Non è un caso che sia stata fissata per domani, 8 marzo 2008, la manifestazione per la difesa della legge 194. Il problema dell’aborto è infatti concepito da gran parte della società come
una questione esclusivamente femminile,
dalla quale il padre è completamente escluso. Egli non è l’unico a non avere “diritti”, poiché anche il concepito viene rimosso dalla sfera della decisione, spettante soltanto alla madre. Oggi la cultura che si contrappone a quella pro life non si fa chiamare pro death ma pro-choice: il problema viene spostato dal rispetto della vita del bambino al diritto della donna di scegliere.
Sentiamo oggi nei telegiornali alcune femministe che affermano sia arrivato il momento di dare voce “all’autodeterminazione della donna”, compiendo però così un subdolo parallelismo: l’uguaglianza aborto-diritto della donna. Ma questo sarebbe come chiedere a tutti gli omosessuali d’Italia di riconoscersi nelle manifestazioni del gay pride, e far sì che una presuntuosa minoranza imponga la propria visione ideologica su tutta la comunità.
Da donna ritengo che la legge sull’aborto non solo non sia una conquista di civiltà, ma che essa umilii la dignità stessa della donna. Sarebbe allora meglio che domani queste signore sventolassero una mimosa in meno per ridare un po’ di orgoglio alla femminilità, che significa anche difesa di ciò che di più prezioso vi sia al mondo: la vita.