Il virus e la danza macabra.

La danza macabra, il virus, la tristezza.

T’hanno dato un nome, ma io ti chiamerò soltanto virus. Un nome è dignità propria d’uomo, non di un sicario inconsapevole e perciò innocente.

Abbiamo imparato a contare i morti, come dopo un tifone, come dopo un terremoto; solo che il computo è distribuito lungo i giorni, un rosario di uomini e donne che non accenna a finire.

Rispetto ai nostri nonni non abbiamo più una familiarità con il morire come accadeva un tempo; l’evento più inevitabile e più naturale è diventato una remota possibilità. Una fastidiosa ipotesi.

Quando tutto va bene la morte si riduce ad un fatto privato mentre ora si aggira per l’intero paese e pianta il proprio vessillo da nord a sud. 

La danza macabra è dipinta sulle facciate dei nostri giorni, nei programmi televisivi, nelle ossessive riflessioni, nei calcoli sulle probabilità che il nemico si arresti o che proceda con la forza e l’astuzia di un generale d’armata. 

Abbiamo eretto la nostra maginot, chiuso il paese, cementato i confini. 

Le strade sono deserte e il silenzio ha consumato la propria rivalsa verso il perenne rombo che possedeva le vie delle metropoli di giorno e di notte. Lungo i modesti viali e le stradine dei paesi si sente solo il fischio del vento di marzo, lo scalpiccio di qualche passante rapido e diffidente, la bocca chiusa da una benda bianca. Quasi beffarde, ciuffi di primule fanno capolino da un terrapieno del tutto indifferenti.

Abbiamo imparato a contare i morti; abbiamo imparato quanto siamo fragili, esposti a potenze invisibili, non calcolate. 

Sempre, anche quanto tutto appare normale, anche quando le città brulicano di gente e le serate danzanti riempiono la testa di spensieratezza, la goccia d’ogni devesso rimbomba in noi come in una cisterna vuota.

Abbiamo imparato a contare i nostri morti; ogni caduto lo sentiamo unico, anche se sconosciuto, in lui temiamo per i nostri cari. Con lui, ci siamo noi con il carico di cristalli di tutte le nostre certezze infrante.

Per questo non possiamo che essere tristi; si tratta di questa malinconia di un timore; il rimorso di potere ridire e vivere, nonostante tutto. Per questo dobbiamo essere tristi.

Anche se nel chiuso delle nostre case sentiamo un porto sicuro, anche se consumiamo banchetti, anche se dal balcone insceniamo l’inopportuna festa per un drink a distanza o leviamo al cielo infiniti lumini, scoprendoci improvvisamente credenti. Dobbiamo essere tristi.

Che tutto torni come prima, andrà bene! Lo si dice, lo si scrive “sugli stipiti delle porte”.

Per questo, non possiamo essere che tristi; per molti infatti, mai la vita sarà come prima.

Dovremmo essere tristi, di una tristezza composto, silente, dolente; e mangiare erbe amare; perché il male quando decide di sfoderare la spada, non chiede alcun permesso.

E invece i più si stringono felici, perché sono giovani, perché non hanno vecchi in famiglia; si abbracciano come i protagonisti di un film catastrofico, che nel finale di una tragedia hanno la forza d’essere felici. Perché loro ce l’hanno fatta, crolli pure il mondo.

Il dolore non chiede alcun permesso; non lo chiede ai politici, fragili figuranti posseduti da innumerevoli incertezze. Non lo chiede agli scienziati e ai medici, travolti da un lavoro indefesso al ritmo di un orologio che sembra solo contare i decessi e i senza respiro appesi a tubi.

La morte porta via pezzi di vita, pezzi di storia, pezzi d’amore, pezzi di progetti e di futuro.

Guardo alla luna, penso a Leopardi, penso alla natura; a quella sua indifferenza, penso all’invisibile killer che agisce per procura -mascherato per non riuscir sgradito- attraverso patologie pregresse che peggiorano. Anche così l’egoismo di ciascuno si consola: “muoiono solo persone che avevano già gravi problemi”.

Non possiamo essere felici, forse dovremmo vestire a lutto.

Resta l’inesplicato senso della preghiera che funziona così bene quanto tutto, per noi, procede senza intoppi; ma che si acida imprecazione quando le cose non vanno. Come sempre. La natura è solo sé stessa; né paradiso, né inferno. 

In tutto questo l’uomo dovrebbe interrogarsi e dirsi ancora: “conosci te stesso”. La risposta, sulle tracce della sapienza di Socrate, mi par chiara; non siamo Dei, siamo mortali, il nostro limite lo dobbiamo conoscere. La morte è li, sempre.  Spesso l’abbiamo dimenticato e l’ordine della natura si è rivoltato.

