Tommaso Pevarello ci scrive riguardo ad un grande filosofo dimenticato:
Donoso Cortes (1809-1853) è un politico e un pensatore che vive nel momento in cui la modernità sta per mettere in atto quello che aveva con fatica teorizzato nelle dottrine prima liberali poi socialiste. Il suo tentativo di opporsi alla deriva anticristiana verso cui l’Europa del suo tempo sembra ormai destinata, assume un carattere tragico e insieme apocalittico: si tratta di salvare l’ordo cristianus modellato sull’ordo cosmicus, dalla carica distruttiva razionalista che anima nel profondo la Rivoluzione. Nella sua opera maggiore, Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo (appena ristampata dall’editrice Il Cerchio di Rimini), si scaglia energicamente contro i sostenitori dell’infallibilità della ragione. Egli scrive: “Tra la ragione umana e l’assurdo vi è un’affinità segreta, una parentela strettissima; il peccato li ha uniti con il vincolo di un indissolubile matrimonio”. La ragione, essendo imperfetta, non può né inventare verità né scoprirne altre che non siano contenute nella Rivelazione. Questa concezione è fondamentale perché da essa partiranno le più forti critiche politiche del pensatore spagnolo. Infatti la civiltà filosofica, succeduta a quella cattolica, insegna che la natura umana è completa in maniera radicale; questo significa che la volontà, sana, può volere il bene operandolo naturalmente. Ma a Cortes non sfugge la perversa logica di questi sillogismi: se il male non è nel libero arbitrio né nella ragione, esso non può che trovarsi nei vincoli sociali; pertanto la concezione del bene che ne deriva consiste nel non avere più alcun vincolo. “L’Umanità sarà perfetta quando negherà Dio, che è il suo vincolo divino, quando negherà il governo, che è il suo vincolo politico, quando negherà la proprietà, che è il suo vincolo sociale, e quando negherà la famiglia, che è il suo vincolo domestico”. Ecco come egli smaschera il reale progetto del razionalismo, vero ispiratore di ogni Rivoluzione ed anticipa quello che sarà il progetto comunista che intende ricostruire l’essenza stessa dell’uomo a partire dal suo essere sociale. Infatti se la sua natura è tutta nella socialità, solo nella società la natura esiste come vincolo per l’uomo con l’uomo, realizzando l’unità essenziale tra l’uomo e la natura, ponendo fine a quel sentimento di dipendenza verso ciò che è sovrastruttura ed estraniazione, cioè verso la religione, la famiglia, lo stato, il diritto e la morale. Donoso è radicalmente pessimista sulla possibilità di invertire la rotta; invero il passaggio dall’età dell’oro cristiana a quella del ferro filosofica è come inscritta nel progetto di Dio: “infatti se la civiltà cattolica avesse avanzato in un progresso continuo, la terra sarebbe diventata il paradiso dell’uomo e Dio ha voluto che fosse una valle di lacrime”. E non importa se il razionalismo è pieno di assurde contraddizioni; anzi sono proprio queste che ne garantiscono la sopravvivenza, in quanto “la ragione segue l’errore dovunque vada”.
