Intervista allo scrittore Carlo Climati
Carlo Climati, giornalista e scrittore romano, si dedica soprattutto ad inchieste nel campo dei mezzi di comunicazione, delle tematiche giovanili, della musica e dello sport. Il suo ultimo libro è “Immenso sguardo. I mondi dei giovani” (Editrice Rogate).
Cosa rende molti giovani di oggi cinici e spenti? Siamo – mi includo, se mi permette, nella categoria – soltanto degli idealisti che è giusto disilludere, oppure le cose stanno diversamente?
Io mi sento ottimista. Il futuro del mondo è davvero nelle nostre mani. Ma per cambiare il mondo, in meglio, dovremmo fare uno sforzo e cercare d’uscire dal nostro guscio: cambiare, prima di tutto, noi stessi. Alcuni giovani si sentono spenti perché sono vittime del nichilismo e del relativismo morale, alimentati dalla divinizzazione di una parola che ultimamente va molto di moda: “scelta”.
Facciamo qualche esempio: oggi si sente spesso dire che drogarsi è una “scelta”, oppure che andare con le prostitute è una “scelta”… Ma che cos’è la scelta? La scelta è un comportamento personale, che non tocca o danneggia gli altri. Quando vado al bar, io scelgo di prendere un gelato alla crema oppure al cioccolato. Faccio una scelta del tutto personale, che riguarda i miei gusti. Ma la droga, la prostituzione e tanti altri comportamenti negativi non si possono considerare “scelte”, perché toccano e danneggiano direttamente qualcun altro. La droga riduce l’uomo in uno stato di dipendenza. La prostituzione alimenta un mercato di schiavitù, di violenza e di morte… Oggi, con la scusa della “scelta”, ci si sente autorizzati a compiere il male. Invece, sarebbe il caso di ricordare che noi non siamo soli. E che tutte le nostre scelte sono legate alla vita degli altri esseri umani. Ce lo ha fatto capire il regista Frank Capra con un’immagine molto bella del film “La vita è meravigliosa”. E’ la storia di un angelo che riesce a convincere un uomo depresso, George Bailey, a non suicidarsi. George, nel corso della sua esistenza, aveva sempre seminato il bene. Aveva costruito un villaggio per i poveri e salvato la vita a suo fratello Harry. Il fratello, a sua volta, aveva salvato la vita a tanti soldati, durante la guerra. L’angelo mostra a George come sarebbe stata diversa, e triste, la sua città se lui non fosse mai nato. Nessuno avrebbe mai costruito le case per i poveri. E nessuno avrebbe salvato la vita a suo fratello, il quale, essendo morto, non avrebbe potuto salvare i soldati. L’angelo si rivolge a George con queste parole bellissime: “La vita di un uomo è legata a quella di tanti altri uomini. E quando quest’uomo non esiste, lascia un vuoto”. E’ questa, secondo me, la chiave di tutto: ricordare che non siamo soli. il mondo ci attende. Siamo tutti George Bailey! Ricordarlo può aiutarci a non essere spenti, delusi, disorientati… Ci può donare entusiasmo e voglia di rimboccarci le maniche.
Qual è il panorama della società attuale? Quali messaggi, più di altri, vengono a suo parere inculcati nella testa dei ragazzi, soprattutto da parte dei mass media?
