Gli angeli della morte di Amsterdam

Si aggirano per la città di Amsterdam pronti a dispensare morte su richiesta. Si tratta di unità sanitarie mobili composte da medici e infermieri – tutti volontari – disposti a praticare l’eutanasia a domicilio. La controversa iniziativa denominata Levenseinde (Fine Vita) è stata introdotta in Olanda dalla NVVE, Nederlandse Vereniging voor een Vrijwillig Levenseinde, che tradotto significa associazione per una volontaria fine della vita, sodalizio che con i suoi 130.000 membri vanta il macabro primato di organizzazione eutanasica più grande del mondo. Leggi tutto “Gli angeli della morte di Amsterdam”

I tecnici dell’omofobia

Sembrava che il Governo Monti si dovesse qualificare come un mero esecutivo tecnico incaricato di affrontare le emergenze economiche del nostro Paese, privo di qualunque connotazione politica e soprattutto ben attento a non sfiorare il delicatissimo campo dei cosiddetti temi sensibili. Sembra invece che così non sia. Lo dimostra la recente Conferenza dal titolo “Contrasto della discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, organizzata dall’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, tenuta lo scorso 16 febbraio 2012 presso la prestigiosa Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, quella di Via Santa Maria. Leggi tutto “I tecnici dell’omofobia”

Spettacoli blasfemi

C’è davvero poco di artistico nell’opera intitolata Sul concetto di Volto nel figlio di Dio del regista e sceneggiatore Romeo Castellucci, che si terrà al Teatro Parenti di Milano dal 24 al 28 gennaio prossimo. Disgustosa la scenografia, ma ancor più disgustoso il contenuto blasfemo della rappresentazione. La scena si svolge in una stanza bianca e immacolata in cui un anziano incontinente guarda la televisione ad alto volume. Ad accudire quel vecchio ci pensa un altro personaggio, il figlio, il cui compito si traduce in una sorta di fatica di Sisifo. Leggi tutto “Spettacoli blasfemi”

Un governo mondialista

Nel suo stellare curriculum il Professor Mario Monti vanta anche studi esteri. Trascorre un anno presso la prestigiosa Università di Yale (U.S.A.), dove diventa allievo di James Tobin, Premio Nobel per l’economia nel 1981. Non abbiamo prove di una sua affiliazione alla Skull and Bones, la celeberrima e potente società segreta di ispirazione mondialista che dal 1832 ha sede presso quel prestigioso ateneo statunitense. Abbiamo però la prova che il professore varesino rappresenti un autentico apostolo del pensiero mondialista.

Tre inequivocabili circostanze lo attestano.
Mario Monti è membro del Bilderberg Group. La notizia è passata sui media con una certa nonchalance, dovuta più che altro alla non conoscenza, da parte del pubblico comune, della natura di tale sodalizio. Istituito nel 1954 presso castello olandese di Bilderberg, questo esclusivissimo club si ritrova segretamente ogni anno per decidere del futuro dell’umanità. Si tratta dei centrotrenta uomini più potenti e influenti del mondo riuniti in una stessa stanza, che guardie armate tengono lontana da occhi indiscreti. In più di cinquant’anni d’incontri è sempre stata vietata la presenza della stampa, non sono mai state rilasciate dichiarazioni sulle conclusioni degli intervenuti, e non è mai stato svelato l’ordine del giorno. A prescindere da cosa realmente accada in quel segreto consesso, il solo fatto di come si svolga e di chi lo componga lascia alquanto perplessi, e non risponde certo ad una logica di democrazia e trasparenza. Fino all’ultimo momento resta occulto il luogo degli incontri e si interviene solo su espresso invito, che non può essere pubblicamente divulgato, pena la mancata partecipazione Per comprendere meglio di cosa si tratti è sufficiente leggere quanto sul tema ha scritto William Vincent Shannon, non esattamente un paranoico complottista, ma un prestigioso giornalista, redattore del New York Times e ambasciatore degli Stati Uniti in Irlanda durante la Presidenza Carter (1977-1981): «I membri del Bilderberg stanno costruendo l’era del post-nazionalismo: quando non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della terra circondate da valori universali. Sarebbe a dire, un’economia globale; un governo mondiale (selezionato piuttosto che eletto) e una religione universale. Per essere sicuri di raggiungere questi obiettivi, i Bilderbergers si concentrano su di un “approccio maggiormente tecnico” e su di una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale».
Del resto, lo stesso fondatore del Bilderberg Group, il principe Bernardo d’Olanda, sul punto era stato chiaro: «E’ difficile rieducare gente allevata al nazionalismo all’idea di rinunciare a parte della loro egemonia a favore di un potere sopranazionale». Onesto, a suo modo, è stato pure David Rockfeller – altro Bilderberg di razza –, il quale ha lasciato scritto nelle sue Memorie (2002): «Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come “internazionalisti”, e di cospirare con altri nel mondo per costruire una più integrata struttura politico-economica globale, un nuovo mondo, se volete. Se questa è l’accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso di esserlo».