A volte il filosofo spagnolo sembra esagerare nei giudizi negativi sull’uomo, ma le sue parole sono come sfoghi germogliati dal seme del rimpianto, il rimpianto di un uomo che ha tradito il suo essere imago Dei, non riuscendo ad attualizzare le proprie potenzialità. Infatti in esso la bontà non è in atto ma in potenza, ma è in questo spazio che striscia il serpente seduttore del male. La negatività che si incontra nel temporale è testimoniata anche dalla vita stessa di Gesù: il suo viso era sempre avvolto da una nube di tristezza, le folle della Galilea lo videro piangere così come la famiglia di Lazzaro e i discepoli. Tutti videro le lacrime nei suoi occhi, nessuno il sorriso sulle sue labbra. Gli uomini pur avendo incontrato Dio, smisero di glorificarlo, si persero in mille ragionamenti, inaridendo il loro cuore; vantandosi di essere divenuti sapienti, preferirono la menzogna distogliendo l’orecchio dalla verità. Era questo che Gesù intendeva far capire quando disse: “Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi riceveste; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste”. Erano le parole che annunciavano il naturale trionfo dell’errore sulla verità e del male sul bene. Cristo infatti non conquistò il mondo con la sua dottrina, con la verità, anzi in quanto tale fu crocifisso. Pertanto l’uomo, negando la verità, non fa che affermare se stesso. Inutile è l’avvertimento del profeta Geremia (17, 5-9): “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dal Signore”. Dio, essendo giusto, a causa della ribellione della sua creatura, si limitò a togliergli la saggezza, ma essendo anche misericordioso gli conservò l’intelligenza. L’orgoglio rafforzò l’errore sino a far sentire l’uomo padrone della verità; tuttavia da una ragione imperfetta non può generarsi il perfetto. La verità è pertanto intesa come categoria atemporale e statica che non nasce come risultato di un processo dialettico. Basti pensare che quando Satana sfidò Gesù in un duello spirituale, questi non iniziò un libero dibattito, ma disse seccamente “Vade, Satana!”. Il rifiuto del principio della libertà di discussione, o per lo meno della sua efficacia, può sembrare un insulto per l’uomo d’oggi. Tuttavia il ragionamento di Donoso è chiaro: la discussione nasce dall’incapacità umana di individuare la verità e l’errore ed ha come proprio dogma il suo essere infallibile, il che è un assurdo. Infatti per lui l’infallibilità può trovarsi solo nella Tradizione, che è il proseguo della parola divina, che fa dell’uomo un ricettore della verità e non un costruttore. Se l’intelletto umano fosse infallibile, la verità risiederebbe in tutti gli uomini, ma allora tutti avrebbero le stesse idee e non vi sarebbe discussione; se ne deduce che la discussione non potrà mai arrivare alla verità, essendo nient’altro che uno scontro tra incertezze. La teoria cartesiana che ritiene che la verità nasca dal dubbio è assurda e contraria alla legge divina: il dubbio nasce dal dubbio, la verità nasce dalla fede.
Questa concezione avrà un’ importante conseguenza in campo politico: infatti è dal razionalismo che si sviluppano due dottrine a prima vista antitetiche tra loro, ossia il liberalismo e il socialismo, entrambe impegnate a far allontanare l’uomo da Dio, la ragione dalla fede, generando assurdi sistemi filosofici che minano la categoria stessa della “verità”. Cortes sostiene che “ogni grande questione politica dipende da una fondamentale questione teologica”; quando viene a mancare la certezza della presenza di Dio, presenza che abbraccia tutte le cose, ci si allontana dalla verità abbracciando l’idolatria dell’ingegno. Ecco che si apre la strada alla rivoluzione: dapprima con il deismo del liberalismo, infine con il panteismo totalitario. I liberali, pur non atei nei loro dogmi, sono destinati a scivolare sui sentieri dell’ateismo, dal momento che accettano solo la sovranità costituente di Dio (Dio come creatore), respingendo quella attuale (Dio come Provvidenza): è ovvio infatti che un Dio che non governa non è Dio e pertanto si affida solo alle forze dell’uomo (buono) il compito di partecipare alla storia, modificandola. L’uomo moderno ripercorre così i sentieri del grande mentitore credendo nell’utopica promessa di un paradiso terreno, per organizzarsi e vivere etsi Deus non daretur (come se Dio non ci fosse). Donoso pone in relazione l’orgoglio filosofico con l’orgoglio luciferino: in Lucifero infatti si ritrovano le premesse dell’uomo che intende ribellarsi a Dio nel tentativo di prendere il Suo posto, ammaliato da quell’Eritis sicut Dei, quella divinizzazione prometeica mediante la gestione e il controllo della scienza e della tecnologia. La società, incamminandosi su questi pensieri, è arrivata pertanto a ribaltare la logica cristiana: detronizzata la fede, sostituita con la deificazione di una ragione imperfetta, ha convertito il male, che era relativo e contingente, in assoluto, universale e necessario. La promessa del “regnum novum” terreno non è nuova, ma si presenta con forza solo nei periodi di decadenza, segnati dalla trasgressione delle forme e dei limiti che la religione sosteneva. Ogni utopia che si cercherà di realizzare dal XVIII secolo si basa sulla convinzione che esista un uomo “nuovo”, nato dall’emancipazione dal sacro. L’immanentismo è il presupposto di ogni ideologia: sopprimendo ogni subordinazione ad un ordine trascendente, si arriva ad attribuire un valore assoluto a categorie temporali che vengono divinizzate, siano esse il Popolo, la Nazione, la Classe o lo Stato. Donoso Cortes anticipa con più di mezzo secolo d’anticipo la creazione di un qualcosa che mai prima l’uomo aveva sperimentato: “Il mondo cammina con passi rapidissimi alla costituzione di un dispotismo, il più gigantesco ed assoluto che sia mai esistito a memoria d’uomo”.