Il cattivo uso dei mezzi di comunicazione punta soprattutto ad uccidere la cultura dell’impegno, che dovrebbe essere alla base di ogni civiltà. Pensiamo a certi “reality show”, che negli ultimi anni hanno riempito la televisione. Di fatto, il messaggio che trasmettono è questo: perché sprecare tempo con la scuola o l’università? Perché studiare musica, ballo o recitazione? L’importante, nella vita, è avere un colpo di fortuna. Essere scelti in un provino, tra migliaia di persone, per esibire il peggio di se stessi di fronte a una telecamera, ventiquattr’ore su ventiquattro. Non conta avere degli ideali, dei messaggi, dei contenuti. La cosa più importante è mettersi in mostra, apparire, sembrare, lasciarsi spiati da un immenso buco della serratura. Questo è un rischio grandissimo, perché rappresenta la più schiacciante espressione della non-cultura del non-impegno. A poco a poco, finisce per diventare un veleno, una mentalità, uno stile di vita in tutte le cose. E’ l’inizio della fine, perché un mondo che cancella l’idea dello sforzo è destinato, lentamente, ad autodistruggersi. E’ evidente che ci troviamo in un momento di grande confusione. Ma non darei la colpa solo al cattivo uso dei mezzi di comunicazione. Alla base di certe derive ci sono, a volte, i cattivi modelli offerti dagli stessi genitori ed educatori, che hanno rinunciato a proporre ai giovani una sana cultura del limite. Molti di loro sono cresciuti negli anni sessanta e settanta. Hanno assorbito quel clima culturale relativista e materialista che ha danneggiato, a poco a poco, la famiglia e la scuola. Pensiamo alla moda dei “figli dei fiori” e a concerti in cui si parlava di “pace, amore e musica”. La pace non era altro che l’anestesia dei cervelli, oscurati dalla droga. E l’amore si riduceva ad una semplice forma di ginnastica, in cui gli esseri umani diventavano oggetti da consumare e gettare via. Questo, purtroppo, è il terreno in cui si sono formati molti genitori ed insegnanti di oggi. Su un giornale, tempo fa, ho letto la notizia di un filmato diffuso su internet che mostrava alcuni studenti, a scuola, mentre si facevano “una canna” insieme al loro professore. Sfogliando un altro giornale, ho letto questo titolo: “Spacciano a scuola, due studenti filmati e arrestati”. E sotto: “Quindici compagni denunciati, all’arrivo dei carabinieri protestano: ‘Uno spinello, che male c’è?’”. Molti ragazzi del terzo millennio sono figli della generazione del “Che male c’è?” e del buonismo che giustifica tutto. Eppure, basterebbe poco per cambiare rotta. Sarebbe sufficiente comunicare ai ragazzi il grande fascino della gestione della propria libertà. Una libertà che dovrebbe tenere conto, prima di tutto, dell’esistenza degli altri.
I giovani sono oggetto di strumentalismo che ha lo scopo di renderli passivi consumatori. Come avviene questa dinamica di appiattimento materialista?
Avviene nello stesso modo di sempre. Oggi si utilizzano i mezzi di comunicazione per indurre i giovani a non pensare. E quindi, a non essere scomodi. Ma anche ieri era così. Cattivi spettacoli e divertimenti disordinati sono sempre stati utilizzati per far sfogare la rabbia del popolo. Imbavagliarla. Stordirla. Anestetizzarla. Ieri c’erano i gladiatori. Oggi i rave. Ieri panem et circenses. Oggi televisione e pasticche di ecstasy. Si creano a tavolino droghe, mode e spettacoli. La gente li beve. Li assimila e non può più fare a meno di loro. La tentazione del sistema materialista è sempre la stessa: spingerci nel guscio dell’egoismo, del silenzio, del non-pensiero, dell’indifferenza nei confronti dell’altro. Lo dico, però, senza pessimismo. Sono pienamente convinto che, nonostante una certa mentalità imperante, ci sia tanta gente di buona volontà che desidera vivere in modo diverso. E lo sta facendo ogni giorno di più, anche se la tentazione dell’egoismo materialista è sempre in agguato.
Entriamo nel tema scottante dell’amore. Lei parla di «dittatura del cuore», nell’accezione di comando del sentimentalismo e dell’istinto nella vita di relazione. Quali rischi? Cosa significa, di contro, amare davvero, anche secondo la sua esperienza personale?
