Il 21 settembre si è riunito a Washington il gruppo 5 più 1 per intimare all’Iran di cessare la produzione di uranio arricchito, minacciando sanzioni e, addirittura, un intervento armato. I 5 più 1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania) producono da decenni uranio arricchito. Francia, Germania e Regno Unito, per giunta, stanno costruendo un nuovo gigantesco impianto con centinaia di migliaia di centrifughe. L’Iran ne sta allestendo uno con circa tremila centrifughe. Ciò è consentito dal Trattato contro la proliferazione nucleare, purché l’uranio arricchito sia destinato esclusivamente alla produzione di elettricità e sia controllato dalle Nazioni Unite. L’Italia non partecipa a questi negoziati, malgrado non produca uranio arricchito, non abbia un programma nucleare, e abbia interessi economici e strategici importanti come quelli di Francia, Germania e Regno Unito. Questi 3 Paesi hanno così costituito, da 4 anni, un embrione di Direttorio europeo, con declassamento dell’Italia. Achille Albonetti, Roma
Caro Albonetti, con una conferenza stampa alla Casa Bianca, negli scorsi giorni, il presidente Bush ha abbassato di un grado la temperatura dello scontro. Ma anche il ministro degli Esteri francese ha fatto dichiarazioni apocalittiche, seguite a breve distanza di tempo da parole più rassicuranti anche del presidente Sarkozy. Questi piccoli passi indietro appartengono alla diplomazia della doccia scozzese e alla liturgia delle relazioni internazionali. Nella sostanza il quadro rimane quello che lei ha descritto nella sua lettera. Forse l’aspetto più interessante e paradossale della situazione è che tutto questo accada mentre il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Mohamed El Baradei, fa sapere al mondo di avere negoziato segretamente con l’Iran, nel corso dell’estate, un accordo con cui il governo di Teheran s’impegna, in cambio di alcune concessioni, a fornire chiarimenti sugli aspetti segreti del suo programma nucleare. Sembra che i rappresentanti della Francia, della Germania, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti gli abbiano fatto visita, dopo le sue dichiarazioni, per manifestargli il disappunto dei loro governi. Se confermato, infatti, l’accordo rischierebbe d’inceppare il processo per l’applicazione all’Iran di nuove sanzioni: una prospettiva a cui gli Stati Uniti non intendono rinunciare. Ne hanno bisogno per meglio sostenere che l’Iran è l’«uomo nero» del Medio Oriente e che la presenza militare americana in Iraq è, ora più che mai, giustificata dalla minacciosa ombra iraniana che incombe sulla regione. Quanto più la spedizione irachena diventa discutibile e contestabile, tanto più Bush ha bisogno di argomenti per combattere la sua battaglia contro l’opinione pubblica e il Congresso. È meno facile, invece, comprendere la posizione della Gran Bretagna, della Germania e soprattutto della Francia. Capisco che la rappacificazione con l’America, dopo la rottura provocata dalla guerra irachena, sia per la Germania di Angela Merkel e per la Francia di Nicolas Sarkozy un obiettivo desiderabile. Capisco il timore che un Iran nucleare, anche se per il momento «civile», possa suscitare una «corsa all’atomo» in Egitto, in Turchia e in Arabia Saudita. E capirei la collaborazione con gli Stati Uniti se servisse a esercitare una influenza moderatrice sulla sua politica iraniana. Ma non capisco perché i tre Paesi europei si prestino a favorire una politica che non cessa di destabilizzare il Medio Oriente. Sono queste le ragioni, caro Albonetti, per cui non sono sicuro che l’allargamento del gruppo «5 più 1» all’Italia gioverebbe al nostro Paese. Avremmo dovuto accettare l’invito di Francia, Gran Bretagna e Germania quando i tre Paesi stavano perseguendo una linea diversa da quella di Washington. Ma oggi, se chiedessimo di entrare nel gruppo dei negoziatori occidentali, rischieremmo di privarci del diritto di avere, in materia di Iran, opinioni diverse da quelle dei quattro Paesi che hanno cercato di boicottare l’accordo negoziato da El Baradei.