Egli parla esplicitamente del comunismo: “Quando tutto è dio e dio è tutto, dio è soprattutto democrazia e folla; gli individui, null’altro che atomi, escono dal tutto che li genera per tornare al tutto che li assorbe. Da qui il disprezzo del comunismo per l’uomo e la loro negazione della libertà umana; da qui la loro aspirazione immane ad un dominio universale attraverso la futura demagogia, che si estenderà per tutti i continenti”. Il mondo apparirà così un’immensa babele che impone gli stessi volti, le stesse abitudini, la stessa cultura menzognera a tutti i popoli; nessun sacrificio apparirà eccessivo ed ogni distruzione sarà salutata come una nuova liberazione. Donoso non si ferma qui; oltre ad essere una teoria panteistica e atea, quella socialista-comunista è anche satanica: “Il socialismo è forte perché è una teologia, ed è distruttore perché è satanica”. Infatti esso non è solo una setta filosofica, ma anche religiosa: negando Dio, respinge la sua creazione; negando la rivelazione, in nome dell’assoluta competenza della ragione umana e negando la grazia, in contrasto con l’indipendenza della ragione, non fa che falsare quell’ordine a cui l’uomo doveva conformarsi. In definitiva tutte queste negazioni possono essere ridotte ad una sola: il socialismo è satanico perché spezza il legame tra Dio e l’uomo, progetto che attuerà mediante la dissoluzione delle realtà “naturali” prime, ossia la famiglia, la religione e la proprietà. Da un lato quindi vi sono i philosophes, che pongono la loro fiducia nella virtù dell’uomo che la natura umana non può sostenere; dall’altro, chi, come Donoso, ha guardato troppo a fondo nella vita e nella sua anima per riporre la propria fiducia in un uomo che appare una debole canna spezzata. Donoso osserva che ogni “civiltà razionale” ha seguito nella storia un percorso di morte più velocemente di qualsiasi altro: il suo tempo è più veloce, la sua crudeltà più vastamente organizzata e le sue menzogne più subdolamente diffuse mediante i mezzi di informazione/propaganda. La maggior parte dei credo ottimistici non sono che la fiducia in qualche virtù o capacità umana: l’ottimismo ha fiducia nella vita perché crede alla sua nazione, alla sua cultura, alla bontà degli uomini, alla crescita infinita della ragione; oppure alla capacità di una determinata classe di creare una civiltà nuova e libera. Tanto grande è il potere dell’orgoglio umano che le illusioni finiscono solo quando è la storia a condannarle e anzi, in certi casi, neanche dopo la verifica davanti ai loro occhi delle immani tragedie che hanno provocato. Il fascino della forza delle idee, infatti, eccita più di tutti gli intellettuali, che, quando parlano, intendono farlo “a nome di tutti”, legittimando anche l’odio se versato “per il bene dell’umanità”.
A tal proposito illuminante è l’intervista che lo storico marxista Hobsbawn rilasciò nel 1994: egli confessò che se la rivoluzione bolscevica fosse avvenuta “davvero”, la morte di più di venti milioni di persone era giustificabile. Per realizzare queste utopie si schierano in campo nemici insormontabili, capri espiatori contro i quali convogliare l’odio, creando il “nemico” ideologico. Aberranti sono a questo riguardo le parole di Bertrand Russell: “Se fosse possibile dimostrare che con lo sterminio degli ebrei l’umanità potesse attingere alla felicità, non ci sarebbe nessuna ragione per non procedere alla loro eliminazione”. Contro questa impostazione ci viene in soccorso una frase di T.S. Eliot: “la struttura mentale dell’utopista contempla la ricerca di sistemi tanto perfetti che un uomo buono non vi sarà mai”. Per Cortes l’uomo è una realtà troppo complessa e profonda per essere lasciato al giudizio della propria ragione, a quella di qualche intellettuale o della società: nessuno di questi riferimenti può in qualche modo essere considerato come “giudice” e tanto meno come “salvatore”. Questo perché l’io trascende la società, non può obbedire né alle leggi causali della natura, in virtù della propria libertà, né al principio della razionalità, in quanto questo ne è solo una parte. Per l’uomo comprendere veramente se stesso significa partire dalla fede che lo illumina nella sua origine “trascendente”, che lo fa creatura amata e conosciuta da Dio. Egli è “immagine di Dio”. Per il cristiano