Il giornale londinese The Times, che non può certo definirsi un foglio complottista, nel 1977 descrisse i membri del Bilderberg Group come «una congrega dei più ricchi, dei più economicamente e politicamente potenti e influenti uomini nel mondo occidentale, che si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere per caso». A conferma di quanto avesse ragione l’autorevole quotidiano britannico si possono elencare alcune singolari coincidenze (per citare i casi più noti e più recenti) dovute a fatti accaduti dopo gli incontri del Bilderberg. Bill Clinton partecipa al meeting del 1991; vince le primarie del Partito Democratico, e da oscuro governatore dell’Arkansas diventa Presidente degli Stati Uniti nel 1992. Tony Blair partecipa al meeting del 1993; diventa il leader del Partito Laburista nel luglio del 1994, e viene eletto Primo Ministro nel maggio del 1997. George Robertson partecipa al meeting del 1998; viene nominato Segretario Generale della NATO nell’agosto del 1999. Romano Prodi partecipa al meeting del 1999; riceve l’incarico di Presidente dell’Unione Europea nel settembre del 1999, ricoprendo tale incarico fino a gennaio 2005; nel 2006 viene eletto Presidente del Consiglio dei Ministri italiano.
Sembra confermata ancora una volta la saggia conclusione del Barone Denis Winston Healey, ex Ministro britannico della Difesa (1964-1970) e delle Finanze (1974-1979): «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali, e la maggioranza di questi eventi sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza».
Per chi volesse saperne di più, consiglio la lettura di un ottimo testo intitolato The true story of the Bilderberg Group, di Daniel Estulin, un libro di 340 pagine – corredato da una preziosa documentazione – che raccoglie i risultati di una indagine durata anni sull’intoccabile gruppo elitario di cui la stampa ufficiale appare sempre reticente.

La seconda prova dell’indole mondialista del nostro esimio professor Monti, risiede nel fatto che egli faccia anche parte della Trilateral Commission. Anzi, per essere precisi, ricopre la carica di Presidente per l’Europa nel triennio 2010-2012. Chi ha l’avventura di accedere al sito ufficiale di quella istituzione (www.trilateral.org), troverà, infatti, una lettera di presentazione sottoscritta da Mario Monti, quale European Chair, da Joseph S. Nye, Jr., quale North American Chair, e da Yotaro Kobayashi, quale Pacific Asian Chair, con tanto di fotografia.
Ufficialmente si tratta di un think-tank fondato nel 1973 da David Rockfeller con forte impronta mondialista. Il Professor Piergiorgio Odifreddi (lontanissimo per idee da chi scrive) ha invece liquidato il prestigioso pensatoio internazionale definendolo, su Repubblica (9.11.2011), «una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger». Quella di Odifreddi non rappresenta, ovviamente, l’unica voce critica nei confronti della Trilateral. Nel 1979 l’ex governatore repubblicano Barry Goldwater la descriveva come «un abile e coordinato sforzo per prendere il controllo e consolidare i quattro centri di potere: politico, monetario, intellettuale ed ecclesiastico grazie alla creazione di una potenza economica mondiale superiore ai governi politici degli Stati coinvolti». Lo scrittore francese Jacques Bordiot, sosteneva, inoltre, che per far parte della Trilateral, era necessario che i candidati fossero «giudicati in grado di comprendere il grande disegno mondiale dell’organizzazione e di lavorare utilmente alla sua realizzazione», e precisava che il vero obiettivo della Trilaterale fosse quello «di esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate, per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale».
Il canadese Gilbert Larochelle, professore di filosofia politica presso l’Università del Quebec, nel suo interessante saggio L’imaginaire technocratique, pubblicato a Montreal nel 1990, ha definito, più semplicemente, la Trilateral come una privilegiata elite tecnocratica: «La cittadella trilaterale è un luogo protetto dove la téchne è legge e dove sentinelle, dalle torri di guardia, vegliano e sorvegliano. Ricorrere alla competenza non è affatto un lusso, ma offre la possibilità di mettere la società di fronte a se stessa. Il maggiore benessere deriva solo dai migliori che, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso». Il connotato resta sempre il medesimo: poca democrazia e poca trasparenza.
Piccolo inciso legato all’attualità della cronaca politica: un altro italiano membro della Trilateral è l’onorevole Enrico Letta, al centro di una polemica per uno strano biglietto inviato al consociato Professor Monti.

La terza prova della visione mondialista di Super Mario sta nel fatto di essere un uomo Goldman Sachs, la celebre banca d’affari fondata nel 1869 da Marcus Goldman, un tedesco di origini ebraiche immigrato negli Stati Uniti, e dal genero Samuel Sachs. Per comprendere la reale natura di tale istituzione non occorre addentrarsi nei siti complottisti. E’ sufficiente leggere un autorevole quotidiano come Le Monde del 16 novembre 2011 (proprio il giorno dell’investitura di Monti a Capo del Governo), ed in particolare l’articolo del giornalista Marc Roche, corrispondente da Londra, dal titolo sintomatico: La “franc-maçonnerie” européenne de Goldman Sachs. Si tratta di una vera e propria requisitoria contro la potente banca d’affari, dall’incipit particolarmente duro: «Ils sont sérieux et compétents, pesant le pour et le contre, étudiant les dossiers à fond avant de se prononcer. L’économie est leur péché mignon. Ils ne se découvrent que très rarement, ces fils de la Lumière entrés dans le Temple après un long et tatillon processus de recrutement. C’est à la fois un groupe de pression, une amicale de collecte d’informations, un réseau d’aide mutuelle. Ce sont les compagnons, maîtres et grands maîtres amenés à “répandre dans l’univers la vérité acquise en loge”». «Confratelli, maestri e gran maestri chiamati a “spandere nell’universo la verità acquisita nella loggia”». L’articolo merita la lettura. Per Le Monde, Goldman Sachs funziona come la massoneria, in cui ex dirigenti, consiglieri ma anche trader della banca d’affari americana si ritrovano oggi al potere nei Paesi europei chiave per la gestione della crisi finanziaria. In Europa Goldman Sachs si è fatta fautrice di una forma di “capitalismo delle relazioni”, e punta a piazzare i suoi uomini senza mai lasciar cadere la maschera. Può sembrare esagerato il giudizio di Le Monde, ma forse non lo è se si pensa ad un’altra singolare coincidenza. Si tratta del fatto che l’omologo greco di Mario Monti, il professor Lucas Papademos (anch’egli studi statunitensi), già vice presidente della Banca Centrale Europea (dal 2002 al 2010), ed ora tecnocrate mandato a commissariare il governo ellenico, è un altro uomo Goldman Sachs. Oltre che – guarda caso – membro anche lui della Trilateral Commission. Il panorama si fa ancora più inquietante se si considera che l&rs
quo;uomo Goldman Sachs più potente in Europa è Mario Draghi, l’attuale Presidente della Banca Centrale Europea.