Ma oltre la natura e il suo limite, c’è l’ignoto, c’è il Dio; e il nostro Dio, il Dio di noi tutti, è risorto. Altra parola non trovo, per i defunti e i parenti loro, dalla tranquilla poltrona di una tranquilla casa di Trento. 

Il virus, il prete, la Madonna.

Il prete decide di uscire; non si preoccupa la gente possa tornare agli aperitivi e alle serate nelle discoteche quanto prima. La sua èun’altra preoccupazione.

Carica la grande statua della Vergine sul suo ape car e gira per il paese di Bibione. Recita il rosario, benedice, la gente lo guarda stupita, sorride, ringrazia. Perché?

Quel prete è convinto la preghiera serva, quel prete è motivato, trasmette una forza, trasmette una fede. Non dice di non usare prudenza e accortezza, non proclama alcuna rivolta, semplicemente accanto all’emergenza del corpo mette l’emergenza dello spirito. Quel prete, lo ripeto, crede nel potere della preghiera, crede nel potere della Chiesa; una chiesa che non dimentica la propria storia, una storia fatta anche di tantissimi martiri che hanno accudito per le strade i colpiti dalla peste.

Roma, fu convertita anche da questo, dall’esempio dei cristiani che si prendevano cura di tutti; anche solo donando un bicchier d’acqua essi salvarono vite. Roma fu convertita dal potere della speranza che il cristianesimo portava, unito alla forza del dono e dell’amore sperimentato per strada dagli “abbandonati.”

I signori romani quando la peste colpì fuggirono verso le loro ville di campagna; anche il grande medico Galeno fuggì.

Quello era un mondo che credeva, i pagani avevano una loro fede; la vita, per tutti, non era soltanto un corpo chiuso nell’orizzonte terreno, ma Altro.

Oggi le cose non stanno così; sui social tra i commenti relativi al gesto del prete troviamo: “Superstizione”.

Il sistema di riferimento ècambiato, persino non pochi credenti parlano di superstizione. Ma se quell’azione fosse stata compiuta in chiesa la chiamereste superstizione? L’occidente ha dimenticato il sacro per esaltare la materia. Il corpo, lo svago, il cibo, gli abbracci, la medicina, l’immortalità.

Se il sistema di riferimento è un mondo senza Dio, tutto diventa superstizione. Il soprannaturale è stato bandito, o confondendo Dio con il mondo, o relegando Dio ad un remoto aldilà.

Quel prete ha riportato Il soprannaturale al centro di una strada, tra negozi e macchine. Vestito con i paramenti liturgici ha fatto il “suo lavoro”, ha assiso la Vergine nel cuore di un mondo ferito.

La gente ha apprezzato, perchéquesto l’uomo, ogni uomo, credente e non, si attende da un prete, dalla sua semplice, riconoscibile presenza; ch’esso sia testimone dell’eterno e del bene, testimone di un amore che vince ogni paura, testimone d’Altro rispetto al mondo, rispetto a tutti i valori e gli sforzi –abbracci, solidarietà, strette di mano, disegni pieni di belle parole- che hanno il solo potere di rimandare la fine. Testimone di un mondo che non conosce fine.

Male-detti

Perché? Perché? Rimbalza la domanda nei cuori e nelle teste, dopo che due ragazzi di un liceo si sono tolti la vita nel giro di pochi giorni.

Gli psicologi si sforzano di consolare i vivi, ma non hanno parole, i professori, non hanno parole, i genitori degli amici, non hanno parole, i preti, non hanno parole. Dicono sia sufficiente la vicinanza fisica, l’esserci, stringersi; ma quanto dura il calore di un abbraccio?

I figli sono posseduti dalle domande; quasi fossero demoni, le domande chiudono l’anima in un cerchio tutto terreno. Per alcuni ragazzi bisogna fare, darsi da fare, andare, mai fermarsi; quale sia la direzione in fondo conta poco. I “più avveduti” invece, programmano tutto e quando i progetti e le energie vengono frustrate o quando le domande mai espresse bruciano dentro, allora ci si scopre soli, freddi, disperati; ci si scopre morti. Allora morire, farsi morire, non è più difficile. La terra, con tutto il suo darsi da fare, la luna e i pianeti, in questo mondo pieno di domande senza più risposte, non sono che un pezzo di terra in più. Ma la terra pesa, quando ti scende dentro ti toglie il respiro. Non è Gaia la terra. Anche i preti non hanno risposte, forse perché non credono più nel cielo, forse perché anche loro credono che tutta la questione di riduca al fare qualche cosa; migliorare il mondo. La scienza, gli psicologi, una vita ben programmata, l’impegno sociale, non bastano. I giovani non vogliono morire, lo sanno più di tutti d’essere fatti per il cielo, perché sentono ancora il fiato di una madre che li accarezza e ne hanno nostalgia.  Ma neanche una madre può tutto. Gli adulti negano l le risposte vere. L’infinito, sei fatto per l’infinito, lo dovremmo gridare nel momento in cui i ragazzi sono felici, non dopo. Non lo fa più nessuno. Allora, quando avremmo bisogno di una parola, non resta che il silenzio e i giovani sono ancora una volta; male detti.

