di Daniela Bovolenta
“Dalla forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime, vale a dire, se gli uomini chiamati tutti ad essere vivificati dalla grazia di Cristo, nelle terrene contingenze del corso della vita respirino il sano e vivido alito della verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso letale dell’errore della depravazione”
(Pio XII, 1941, Radiomessaggio di Pentecoste).
Su questa frase di Pio XII mi sono arenata più volte. Se proviamo a immaginare com’era l’Italia non dico nel 1941, ma fino agli inizi degli anni 1960, quale solidità avevano le famiglie, come i costumi fossero estremamente attenti al pudore, come si vivessero le feste religiose… Possiamo, credo, ammettere che il “vivido alito della verità e della virtù morale” si è un po’ perso di vista.
Non voglio essere ingenua e so bene che una parte di quei costumi dipendeva da conformismi e formalismi: se così non fosse, non sarebbe stato possibile spazzarli via in pochi decenni. Tuttavia, rimane il fatto che un conformismo verso la virtù sia più desiderabile di un conformismo nei confronti della depravazione.
Una moda che spiattella i corpi senza gusto e senza pudore, programmi televisivi dove omosessualità, aborto e divorzio siano temi fissi, di routine, un linguaggio che intercala volgarità a ogni livello sociale, una tendenza a considerare le donne pari in tutto agli uomini, anche nella disinvoltura sessuale e nell’uso spregiudicato del proprio corpo, programmi televisivi che mettono costantemente a dura prova la virtù di castità (e non parlo di trasmissioni specifiche in fasce orarie protette, ma di semplici programmi di prima serata), un rapporto tra uomo e donna improntato a competitività estrema, fino al punto di sminuire e marginalizzare l’uomo nella propria specificità, trasformando le donne in mostruose virago e gli uomini in pallidi zerbini, la rimozione della figura del padre, la forte tolleranza nei confronti dell’uso delle cosiddette droghe leggere… tutte queste cose sono un male in sé, ma doppiamente un male perché, per molte persone, rendono anche le virtù ordinarie un fatto eroico e quasi impossibile. Non impossibile del tutto, la santità è sempre possibile (al limite, nel martirio), ma frappongono tali e tanti ostacoli da essere vere e proprie pietre di inciampo per i più piccoli e i più deboli (primi fra tutti, i giovani).
Fin qui però siamo alla superficie, a quello che ciascuno vede fuori di sé e può eventualmente approvare o disapprovare sulla base del proprio giudizio. C’è un livello ancora più profondo, interiore, nel quale le crepe si formano al chiuso delle nostre coscienze. Credo che anche le persone più virtuose (e certamente io per prima, che non sono tra le più virtuose) per aderire ad alcune verità nel nostro tempo devono fare uno sforzo doppio, contro il mondo e contro sé stessi, cioè contro quella parte del mondo che, direttamente o indirettamente, ha plasmato le nostre coscienze. Virtù come l’umiltà, ad esempio, mi sembrano complicatissime. La sottomissione, nel senso in cui la intende Costanza Miriano, è complessa, quasi un termine che stride dentro di noi. La castità è una grande virtù, ma persino la lettura di un qualunque quotidiano (e la visione di alcuni annunci pubblicitari) può costituire una tentazione.
Prendiamo le riviste femminili, ad esempio. Da tempo ho smesso di acquistare qualsiasi giornale femminile. Non mi dispiacerebbe, di tanto in tanto, vedere le foto di qualche sfilata, leggere importanti articoli su creme di bellezza e tagli di capelli – non che poi abbia la costanza di metterli a frutto – ma sembra assolutamente impossibile vedere vestiti e trucchi senza dover essere indottrinate sulla peggior forma di femminismo: quello militante e superficiale delle giornaliste conformiste che lavorano in queste redazioni. L’aborto è una conquista, viva le donne che lavorano, meglio: quelle che comandano, viva la libertà di non fare figli per realizzarsi sul lavoro, se l’amore è finito bisogna mettere un punto fermo, se il vostro lui non vi capisce/sostiene/gratifica/diverte allora lasciatelo… e via di luogo comune in luogo comune, fino alle ricorrenti fondamentali “indagini” sui temi più assurdi: il mondo degli scambisti, sesso alla cieca, l’avete mai fatto in tre? o quattro, cinque… parla la donna che l’ha fatto con suo nonno/suo nipote/suo fratello, parlano modelle anoressiche, pop star drogate. Per tacere delle foto pubblicitarie, in cui sotto il termine “glam” si spaccia vero e proprio materiale soft porno. Che, per inciso, tutte queste patrone del femminismo non vedano che alla resa dei conti propongono semplicemente l’immagine più trita e commerciale del corpo della donna è un mistero a parte… comunque sia, io le riviste femminili ero abituata a lasciarle in giro per casa, prevalentemente in bagno, dove costituivano una lettura davvero “stimolante”, fino al giorno in cui mi sono resa conto che mi imbarazzava l’idea che potessero vederle i miei figli.