Nonostante tutte queste sinistre coincidenze, faccio ancora fatica a cedere alle suggestioni complottiste. Confesso, però, che quando ho letto sul quotidiano economico Milano Finanza che è stata proprio Goldman Sachs a innescare l’ondata di vendite di Btp il 10 novembre scorso, un pensiero cattivo mi ha attraversato la mente. Sarà forse perché il giorno prima, 9 novembre, Mario Monti è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una settimana dopo sarebbe diventato Premier sull’onda degli spread. Coincidenze. da: culturacattolica.it

Halloween, per piccini? Svegliamoci!

Si avvicina la notte del 31 ottobre con il consueto armamentario di zucche, candele e macabre mascherate. Si tratta della festa pagana e satanica di Halloween, spacciata per innocua carnevalata ed innocente divertimento per piccini.

La politically correctness britannica ha avuto modo di occuparsi anche di questa festa, accomunando guardie e ladri. Da tempo, infatti, ai detenuti pagani, satanisti e “Devil worshippers” (adoratori del diavolo), non solo è riconosciuto un giorno di riposo settimanale per motivi religiosi (il giovedì, poiché il venerdì, il sabato e la domenica, sono rispettivamente riservati a musulmani, ebrei e cristiani), ma è pure consentito di celebrare la festività di Halloween. Non si tratta di semplice riposo, o di una gaia arlecchinata, bensì di una celebrazione vera e propria con tanto di riti e oggetti sacri: pietre runiche, mantelli, e bastoni flessibili (per motivi di sicurezza). Le disposizioni in favore delle centinaia di detenuti pagani e satanisti rinchiusi nelle carceri britanniche sono state emanate da Gareth Hadley, Direttore del personale penitenziario nazionale, sul presupposto politicamente corretto dell’assoluta eguaglianza tra paganesimo, satanismo e qualunque altro credo religioso.

Dall’altra parte della barricata, per quanto riguarda i poliziotti, lo scorso 10 maggio il Ministero britannico degli Interni ha ufficialmente riconosciuto la Pagan Police Association, un’organizzazione di poliziotti pagani (più di 500 tra agenti ed ufficiali di polizia, compresi druidi, streghe e sciamani), autorizzando i membri ad assentarsi dal servizio in occasione delle relative feste religiose, tra cui primeggia proprio Halloween.

Andy Pardy, capo della polizia di Hemel Hempstead nell’Hertfordshire, che è cofondatore della Pagan Police Association e adoratore delle antiche divinità vichinghe, tra cui il dio Thor dal martello distruttore e Odino dall’occhio ciclopico, ha dato l’annuncio ufficiale del riconoscimento da parte del Ministero degli Interni, precisando che “gli agenti di polizia ora possono finalmente celebrare le proprie festività religiose e lavorare in altre giornate, come il Natale, che per essi appaiono assolutamente insignificanti”.

Halloween, in realtà, è tutt’altro che un’innocua festicciola per bambini. Profondamente radicata nel paganesimo e nel satanismo, continua ad essere una pericolosa forma di idolatria demoniaca.

Trae origine da un’antichissima celebrazione celtica diffusa nelle isole britanniche e nel nord della Francia, con cui i pagani adoravano una delle loro divinità, chiamata Samhain, Signore della morte. Era considerata una delle feste più importanti, e dava inizio al capodanno celtico. La notte del 31 ottobre in onore del sanguinario dio della morte, veniva realizzato, sopra un’altura, un enorme falò utilizzando rami di quercia, albero ritenuto sacro, sul quale venivano bruciati sacrifici costituiti da cibo, animali e persino esseri umani.

Di quest’ultima crudele e sanguinaria usanza ne dà testimonianza lo stesso Giulio Cesare nel suo De Bello Gallico (libro VI, 16), così come Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (XXX, 13), in cui parla di “riti mostruosi”, e Tacito nei suoi Annales (XIV, 30), che definisce i sacrifici umani praticati dai druidi come “culti barbarici”.

I Celti ritenevano che Samhain, in risposta alle offerte di tali olocausti, autorizzasse le anime dei morti a ritornare alle proprie case in quel giorno di festa. Per questo motivo i pagani nordici ritenevano che fredde e oscure creature riempissero la notte vagando e mendicando tra i vivi. E’ da tale credenza, peraltro, che deriva l’uso odierno di girovagare nel buio, la notte di Halloween, vestiti in costumi che imitano fantasmi, streghe, elfi, e creature demoniache.

Anche la celebre espressione “trick or treat”, tradotta con l’innocente “dolcetto o scherzetto”, è parte dell’antico cerimoniale pagano. Venivano chieste offerte (“treat”) sotto la minaccia dell’ira di Samhain, e della sua maledizione divina (“trick”), in caso di rifiuto. “Offrite sacrifici a Samhain, o subirete i suoi castighi”, questo si continua inconsciamente a chiedere, oggi, con l’apparentemente scherzoso “dolcetto o scherzetto”.

L’usanza di chiedere offerte al dio della morte diventava, in passato, anche un metodo per identificare i cristiani che si rifiutavano di onorare la divinità pagana, e che per questo subivano, a volte, odiose ritorsioni.