L’amore non può essere solo emozione e sentimentalismo. E’ anche un impegno, un dono, una promessa da rinnovare con creatività, pazienza e dedizione. Uno dei gesti più belli che si scambiano due innamorati è quello di dirsi, spesso, “ti amo”. Questa piccola espressione di tenerezza viene ripetuta più volte, nel corso di giorni, mesi e anni diversi. E’ sempre la stessa, identica frase. Eppure gli innamorati sentono il bisogno di ripetersela, all’infinito, senza mai stancarsi. Questo accade perché ogni “ti amo” non è mai uguale a se stesso. E’ il “ti amo” che mia moglie mi ha detto per la prima volta, da fidanzati. E’ quello che mi ha detto quando ci siamo sposati. E’ quello che mi ha ripetuto, ancora, nei momenti in cui sono stato giù di morale, oppure quando ho sorriso e ho avuto giornate meravigliose. Quel “ti amo”, ogni volta, assume un significato, un valore, un contenuto diverso. E’ una speranza, un’intenzione, una promessa sussurrata per il domani. Le cinque lettere che compongono questa piccola frase sono sempre le stesse. Ma è come se fossero eternamente differenti. E’ come se dieci, cento, mille lettere di un milione di vocabolari si dessero, ogni volta il cambio tra di loro. Questo “ti amo” ripetuto rappresenta esattamente ciò che dovrebbe accadere in una vita vissuta insieme per sempre. Le giornate, infatti, possono apparire sempre uguali. Suona la sveglia, si va al lavoro, si mangia, si beve, si dorme… Tutto sembra essere assolutamente uguale. Ripetitivo come quella frase, “ti amo”, pronunciata all’infinito. Ma, come quel “ti amo”, ogni giornata deve saper assumere un significato, un valore, un contenuto diverso. E quindi, una speranza sempre nuova. L’amore deve sapersi rinnovare ogni giorno. Con un tocco d’amore inaspettato, con una piccola sorpresa o con un semplicissimo gesto di tenerezza. E quando parlo d’amore, non mi riferisco soltanto alla dimensione coniugale. Mi piace interpretare questa parola nel suo significato più ampio, universale, avvolgente. Pensiamo a quanto amore e donazione personale può esserci in una vera amicizia. Anche l’amicizia ha bisogno di piccoli gesti creativi, da rinnovare ogni giorno.
Lei parla del falso mito dell’apparenza e della bellezza ad ogni costo. Come è possibile, concretamente, contrastare questo modello diseducativo che rischia di far perdere di vista ai ragazzi ciò che davvero conta, l’interiorità?
Il culto dell’apparenza, oggi, rischia di diventare una nuova religione. Ma si può essere sicuramente felici anche senza assomigliare ai falsi modelli imposti dalla televisione e dagli spot pubblicitari. Per far comprendere meglio questo concetto, nei miei incontri con i giovani utilizzo un’immagine simbolica. Chiedo di sognare d’essere naufraghi su un’isola deserta, come Robinson Crusoe, il protagonista dell’indimenticabile capolavoro di Daniel Defoe. Immaginiamo questo scenario: la nostra nave è stata distrutta da una tempesta, e siamo improvvisamente soli in un mondo disabitato. Se ci trovassimo in queste condizioni, grideremmo di gioia nell’avere un temperino, una cannuccia, un cappellino per ripararci dal sole… Piccole cose, ma importanti. E ringrazieremmo Dio d’averle. Oggi, noi abbiamo già tantissime cose in più rispetto a Robinson Crusoe. Se provassimo a fare un piccolo inventario, scopriremmo d’essere infinitamente fortunati. È questo, secondo me, l’atteggiamento giusto. Non il mito di un’esistenza irraggiungibile, ma la concretezza di essere felici per ciò che si è, anche senza l’ultimo modello di telefono cellulare.
Lei suggerisce, come strategia per recuperare un sano rapporto con la realtà, di incontrare chi soffre e di stare vicino ai malati. Può spiegare perché?
E’ una delle possibilità che abbiamo per cercare di tornare con i piedi per terra. A me, personalmente, è stata utile l’esperienza vissuta in ospedale, quando ero adolescente e fui ricoverato per curare una malattia alla colonna vertebrale. Una volta ricordo d’essere stato vicino ad una ragazza che aveva gravi problemi di salute. Sembrava essere sempre assente, fuori dal mondo. Spesso mi sedevo vicino al suo letto e restavo in silenzio. Un mio amico, che era passato a farmi visita, fece un commento superficiale su quella situazione, pensando che la ragazza non avrebbe mai potuto capirlo o perfino ascoltarlo. Mi disse, sottovoce: “Povera ragazza… Ma che vita è questa? Che senso ha essere al mondo in questo modo?” Improvvisamente successe una cosa che mi colpì profondamente. La ragazza, che fino a quel momento sembrava essere assente, mi prese la mano e me la strinse forte. Mi guardò intensamente negli occhi, come per dirmi “Io vivo. La mia vita ha un senso, anche se tu non riesci a capirlo”. Non ho mai dimenticato quello sguardo, che mi ha insegnato tanto. Da quel giorno non sono stato più lo stesso.
