Movimento PER: prima di tutto viene la difesa dei principi non negoziabili

Continuiamo il dibattito politico proponendo un articolo dell’Onorevole Olimpia Tarzia, Presidente del Movimento PER – Politica Etica e Responsabilità. L’On Tarzia è candidata nel Lazio nella Lista Civica Storace.

“E’ ormai evidente che l’attuale crisi finanziaria, economica e politica si sta rivelando innanzitutto una profonda crisi etica, culturale e antropologica. Tale empasse sta condizionando anche il futuro stesso dei giovani. Le nuove generazioni, private di un affidabile modello educativo di riferimento, condizionati da una società sempre più secolarizzata, rischiano di cadere in un oblio culturale che non riconosce e tutela il valore stesso della vita. Un pericolo che più volte Benedetto XVI ha denunciato, ricordando l’importante ruolo della famiglia, della società e delle Istituzioni nel creare le condizioni per un’educazione dei giovani basata su quei principi fondamento di una società pienamente umana.
Solo recuperando e rilanciando la matrice culturale e la visione antropologica della centralità della persona e della difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, possiamo far risalire il nostro Paese dalla china dello scoramento e restituire ai giovani speranza e motivi di fiducia nel futuro. Oggi, più che mai, noi adulti abbiamo una grande responsabilità nei confronti dei giovani. Siamo chiamati ad essere riferimenti affidabili, a smantellare l’imperante individualismo e relativismo etico e perché no, a formare una nuova classe dirigente politica scommettendo proprio sulle nuove generazioni. Non dobbiamo temere di presentare loro ideali troppo alti: la connaturale sete di verità che li caratterizza, consentirà loro di accogliere con entusiasmo e riconoscenza anche le sfide culturali più ardue. Difesa della famiglia, diritto alla vita, libertà di educazione, tutela dei minori dalle moderne forme di schiavitù (tra cui la droga), diritto alla libertà religiosa, economia a servizio della collettività nel rispetto della sussidiarietà. E’ da questi principi non negoziabili, che si deve ripartire, con rinnovato slancio e impegno.

La negazione del diritto alla vita, ad esempio, comporta un sistematico rifiuto dell’accoglienza che certamente trova poi espressione anche in altri campi. Nella Caritas in veritate leggiamo: “Se l’accoglienza viene negata in quel punto iniziale, come potrà venire attuata in altri settori della vita sociale?” E l’attenzione ai più deboli? Se non viene esercitata nei confronti del concepito, il più indifeso degli indifesi, il più debole tra i deboli, come potrà essere esercitata verso altri deboli? Quando a un bambino viene impedito di nascere siamo tutti più poveri, l’intero tessuto sociale si impoverisce, le virtù sociali si indeboliscono, le relazioni si fanno più strumentali.

La mancanza di fiducia nel futuro non porta solo ad una depressione in ambito economico e di sviluppo, ma scoraggia i nostri giovani a progettare il proprio futuro in merito al farsi una famiglia e limita fortemente le giovani coppie nel progettare una maternità. Ma “senza figli non c’è futuro”, ecco perché l’urgente e improcrastinabile azione culturale ed educativa dovrà essere necessariamente anche accompagnata da un forte impegno politico e istituzionale, nella direzione di una maggiore giustizia sociale.
Quanto avvenuto nel quadro politico istituzionale nel nostro Paese non trova precedenti neanche nelle pur difficili crisi già vissute. Nella stagione che stiamo vivendo la ragione sembra piegarsi alla tracotanza individuale, la quale anziché adeguarsi alla realtà, pretende sia la realtà ad adeguarsi ad essa. L’odio politico ha alterato il concetto di ragione. Siamo passati da una ragione che si radica nella realtà e vede nella realtà il bene, ad una ragione di carattere funzionale che non ha alcun interesse a riflettere sulla realtà e men che meno a percepire il bene della realtà, ma che si limita, in modo assai irresponsabile, a manipolarla, a strumentalizzarla, a renderla funzionale ai propri interessi e ai propri bisogni. La teoria del bene comune letta in chiave funzionale ha una legittimità solo in una riduttiva visione economica.
Noi non vogliamo appiattire la politica sull’economia, ma far prevalere il primato della politica sull’economia in cui tutti devono avere la stessa dignità sociale, in cui la necessità di uno diventa problema di tutti. Questa è una ragione politica non funzionale, è una ragione politica che mette il bene della comunità e non dei singoli individui al primo posto e che si concretizza attraverso un’azione politica trasparente e responsabile.
Usciamo da un lungo periodo caratterizzato da molte incertezze sul ruolo pubblico del cristianesimo e sulla natura della presenza dei cristiani in politica. E’ però tempo di superare queste incertezze, il tempo della responsabilità, della consapevolezza dell’importanza della presenza cattolica nel mondo politico, presenza che ne declini le parole fondanti: politica (valorizzando quegli ambienti come i gruppi, i movimenti, le , associazioni), etica (con tutte le questioni implicate, comprese quelle della vita, della famiglia e della libertà) e responsabilità. Non si può più prescindere da una proposta concreta capace di difendere e promuovere i principi non negoziabili nell’ottica della centralità della persona e in grado di realizzare concretamente un modello sociale che risponda davvero alle esigenze dei cittadini, attraverso anche il rilancio dell’economia, finalizzato ad assicurare la crescita e l’impiego, l’uguaglianza delle opportunità per l’istruzione dei giovani e l’assistenza ai poveri.
Un progetto che il Movimento “PER Politica Etica Responsabilità”, che mi onoro di presiedere, sta già consolidando in molte regioni d’Italia. E’ prioritario, prima di tutto, ristabilire un rapporto di fiducia tra le istituzioni e i cittadini. La focalizzazione sulle problematiche e sulle divisioni interne rischia, infatti, di instaurare una sorta di autoreferenzialità della politica, che genera incapacità di comunicazione con i cittadini, seminando confusione, disorientamento, sfiducia e, quel che più è grave, apatia nei confronti della vita pubblica. Una società che asseconda l’uso di droghe leggere, spinge verso l’eutanasia e discrimina la famiglia come da dettato costituzionale, è una società malata e senza futuro. Per non parlare della grave problematica legata al ricorso all’aborto. Una pratica che alcuni irresponsabili definiscono come “un segno di emancipazione delle donne”. Si sta però sempre più affermando un nuovo femminismo, alleato della famiglia e attento al dibattito attuale sui rischi per la vita e per la salute della donna stessa, chiamata oggi a non rinunciare ad essere anche madre.