Per comprendere quanto la Chiesa, fin dall’inizio dell’evangelizzazione dei popoli celti, fosse preoccupata di quella pericolosa “solennità” pagana, basta considerare che la Festa di Ognissanti fu spostata, in Occidente, al primo novembre, con tanto di vigilia la notte precedente, proprio per contrastare il culto satanico di Samhain.
La cristianità conobbe, infatti, le prime forme di commemorazioni dei Santi già a partire dal IV secolo, in particolare nel giorno della Domenica successiva alla Pentecoste, usanza conservata fino ad oggi dalla Chiesa Ortodossa d’Oriente.

Nell’Occidente, come si è detto, la data fu spostata al primo novembre per farla coincidere con la celebrazione in onore del dio celtico della morte, a seguito delle pressanti richieste che provenivano dal mondo monastico irlandese.

La prima traccia di questa posticipazione è rinvenibile in un atto di Papa Gregorio III (731-741), che fissava appunto nel 1? novembre l’anniversario della consacrazione di una cappella in San Pietro dedicata alle reliquie “dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo”.
Fu il successore Gregorio IV ad estendere e rendere obbligatoria la data della celebrazione a tutta la cristianità. In Francia, in particolare, ciò avvenne grazie ad un decreto di Luigi il Pio, emanato nell’ 835, “su istanza di Papa Gregorio IV, con il consenso di tutti i vescovi”.

Nella Britannia del VIII-IX secolo, quindi, il giorno dedicato dai pagani al dio della morte, era per i cristiani occasione per onorare i Santi, partecipando alla veglia di preghiera la sera del 31 ottobre, ed alla Santa Messa il giorno successivo.

E’ da qui che deriva il termine Halloween. L’etimo si radica, infatti, nell’antica espressione inglese Hallow E’en, ovvero notte di commemorazione di tutti coloro che sono stati “hallowed”, santificati. I pochi che rimasero ancorati alle tradizioni pagane reagirono al tentativo della Chiesa di soppiantare la celebrazione in onore di Samhain, mantenendone il culto e cercando di incrementarlo. Nell’alto medioevo la notte di Halloween divenne simbolicamente la festa principale della stregoneria e del mondo occulto. In quel contesto avvenivano, tra l’altro, forme particolari di sacrilegio nei confronti di oggetti sacri, e l’utilizzo degli scheletri (oggi rappresentati da maschere) costituiva una forma di dileggio delle Sacre Reliquie.

Per il moderno satanismo, Halloween continua ad essere una festa privilegiata. E’ uno dei quattro sabba delle streghe, delle quattro grandi “solennità” coincidenti con alcune delle principali festività pagane e dell’antica stregoneria. La prima e più importante è, appunto, quella di Halloween, considerata il Capodanno magico. La seconda “solennità” è quella di Candlemass, che si celebra la notte tra il 1? e il 2 febbraio ed è considerata la Primavera magica (per i cristiani è la ricorrenza della Presentazione del Bambino Gesù al tempio, chiamata anche popolarmente “Festa della Candelora”). La terza “solennità” è quella di Beltane, che si festeggia nella notte tra il 30 aprile ed il 1? maggio, chiamata anche la notte di Valpurga, e segna l’inizio dell’Estate magica. La quarta “solennità” è quella di San Giovanni Battista, che si svolge la notte tra il 23 e 24 giugno, ed è particolarmente attesa per mettere in atto malefici di malattia e di morte. Com’è facile notare sono tutte celebrazioni notturne che si svolgono nel buio e nell’oscurità, a conferma della definizione evangelica di Satana come Principe delle Tenebre, e dei suoi seguaci come Figli delle Tenebre.

Da un punto di vista cristiano, la partecipazione a tali pratiche, a qualunque livello (anche quello apparentemente inoffensivo di una banale festa), deve considerarsi una pericolosa forma d’idolatria. Come deve considerarsi una forma pagana di superstizione quella di illuminare una zucca vuota fuori dalla porta per scacciare demoni e fantasmi.
Sorprende la sottovalutazione fatta oggi anche da molti credenti – a volte preda di una forma di ebetismo consumistico – circa l’origine ed il significato della festa pagana e satanica di Halloween. Ma non sorprende che dalla Chiesa continuino a levarsi voci rivolte ad ammonire e mettere in guardia circa i rischi dell’inganno demoniaco che tale ricorrenza nasconde.

Mi ha particolarmente colpito, l’anno scorso, l’iniziativa di una marcia proprio contro i festeggiamenti di Halloween svoltasi a Massa Carrara e promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata dal compianto don Oreste Benzi, iniziativa cui non ha fatto mancare propria fattiva partecipazione l’allora vescovo di Massa Carrara-Pontremoli, monsignor Eugenio Binini.

La comunità di don Benzi, in quell’occasione, non ha usato mezze parole per denunciare i pericoli della cosiddetta notte delle streghe: “Il fenomeno che viene esaltato il 31 ottobre è un grande rituale satanico. Facciamo appello al mondo cattolico perché non promuova in nessun modo questa ricorrenza che inneggia al macabro e all’orrore. Sappiano tutti i genitori e tutti coloro che credono nei valori della vita, che la festa di Halloween è l’adorazione di Satana che avviene anche in modo subdolo attraverso la parvenza di feste e di giochi per giovani e bambini. Il sistema imposto di Halloween proviene da una cultura esoterico-satanica in cui si porta la collettività a compiere rituali di stregoneria, spiritismo, satanismo che possono anche sfociare, in alcune sette, in sacrifici rituali, rapimenti e violenze. Halloween è per i satanisti il giorno più magico dell’anno e in queste notti si moltiplicano i rituali satanici come le messe nere, le iniziazioni magico-esoteriche e l’avvio allo spiritismo e stregoneria. Attenzione agli educatori e responsabili della società affinché scoraggino i ragazzi a partecipare ad incontri sconosciuti, ambigui o addirittura ad alto rischio perché segreti o riservati”.