Nel suo ultimo libro, lei lancia un forte messaggio di speranza e di stima nei confronti delle giovani generazioni. Scrive a chiare lettere: «Io credo nei giovani. Credo nel loro immenso sguardo». Quanto è importante che lo sguardo dei giovani si incroci con lo sguardo di stima dell’adulto?
E’ bellissima l’immagine che lei mi regala in questa domanda: sguardi di stima tra differenti generazioni che possono incrociarsi, unirsi, collaborare per costruire un domani. La ringrazio di cuore, perché mi ha fatto pensare. E’ proprio in questo formidabile incrocio di sguardi che si può trovare un’autentica speranza per il futuro. Purtroppo viviamo in un’epoca in cui i ragazzi sono spesso strumentalizzati, usati solo come bersagli per gli spot pubblicitari. La pubblicità è una cosa buona quando aiuta a conoscere cose buone. Non è un male. Diventa un male quando crea insoddisfazione e falsi bisogni. Ti fa credere che non sei nessuno se non hai quel particolare tipo di prodotto. Ai giovani bisognerebbe offrire opportunità di volare alto. Invece, a volte, ci si arrende. Si commette l’errore di pensare che le nuove generazioni siano superficiali, misere, vuote. Ma non è così. I giovani hanno sete di bellezza e di grandi ideali. Io mi auguro sempre che i giovani possano essere stimati dagli adulti. E al tempo stesso spero che i giovani sappiano stimare, amare e rispettare chi ha qualche anno più di loro. Mi auguro che sappiano ascoltare e comprendere il valore della tradizione, per non cadere nel pregiudizio di voler distruggere ciecamente ogni cosa del passato. Uno degli obiettivi del materialismo imperante di oggi è proprio quello di volersi liberare della tradizione, per lasciare spazio al delirio della superficialità e del non-pensiero.
Chi è, oggi, a suo parere, un testimone? Quali sono stati e quali sono i suoi personali testimoni?
I testimoni sono persone alle quali possiamo rivolgere il nostro sguardo con fiducia. Possono aiutarci a capire che la vita è bella e che è meraviglioso viverla avendo degli ideali. C’è bisogno di conoscere storie di luce, di persone in grado di illuminarci con la loro testimonianza. Uomini e donne, come noi, pronti ad offrire la vita per aiutare il prossimo. Senza paura. Non mi riferisco soltanto al solito esempio dei martiri, degli eroi che compiono grandi imprese. E’ importante anche la testimonianza da dare nella vita quotidiana, attraverso gesti semplici: un papà che racconta una fiaba al proprio bambino, una mamma che cucina sorridendo e mette il sale nella pasta, un amico che ti sorprende con un gesto d’affetto inaspettato… Non a caso, i miei primi personali testimoni sono stati i miei genitori, con tutto l’impegno e l’amore che hanno messo nel crescermi ed educarmi. E poi mio nonno, instancabile, che da bambino mi accompagnava in lunghe passeggiate alla scoperta del mondo. Mi portava alla ferrovia, a guardare il treno… Lo aspettavamo e poi lo vedevamo passare, insieme. Sono stati questi i miei testimoni. Persone semplici che mi hanno insegnato ad amare.
la mia bimba mi disse :”papa’ io lo so che tu mi ami!”
e io quasi giocando: “e come lo sai?”
e lei:” da quello che fai…”
E’ esattamente così caro Rocco. Grazie per questo significativo commento. Irene
grazie a te per il bellissimo articolo!
soprattutto quando alla fine , cara irene, parli della testimonianza mi sono ricordato di quando studiando il greco scoprii che testimone in greco si dice martire!
il sacrificio di se nella gioia per donare l’amore di Gesu’ al prossimo.
grazie ancora.
Le vostre testimonianze sono proprio le esperienze più belle!
ciao Alvaro,
ebbene si spesso la notte dormo poco magari mi sveglio alle 2 e rimango sveglio fino alle 4 pero ormai ci ho fatto l’abtudine!!! e allora mi dedico alla lettura…e ai commenti!
un abbraccio
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