che ha registrato 40 milioni di aborti in quarant’anni, nel ventre della nazione che giustamente si commuove per i bambini di Newtown, è passato sotto silenzio il caso di una “clinica della salute” in cui per anni si uccidevano bimbi appena nati recidendo loro la colonna vertebrale. Una macellazione civile giustificata per legge . Per dirla col dottor Gosnell, “così va il mondo”.
Giulio Meotti, Il Foglio, 27/04/13