Sempre a proposito di Halloween, monsignor Girolamo Grillo, Vescovo emerito di Civitavecchia-Tarquinia, ha ricordato che “si tratta di una consuetudine nettamente pagana”, e che “naturalmente un vero cristiano non potrà mai dare il suo assenso a tutto questo, soprattutto per il fatto che di carnevalate oscene ve ne sono a iosa, cui vanno aggiunte le veglie sataniche mascherate proposte da alcuni gruppi, purtroppo abbastanza diffusi anche nei nostri ambienti”.
Quest’ultimo punto dell’osservazione di mons. Grillo merita di essere sottolineato, poiché non sono infrequenti – ahimè – le occasioni in cui si ha modo di verificarne la fondatezza.

E’ accaduto anche a me quando ho appreso del caso di un giovane sacerdote, coadiutore di un anziano parroco, che aveva autorizzato l’uso della sala oratoriale per la celebrazione della festa di Halloween. Con tanto di locandine e volantini. Alle legittime recriminazioni di un genitore, il giovane coadiutore, infastidito per l’osservazione, ha tenuto a precisare che la magia esiste solo nel mondo della fantasia dei bimbi, che i ragazzi cattolici non debbono isolarsi ma condividere le occasioni di divertimento con i loro coetanei, che la Chiesa, in passato, ha già sbagliato dando la caccia a streghe inesistenti, e che la concezione antropomorfa del demonio appartiene alla tradizione preconciliare.

Sappiamo già che da alcuni giovani (e inesperti) preti non si può pretendere più di tanto.

Ma credo si possa almeno esigere che conoscano un pochino le Sacre Scritture.
Se quel neosacerdote avesse dato una ripassatina alla Bibbia, avrebbe avuto modo di leggere che non è opportuno per i cristiani frequentare i pagani e assistere ai loro riti, poiché non può esservi unione tra la luce e le tenebre (2 Corinzi, 6,14), che i libri di arti occulte vanno bruciati (Atti, 19,19), che non si deve partecipare alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannarle apertamente (Efesini, 5,11-12), che idolatria e stregoneria sono opere della carne (Galati, 5,20), che bisogna separarsi da “chi esercita la divinazione, il sortilegio, l’augurio o la magia; da chi fa incantesimi, da chi consulta gli spiriti o gli indovini, e da chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore” (Deut. 18, 10-12). Più chiaro di così.

daCultura Cattolica

28 ottobre 2010

Prima e dopo Cristo

Nella storia dell’umanità è giunto un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo, che ha sezionato e bisecato il tempo. Il tempo fu creato attraverso quel momento, poiché senza significato non c’è tempo, e quel momento di tempo diede il significato.

Così Thomas Stern Eliot descrive nei suoi Cori da “La Rocca” il momento dell’Incarnazione che ha “sezionato e bisecato il mondo del tempo”, per cui noi oggi contiamo il tempo avanti e dopo Cristo. A mettere in discussione questa secolare convenzione con cui scandiamo lo scorrere degli anni, non è stata, questa volta, la solita associazione di atei, agnostici e razionalisti, ma niente di meno che la prestigiosa British Broadcasting Corporation. La mitica BBC.

Allo scopo di non offendere tutti coloro che non sono cristiani, ed in nome di una laica “religious neutrality”, la più grande e prestigiosa società radiotelevisiva del Regno Unito ha deciso, infatti, di sostituire la classica distinzione che gli Inglesi fanno del tempo prima di Cristo (B.C. before Christ) e dopo Cristo (A.D. Anno Domini), con quella più neutra di “Era Comune” e “Prima dell’Era Comune”.

Le sigle B.C. e A.D. sono state quindi sostituite da C.E (Common Era) e B.C.E. (Before Common Era). Follie da political correctness, si dirà. E per di più inutili visto che, comunque lo si denomini, il punto di partenza per il calcolo resta sempre la nascita di Nostro Signore. Resta però incomprensibile questa ostinata opera di damnatio memoriae con cui in Gran Bretagna si tenta di cancellare anche il più piccolo riferimento alle proprie radici culturali cristiane. E pensare che – paradosso della Storia – uno dei primi ad usare l’espressione Anno Domini in senso temporale fu proprio un Inglese.

Si tratta di San Beda il Venerabile, monaco, storico, santo e dottore della Chiesa vissuto tra il 673 ed il 735. San Beda, tra l’altro, considerò come inizio dell’Anno Domini la data dell’Incarnazione di Gesù, cioè il concepimento, non la sua nascita, avvenuta approssimativamente nove mesi più tardi. Di questa particolare caratteristica del dotto monaco inglese ne ha parlato anche Sua Santità Benedetto XVI all’Udienza Generale del 18 febbraio 2009, ricordando che proprio “nei Chronica Maiora Beda traccia una cronologia che diventerà la base del Calendario universale “ab incarnatione Domini””.

Secondo la spiegazione teologica di Benedetto XVI, San Beda il Venerabile, “vedendo che il vero punto di riferimento, il centro della storia è la nascita di Cristo, ci ha donato questo calendario che legge la storia partendo dall’Incarnazione del Signore“. Viene in mente Charles Peguy quando parlava di “un’ora unica nella Storia”, di “eternità divenuta tempo“, quando descriveva la venuta di Cristo come “tutta la fine del mondo e tutto l’inizio dell’altro”, come “l’ultimo punto della promessa ed insieme il primo punto dell’alba, l’ultimo punto di ieri ed insieme il primo punto di domani, l’ultimo punto del passato ed insieme e nello stesso presente il primo punto di un immenso futuro“.

