…Mi chiedo se Giovanni compatirebbe, in me prete, questo coincidere di due ritrovamenti, la Città e il vino, il vino italiano che mi sembra sacro e rituale a sua volta, con in più la illusione di uno spirituale terrenizzato, non profanamente. Costantini è veneto d’orgine, una periferia d’Italia non così ricca di sole, ma mi ha portato in tavola un vino delle sue parti che si spreme dalle “orecie” (orecchie) del grappolo ossia dall’uva più matura: di qui prende il nome, “recioto”, e è dolce senza niente di blando, anzi su un fondo sapido, robusto, con toni persino gravi. Colore, rubino scuro, o forse amaranto. Uno dei più squisiti scacciapensieri che un uomo civile si possa concedere. Così concludendo non compio d’altronde il mio pensiero, che mentre annoto, mi porta oltre la fortuità sensualità a riflettere: dal cattolicesimo al vino c’è un nesso ecologico, di habitat, ovvio anche se nessuno lo ha mai studiato, e ce n’è un altro liturgico-sacrale. Ma a perfezionarli vedo un terzo rapporto, psichico; perché l’animo cattolico è spontaneo nei luoghi dove il vino, più che una bevanda, è un conforto necessario, una ragione vitale. (Vitis, vita). Quanto a me, in questo momento, ho idea di non riabituarmi più alla birra e al kirsch. E è soltanto una passeggera impressione, purtroppo. Io non sono cattolico che volonterosamente, non d’istinto, non “radicitus”. (da Guido Morselli, “Roma senza papa”)