Uomo, animali, natura.

La lega dei delfini per la tutela del mare dall’inquinamento

Molti oggi stupiscono del fatto che il mondo della moda, della pubblicità, del cinema, lavorino alacremente per affermare un futuro senza sessi, senza maschi, senza femmine, senza genitori, senza figli biologici, senza vecchi malati e senza figli indesiderati. La radice di tutto questo nasce da un’antropologia che nega ogni primato umano dentro la natura. L’uomo secondo questa prospettiva, non sarebbe che un abitante, per lo più aggressivo, del pianeta. Leggi tutto “Uomo, animali, natura.”

Quell’undici febbraio 1858. Giovedì.

 

Nell’epoca delle parole, delle sottili analisi, del sospetto, della mancanza di fede, del soprannaturale negato, dell’identificazione del cristianesimo con il solo impegno sociale; la figura di Bernadette è una salutare pietra d’inciampo che sempre sollecita nella mia povera natura una commozione benefica.

In ogni suo gesto e parola la ragazzina dei Pirenei ci ricorda quello che saremo sempre: creature finite.

Nell’epoca dell’informazione globale e del consumo di tutto, della tecnologia e della medicina che vuol rifare l’uomo, questa piccola testimone della nostra fragilità ci riporta all’essenziale: siamo fatti per il cielo, la gloria del mondo è illusione. Leggi tutto “Quell’undici febbraio 1858. Giovedì.”

L’Altro.

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Una battuta per iniziare. Il timore dell’Altro nasce dalla non conoscenza? Non credo, più conosco mia suocera più la temo.

Sulla questione partirei da Sartre. L’esistenzialista francese in un suo scritto osservò: “l’inferno sono gli altri…lo sguardo dell’altro mi uccide.” Espressioni di questo tipo le chiamerei realiste. Ma il realismo spesso non è che una formula giustificatoria del mondo così come lo abbiamo esperito.

Forse con meno senso di realtà e certo con una buona dose di ottimismo, il compianto regista Bertolucci osservava: “come l’intolleranza verso l’altro nasca dalla non conoscenza”. Leggi tutto “L’Altro.”

La Croce il Natale e i preti sensibili.

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Attenzione! Ancora il crocifisso con allegato presepio. Timore tra laicisti e cattolici emancipati. “I politici identitari minacciano di obbligare esposizione del simbolo cristiano in tutti gli edifici pubblici, con relativo presepio natalizio”.

Eppure coloro che si dicono allarmati sanno benissimo che questo non può che restare un auspicio.

Ma veniamo ai pretoriani del cattolicesimo adulto, primi e per ora soli critici, della sparata leghista. Per bocca di mons. Spadaro, notate bene, direttore della Civiltà Cattolica – dunque esiste o è esistita una civiltà e per giunta cattolica- prontamente ripreso da molteplici testate diocesane e da innumerevoli post sui social. Cito a memoria: “il simbolo della croce non può essere oggetto di strumentalizzazione, Leggi tutto “La Croce il Natale e i preti sensibili.”

Quanto adoro quelle Sisters

La natura della donna esiste? Il solo termine natura evoca fissità, ruoli definiti, privilegi maschili da perpetrare, lo so. La pensano così i conformisti, i progressisti, gli emancipati, le femministe.

È vero, la natura muta, la natura di ogni essere vivente evolve lungo il corso di milioni di anni. La sostanza di ogni creatura ha conosciuto un processo di perfezionamento per compiere il quale sono occorsi migliaia e migliaia di anni.

Il credente sa che esiste un Creatore e che Lui ha posto in ogni vita un processo secondo un disegno che conosce un termine. Leggi tutto “Quanto adoro quelle Sisters”

Ragazzo di campagna e di città.

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Questo mio scritto è una finzione letteraria sin dal titolo. Oggi la città ha soppiantato ogni campagna, ha preso possesso di ogni angolo del nostro occidente. Città e campagna sono luoghi dello spirito, forse incompatibili. Dove cresce l’uno, muore l’altro.

Nel mondo contadino sapevi che un frutto o un pomodoro hanno bisogno di cura, sapevi che era necessario scrutare il cielo e prevedere quali sorprese tenesse in serbo.

Una grandinata o troppa calura ti portavano via il pranzo per i giorni a venire. Guardavi la terra, la sentivi sotto i piedi, era una realtà su cui camminare. Leggi tutto “Ragazzo di campagna e di città.”