Con l’originale vena poetica che lo caratterizzava, quel pensatore cattolico francese così è riuscito a descrivere il momento in cui la venuta di Cristo ha sezionato e bisecato il tempo: “E’ uno di quei lunghi bei giorni di giugno in cui non c’è più notte, in cui non ci sono più tenebre, in cui il giorno dà la mano al giorno, è l’ultimo punto della sera ed è insieme il primo punto dell’alba“. Continuare a non riconoscere questo Fatto accaduto nella storia dell’umanità, pretendendo di cancellarne persino la memoria dal calendario, significa preferire il buio della notte alla luce dell’alba.da Avvenire

Buone nuove da Lussemburgo

Una buona notizia giunta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea rincuora il mondo pro-life, abituato di solito a ricevere amare sorprese nel campo della tutela degli embrioni. Si tratta delle conclusioni recentemente depositate dall’Avvocato Generale della Corte, il francese Yves Bot, secondo cui le cellule staminali embrionali totipotenti sono assimilabili, a tutti gli effetti, ad un embrione umano, e come tali, quindi, non possono essere brevettabili.
Davvero interessante. E ancor più interessante è che a sollevare la questione sia stata la nota associazione ecologica Greenpeace. Tutto è cominciato in Germania, quando il tribunale federale in materia di brevetti (Bundespatentgericht), sulla base di un ricorso proposto da Greenpeace, ha dichiarato la nullità di un brevetto depositato nel 1997 sui procedimenti che consentono di ottenere cellule progenitrici a partire da cellule staminali di embrioni umani. La Corte federale tedesca di Cassazione (Bundesgerichtshof) ha poi deciso di sospendere il giudizio e di chiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi in ordine all’interpretazione della nozione di “embrione umano”, non definita dalla Direttiva 98/44/Ce sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Si tratta, in pratica, di sapere se l’esclusione della brevettabilità dell’embrione umano riguardi tutti gli stadi della vita a partire dalla fecondazione dell’ovulo o se debbano essere soddisfatte altre condizioni, ad esempio che sia raggiunto un determinato stadio di sviluppo.
Il 12 gennaio 2011 si è svolta presso la Grande Sezione della Corte di Giustizia la trattazione orale nella causa C-34/10 fra Oliver Br?stle e Greenpeace.
E’ la prima volta che la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla nozione di “utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali” prevista dalla Direttiva 98/44, e si comprende quindi la particolare delicatezza del thema decidendum, anche per gli aspetti scientifici, giuridici, economici e filosofici che essa implica.
In gioco vi è, infatti, l’interpretazione dell’articolo 6 della Direttiva, secondo cui “sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume”.
Secondo tale disposizione, quindi, “sono considerati non brevettabili in particolare: a) i procedimenti di clonazione di esseri umani; b) i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano; c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali; d) i procedimenti di modificazione dell’identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l’uomo o l’animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti”.
Le questioni sottoposte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dal tribunale nazionale tedesco nella causa C-34/10 riguardano questioni di particolare rilevanza.
Il primo quesito concerne la nozione stessa di “embrione umano” di cui all’art. 6, n. 2, lett. c), della Direttiva, ed in particolare, “se siano compresi tutti gli stadi di sviluppo della vita umana a partire dalla fecondazione dell’ovulo o se debbano essere rispettate ulteriori condizioni, come, ad esempio, il raggiungimento di un determinato stadio di sviluppo; se siano compresi anche gli ovuli umani non fecondati in cui sia stato trapiantato un nucleo proveniente da una cellula umana matura, o ovuli umani non fecondati, stimolati attraverso la partenogenesi a separarsi e svilupparsi, o le cellule staminali ricavate da embrioni umani nello stadio di blastocisti”.
Il secondo quesito è relativo a come si debba intendere la nozione di “utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali”, ossia se essa comprenda qualsiasi sfruttamento commerciale nell’accezione dell’art. 6, n. 1, della Direttiva, in particolare anche un’utilizzazione finalizzata alla ricerca scientifica.
Il terzo quesito è relativo “all’esclusione della brevettabilità, ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della Direttiva, di un determinato insegnamento inventivo anche qualora l’utilizzo di embrioni umani non rientri nell’insegnamento rivendicato con il brevetto, ma costituisca la premessa necessaria per l’utilizzo del medesimo, perché il brevetto riguarda un prodotto la cui creazione comporta la previa distruzione di embrioni umani, ovvero perché il brevetto riguarda un procedimento che richiede come materiale di partenza un prodotto siffatto”.