Ecco, se dalle riviste di moda in su, tutto il mondo è concertato per rendere la virtù più difficile e il peccato più a portata di mano, come possiamo, nelle nostre coscienze, rimanere vigili?
La grande frattura antropologica costituita dalla rivoluzione culturale, iniziata nel 1968 e mai più terminata, non opera solo all’esterno, ma all’interno di ognuno di noi. Se dovessi indicare tre punti, quelli salienti, su cui si sono sentiti i danni maggiori, direi che sono, in ordine di gravità:
- perdita del senso gerarchico (ruolo del padre in famiglia, ruolo degli insegnanti nella scuola, ruolo delle élite nella società, ruolo del Magistero nella Chiesa,);
- smantellamento della famiglia, intesa come struttura sociale indissolubile, formata da un uomo e una donna e dai figli che hanno generato, dove opera una forte solidarietà tra le generazioni;
- lotta alla vita (aborto, droga, eutanasia).
Ognuno di questi punti richiederebbe un’analisi approfondita, ma voglio limitarmi al primo. Il senso gerarchico è la capacità di riconoscere che ad alcune persone è dato di guidarne altre per il bene comune.
“Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna”. (Rm, 13, 1-3)
Il nostro tempo, smantellando sistematicamente i concetti di verità e di bene, cioè relativizzandoli all’estremo, rende superfluo l’esercizio dell’autorità, lo depotenzia: come può un altro dire a ME qual è il mio bene? Anche se ci crediamo a volte con la testa, difficilmente riusciamo ad aderire in profondità all’idea che qualcuno abbia il compito di indicare e guidare e altri quello di seguire e collaborare. Non si tratta di una logica da servi, ma di una logica di ordine, di meccanismo che funziona, in cui ciascun elemento è chiamato a svolgere al meglio il proprio ruolo per permettere a tutti di vivere in una società che faciliti e sostenga la santità, che frapponga ostacolo al “bacillo morboso e spesso letale dell’errore della depravazione”.
Devo ammettere, io per prima ho resistenze e difficoltà ad accettare alcuni rapporti gerarchici (in famiglia, nella società, nella Chiesa), mi sembra che sia un problema generalizzato, dai genitori che minacciano gli insegnanti per un brutto voto, ai fedeli, e talora sacerdoti, teologi e persino vescovi, resistenti al Magistero petrino. Attenzione: non al magistero che ci piace, di questo siamo capaci tutti, ma anche – e soprattutto – di quello che richiede più sforzo e attenzione per essere compreso e amato. La mia impressione è che, insieme a quella per i valori non negoziabili, – che sono, ricordiamolo: la difesa della vita dal concepimento alla fine naturale; la difesa della famiglia eterosessuale e monogamica; la libertà di educazione – questa sia la grande battaglia che i cattolici dovrebbero combattere nel tempo attuale. Prima di tutto in interiore homine e poi nella società.
salve
che altro aggiungere oltre a quello scritto dall’articolista Daniela e dal buon Alvaro?
Io qualche (santo e meritato) ceffone l’ho preso ma, come dice Alvaro, spesso bastava lo sguardo; lo sapevi di avere sbagliato, magari speravi di non venire scoperto ma, uno volta venuta a galla la verità, sapevi che dovevi “sparire” per un po…
Io non ho paura della crisi economica, sia io che mia moglie ne veniamo da famiglie che hanno sudato e lottato su tutti i fronti e siamo abituati a fare sacrifici, abbiamo il terrore della deriva socio-culturale.
Ai nostri figli, nipoti, come mettono piede fuori di casa (basta il pullmino scolastico) , vengono ribaltati tutti i valori che insegnamo loro, a cominciare dalla scuola (massonico-comunista, tranne rarissime eccezioni), dalle “istituzioni” e, ahimè dalla Chiesa conciliare, pavida e del mondo.
Non siamo abituati ad arrenderci (piuttosto mi faccio ammazzare), avremo sangue giapponese o avi della Divisione Charlemagne, ma è una guerra quotidiana contro l’ignavia, l’arroganza, la presunzione, la cattiveria…il male
saluti
Piero e famiglia
Bellissimo articolo!
Aggiungo una cosa: qualche volta da ragazzino (un po’ di anni fa) sbirciavo le riviste per adolescenti che comprava mia sorella, cosi’ per curiosita’…
C’erano le solite domande:
Non so se dargli il primo bacio…
Non so se e’ quello giusto
Io lo amo ma i miei non vogliono
Provate adesso a leggere un giornaletto da adolescente… Sembra che il Direttore Responsabile sia Rocco Siffredi!!!
Pose da Kamasutra, oggetti da porno-shop…
Ci sono tanti sacerdoti purtroppo, ed anche “pezzi” più grossi, che si divertono a fare il controcanto al papa. E’ una vergogna. Ma perché i superiori non intervengono? Gente come don Gallo, il priore di Bose Enzo Bianchi, don Vitaliano Della Scala e tanti altri stanno creando confusione e scandalo. Ma che aspettano i vescovi responsabili ad intervenire per fare chiarezza? Vergogna. Lo dico ai vescovi: VERGOGNA!
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