l’io, non trovando il significato della vita in se stesso e nel mondo, ripudia nella propria essenza qualsiasi ideologia, in quanto l’unica meta a cui aspira è il Paradiso celeste. Insegnando che la disillusione verso se stessi è il miglior antidoto contro l’amarezza delle illusioni che ci danno gli altri uomini, il Cattolicesimo ci inizia al vero pentimento ed ecco perché attira così tanto l’odio teologico degli “uomini di pensiero”, i quali vedono i loro ragionamenti umiliati, derisi da una forza maggiore. La visione razionalista considera invece l’esistenza fine a se stessa, il cui scopo è quello di realizzare la felicità su questa terra eliminando, con il dominio della ragione, il dolore; il tempo ci sarebbe stato dato per godere dei piaceri e fuggire i dolori. La concezione cattolica invece fa giocare nel tempo la possibilità di edificare la nostra santificazione. Per Donoso la “teoria della perfettibilità e del progresso” su cui si basa la costruzione del nuovo mondo è priva di senso: “essa insegna che la logica non è reperibile in questo mondo né in Dio suo ordinatore ma in un luogo imprecisato e differibile/ rimandabile in eterno, ma in realtà impensabile perché privo di compiutezza e godibilità”. L’uomo tende naturalmente ad emanciparsi da un “presente tirannico” e per questo fissa lo sguardo sul futuro, patria della vera libertà; il rivoluzionario si presenta sempre come “l’uomo del futuro”, “l’uomo nuovo” che ha la storia dalla sua parte. Il cristiano nella formula “Credo nella remissione dei peccati, la resurrezione della carne e la vita eterna” dimostra di cogliere con più profondità la complessità della sua natura: “la salvezza nel futuro deve passare attraverso la corruzione presente nel suo cuore ed è riposta in un perdono che possa superare non la sua finitezza, ma il suo peccato, e quest’opera è possibile solo mediante l’onnipotenza divina, in grado di completare la sua vita, senza annientarla”. E’ importante sottolineare come il cattolicesimo non sia un’ideologia astratta, ma abbia un’identità di carne e sangue: il Logos non è più quel regno delle idee, dei valori, delle leggi, che governa la storia e ne determina il senso, ma si presenta esso stesso come storia nel Cristo; l’idea di redenzione proposta è l’imitazione di Cristo, non più norma filosofica ma decisamente concreta. Solo in lui gli uomini trovano la direzione del loro viaggio, l’enigma delle loro lacrime, il segreto della vita e l’arcano della morte. Si può dire che se il cattolico ha il cuore sulla terra ma gli occhi diretti verso il cielo; del razionalista non sappiamo ben definire dove abbia il cuore ma sicuramente i suoi occhi sono tragicamente fissi sulla terra, mentre con la testa si affanna inutilmente cercando un perché di tutta quella polvere. Nonostante la ferita nell’orgoglio egli tenta di superare il suo stato di infelicità nell’unica sfera concreta: è per questo fine che ha divinizzato la storia, divenuta l’unico teatro dove potrà realizzare l’utopia. L’utopia socialista sogna uno stato di comunanza totale, una società in cui regnino la completa concordia di vedute e la totale assenza di conflitti interni: prefigurare un ordine sociale in cui regni l’unanimità equivale a prefigurare l’assenza di individualità. A questo si lega la speranza che, in un giorno imprecisato, si arriverà al superamento dello Stato, visto che ognuno sarà rimunerato secondo i suoi bisogni, con la conseguenza però che comunque la gestione del potere non svanirà. Infatti, quando lo Stato scompare, ciò che resta è la gestione del potere sic et simpliciter, non limitata da leggi, convenzioni o costituzioni. Quest’ultima sarà per propria natura assassina; infatti eliminando la religione verrà soppresso dalla società quel connotato essenziale di ogni civiltà: la pietà. Questa nel suo significato classico è quel sentimento di venerazione che si nutre nei confronti dei genitori, della patria e della divinità. La pietas cristiana introduce il concetto di “cura” dell’altro: si passa dal mero onorare al concreto prestare soccorso, grazie alla forza della carità. E’ questo l’antidoto contro ogni possibile sopraffazione ed ingiustizia: l’uomo partecipa al destino di chi gli è più vicino, guidato dal comandamento lasciato dal Cristo “ama il prossimo tuo come te stesso”.