Lo scorso 10 marzo, l’Avvocato Generale della Corte, Yves Bot, ha depositato le sue conclusioni prospettando alla stessa Corte la risposta ai tre quesiti, con un ragionamento che appare davvero interessante e meritevole di approfondimento.
“La scienza ci insegna in modo universalmente acquisito ai nostri giorni”, scrive Bot nelle sue conclusioni, “che l’evoluzione a partire dal concepimento comincia con alcune cellule, poco numerose e che esistono allo stato originario solo per qualche giorno”. “Si tratta delle cellule totipotenti”, spiega l’Avvocato Generale, “la cui caratteristica essenziale è che ciascuna di esse ha la capacità di evolversi in un essere umano completo”, in quanto tali cellule “racchiudono in se stesse ogni capacità ulteriore di divisione, poi di specializzazione che condurrà, alla fine, alla nascita di un essere umano. Per questo si può affermare che “in una cellula si trova dunque concentrata tutta la capacità dell’evoluzione successiva”.
Da qui la conclusione tratta dall’Avvocato Generale secondo cui “le cellule totipotenti costituiscono il primo stadio del corpo umano che diverranno”, con la conseguenza che “esse devono essere giuridicamente qualificate come embrioni”.
“In considerazione della definizione così data”, continua Bot, “ogni volta che ci troviamo di fronte a cellule totipotenti, qualsiasi sia il mezzo con cui siano state ottenute, siamo in presenza di un embrione di cui dovrà pertanto essere esclusa ogni brevettabilità”. Sempre secondo lo stesso Avvocato Generale “rientrano pertanto in tale definizione gli ovuli non fecondati in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula matura e gli ovuli non fecondati stimolati a separarsi attraverso la partenogenesi, qualora, secondo le osservazioni scritte depositate dinanzi alla Corte, con queste modalità vengano ottenute cellule totipotenti”.
Queste considerazioni valgono anche per la blastocisti: “Se, di per sé, le cellule totipotenti comportano la capacità di sviluppare un intero corpo umano, la blastocisti è allora il prodotto ad un dato momento di questa capacità di sviluppo”, ed “uno degli aspetti dello sviluppo del corpo umano di cui costituisce una delle fasi”, con la conseguenza che “essa stessa, come tutti gli stati precedenti o posteriori a questo sviluppo, deve essere qualificata come embrione”. “Sarebbe altrimenti paradossale”, fa notare l’Avvocato Generale, “rifiutare la qualificazione giuridica di embrione alla blastocisti, prodotto della crescita normale delle cellule di partenza che, di per sé, ne sono dotate”, in quanto “ciò significherebbe diminuire la protezione del corpo umano in uno stadio più avanzato della sua evoluzione”.
Il punto 96 delle conclusioni di Yves Bot merita di essere integralmente riportato: “Occorre peraltro rammentare qui che la Direttiva 98/44, in nome del principio della dignità e dell’integrità dell’uomo, vieta la brevettabilità del corpo umano nei diversi stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, comprese le cellule germinali (37). Essa dimostra così che la dignità umana è un principio che deve essere applicato non soltanto alla persona umana esistente, al bambino che è nato, ma anche al corpo umano a partire dal primo stadio del suo sviluppo, ossia da quello della fecondazione”. Così come merita di essere testualmente citato il punt0 110: “(…) Dare un’applicazione industriale ad un’invenzione che utilizza cellule staminali embrionali significherebbe utilizzare gli embrioni umani come un banale materiale di partenza. Siffatta invenzione strumentalizzerebbe il corpo umano ai primi stadi del suo sviluppo. Mi sembra inutile, in quanto superfluo, evocare qui ancora una volta i richiami già fatti alle nozioni di etica e di ordine pubblico”.
Se la Corte di Giustizia accogliesse le conclusioni dell’Avvocato Generale Yves Bot, e fondasse la propria decisione su di esse, verrebbe inferto un colpo ferale alla ricerca sulle cellule staminali embrionali totipotenti.
Sì, perché ad onta di tutte le pretese motivazioni etiche poste a fondamento di tale ricerca (che ad oggi, peraltro, non ha dato alcun risultato nonostante le mirabolanti promesse), questa non esisterebbe senza il business dello sfruttamento economico dei suoi eventuali risultati. La brevettabilità rappresenta, infatti, il presupposto essenziale di quel business.
La sentenza della Corte di Giustizia è prevista nelle prossime settimane, ed in molti sperano che, per una volta almeno, quell’organo giudiziario possa esprimersi in favore della vita umana. Non pare, in fondo, di chiedere molto.