Ritengo che i cittadini, tutti, ma particolarmente gli elettori cattolici, debbano avere risposte chiare dalle forze politiche attualmente in campo, in merito a questi argomenti e se vengono ritenuti essenziali anche nella scelta delle future alleanze. Non è poi così difficile: basta rispondere ad alcune domande: l’embrione è vita umana sì o no? Il matrimonio è fatto da un uomo e una donna si o no? Il compito educativo spetta primariamente ai genitori sì o no? Il Fattore Famiglia restituisce giustizia fiscale alle famiglie con figli si o no? Una coppia omosessuale può adottare un figlio si o no? A un malato terminale o a un disabile grave si può “staccare la spina” si o no? La l.194/78 è una legge giusta e intoccabile si o no? Non si può rispondere con un “sì, ma”, o “dipende”: in questi casi i compromessi non sono possibili, per la natura stessa dei principi e non per un’indebita ingerenza della Chiesa nello Stato laico, né per una presunta volontà dittatoriale dei cattolici.
L’eredità cristiana dell’Italia offre validi orientamenti etici per la ricerca di un modello sociale che risponda adeguatamente alle esigenze di un’economia globalizzata e dei cambiamenti demografici e può davvero contribuire in modo decisivo alla sconfitta di una cultura largamente diffusa, che relega alla sfera privata e soggettiva la manifestazione delle proprie convinzioni religiose. Credo, quindi, che il cristianesimo debba avere una propria dimensione pubblica, debba poter dare un contributo significativo anche sull’organizzazione istituzionale, legislativa, economica della società, altrimenti tra fede e impegno politico rimarrà sempre un divario insormontabile, se vogliamo, come quello che spesso riscontriamo tra fede e vita. I cattolici possono offrire un grande contributo alla stabilità del nostro Paese, riconsegnando alla politica il suo primo compito di costruzione del bene comune e di servizio alla persona fondato sui principi non negoziabili. Essi sono imprescindibili e non c’è società pienamente umana che non li contempli.
A qualcuno può sembrare che l’incentrare l’attenzione sui principi non negoziabili comporti che l’elettorato cattolico sia politicamente monotematico e non dimostri quindi una maturità politica, considerato che questa comporta la capacità di crearsi un quadro generale dei problemi perché un paese non viene governato su un solo tema. A questa critica è facile rispondere che dare la priorità ai principi non negoziabili non significa trascurare gli altri, ma porre i fondamenti della costruzione politica, senza i quali tutto crolla, significa porre al centro la persona, con la sua incommensurabile dignità, con i suoi inviolabili diritti fondamentali. Assegnare a dei principi delle priorità non significa ragionare in modo monotematico: quei principi non negoziabili gettano luce anche su tutti gli altri che possono venire adeguatamente risolti solo se affrontati nel rispetto dei primi.
Il bene comune non è identificabile col “minor male comune”, eticamente sempre  inaccettabile. I principi non negoziabili sono quindi un invito per tutti a non intendere il confronto democratico come un compromesso al ribasso tra interessi, in una negoziazione in cui tutti rinunciano a qualcosa e quindi anche i cattolici. Riguardano le politiche della difesa della vita e della famiglia, ma anche le  politiche sociali, la natalità, l’educazione delle giovani generazioni, il sostegno alle famiglie con persone disabili o anziani fragili, come pure l’ambiente, le migrazioni, la tecnologia, che sembrerebbero temi distanti, ma che in realtà non lo sono affatto, a conferma del valore universale dei principi non negoziabili. Una società che non sa più cosa sia la famiglia, che prevede la possibilità di abortire o il suicidio assistito, che non sa dire perché non si può acconsentire alle coppie omosessuali il riconoscimento giuridico e magari l’adozione di un figlio, è una società che non sa più da dove viene né verso dove vada. E’ una società che non sa nemmeno più chiedere all’immigrato chi egli sia, da dove venga e soprattutto dove voglia andare. Solo se sappiamo dove vogliamo andare potremo chiedere agli altri dove vogliano andare ed accompagnarli.

Il presente articolo è uscito sulla rivista “Informavita” di Roma.

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Autore: Libertà e Persona

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