Da Cultura Cattolica.it, 3 maggio 2011

GB: storie di ordinaria discriminazione dei cristiani

Storie di ordinaria discriminazione dei cristiani in Gran Bretagna.
Questa volta è toccato a Colin Atkinson, elettricista sessantatreenne che lavora da quindici anni per la Wakefield and District Housing (WDH), una housing association finanziata con fondi pubblici. Per una singolare coincidenza, la triste vicenda si è svolta a ridosso della Dominica Palmarum ed ha riguardato un oggetto religioso realizzato proprio con foglie di palma. Colin Atkinson, infatti, è stato sottoposto ad un procedimento disciplinare, e rischia il licenziamento, per aver osato esporre sul cruscotto del furgone aziendale una croce fatta, appunto, con foglie di palma e non più grande di 8 pollici (20 cm.).
La WDH non è proprio una realtà insignificante nel panorama economico britannico. Ha più di 1.500 dipendenti, gestisce 32.ooo abitazioni, ed è la quinta struttura imprenditoriale, in ordine di importanza, che opera, a livello nazionale, nel settore dell’housing. Ma ha anche un’ulteriore caratteristica che la contraddistingue: una politica aziendale totalmente orientata al politically correct. Basta dare un’occhiata al sito ufficiale dell’azienda per notare come l’impegno vada dall’adesione incondizionata alle tematiche ecologiche, fino alla più oltranzista logica egualitaria. Proprio su questo punto, anzi, si legge come la WDH “abbracci ogni forma di diversità, riconoscendone i molteplici benefici”, e come sia impegnata ad assicurare che i servizi siano sempre forniti “free from any form of discrimination“. Piccolo dettaglio, si è dimenticata di assicurare lo stesso impegno antidiscriminatorio anche nei confronti dei propri dipendenti cristiani. Eppure, per dimostrare la spiccata propensione alla tolleranza ed all’accoglienza della diversità, la WDH, per esempio, ha dato la propria disponibilità ad allestire banchetti nelle manifestazioni del gay pride, ha contribuito alla celebrazione del Diversity Day, iniziativa contro ogni forma di discriminazione (tranne, evidentemente, quelle che riguardano i cristiani), ed ha organizzato un evento a favore dei transgender intitolato A World That Includes Transpeople. Per i solerti e attenti dirigenti della WDH, il povero elettricista con la sua indiscreta manifestazione di fede ha osato violare la ferrea politica aziendale improntata alla “neutralità” nei confronti delle opinioni e dei convincimenti personali dei dipendenti. Peccato che, nella pratica, la stessa WDH abbia mostrato un certo strabismo nell’applicazione del concetto di neutralità. Non si spiega, infatti, ad esempio, perché Denis Doody, il capoufficio di Atkinson,
sia autorizzato ad affiggere un grande poster del rivoluzionario comunista Che Guevara sul muro di fronte alla propria scrivania, oppure perché ad un dipendente musulmano sia stato concesso di esporre un versetto del corano sul cruscotto dell’auto aziendale. Né si spiega perché sia consentito alle dipendenti islamiche indossare il burqa durante il lavoro. O meglio, si spiega solo perché lo sciagurato Colin Atkinson appartiene a quella categoria (i cristiani) ormai considerata alla stregua dei paria ed emarginata dalle tutele antidiscriminatorie dei burocrati dell’eguaglianza. Sfiora il ridicolo la dichiarazione resa da Jayne O’Connell, dirigente aziendale addetta alle pari opportunità: “La WDH adotta una politica di assoluta neutralità. Oggigiorno esistono differenti fedi e nuove culture emergenti. Pertanto occorre essere rispettosi di tutte le diverse opinioni religiose”. Qualcosa però non torna nel ragionamento della O’Connell, visto che musulmani, sikh ed indù non solo non si sono minimamente sentiti offesi dal comportamento dell’elettricista cristiano, ma gli hanno pure espresso la loro piena solidarietà.
Ghayasuddin Siddiqui, esponente del Muslim Institute, dopo aver dichiarato di non vedere nulla di male nel fatto che un cristiano esponga un simbolo della propria fede, ha invitato a non essere eccessivamente permalosi su questi temi, ed a mostrare una maggiore rispetto nei confronti dei sentimenti religiosi altrui.
Niranjan Vakhaira, Presidente dell’Hindu Charitable Trust di Leeds, pronunciandosi sul caso Atkinson, è stato più lapidario: “La croce non offende nessuno, e i datori di lavoro hanno decisamente sbagliato”. Un portavoce del Sikh Education Council ha invece affermato: “I sikh credono nella libertà di espressione e nella libertà di opinione, quando tali libertà vengono esercitate con rispetto”. E poiché Atkinson ha espresso la propria fede “con rispetto e senza offendere nessuno”, i sikh gli hanno manifestato il loro pieno “support“.
Musulmani, indù e sikh che danno lezioni di tolleranza, rispetto e democrazia agli occhiuti censori del politically correct. Così si è ridotta la Gran Bretagna in Pascha Domini 2011.

da Cultura Cattolica , 24 aprile 2011

Partorire un fratellastro

Mackenzie Jarvis è una bambina di due anni che vive a Sheffield in Gran Bretagna, e che un giorno potrebbe diventare madre del figlio di sua madre, cioè del proprio fratellastro o della propria sorellastra.
Non si tratta di perversa fantascienza, ma di allucinante realtà.
Penny Jarvis, la madre venticinquenne di Mackenzie, intende infatti congelare i propri ovociti per farli impiantare, una volta fecondati dal futuro genero, nell’utero della figlia. Il motivo di questa surreale decisione risiede nel fatto che la piccola soffre di una particolare patologia – la sindrome di Turner – che tra i vari effetti invalidanti prevede anche quello della sterilità. A causa di quella sindrome, tra l’altro, Mackenzie deve assumere una dose giornaliera di ormoni della crescita, e soffre di sordità. E’ una bimba che deve essere accudita a tempo pieno, ed il cui futuro esistenziale si prospetta alquanto difficile.
Ciò nonostante, la signora Penny Jarvis pare essere ossessionata dall’idea che la propria figlia non possa vivere un giorno l’esperienza della maternità biologica, e che a lei possa essere negato il diritto alla continuità di questo nuovo idolo chiamato acido desossiribonucleico (DNA). E per questo la Jarvis è disposta a diventare madre del proprio nipote: “E’ bello sapere che se Mackenzie avrà un figlio attraverso i miei ovociti, il bimbo potrà condividere il suo patrimonio genetico, ed avrà dentro di sé una parte di lei”. Che non si tratti, poi, del semplice desiderio di diventare nonna, lo dimostra il fatto che Penny Jarvis oltre a Mackenzie, ha altri tre figli, Morgan, di sei anni, i gemelli William e Abigail, di tre anni, e Jaymie-Leigh nata da cinque mesi.
L’intenzione reale di Penny Jarvis sarebbe quella di convincere, un giorno, le altre figlie a donare, quando sarà necessario, i propri ovuli alla sorella. In previsione di un possibile rifiuto, però, la donna intende premunirsi congelando i propri ovociti. L’iniziativa sarebbe quindi soltanto un espediente precauzionale.
Di fronte alle prevedibili perplessità da parte dell’opinione pubblica, la Jarvis difende accanitamente la propria scelta, invocando il dovere morale dei genitori di dare il meglio ai propri figli (“to do the best for my child“). La donna è anche riuscita ad avere una convinta approvazione da parte del suo gruppo Facebook composto da genitori di bimbi affetti dalla sindrome di Turner, i quali sono stati persino affascinati dall’iniziativa, che hanno definito “a great idea“. Non è quindi escluso che tale pratica possa diffondersi nell’ambiente, sempre all’insegna del “to do the best for my child“.
E’ interessante notare cosa prevede la legge britannica in questi casi.
Nel 2009 un emendamento alla Human Fertilisation and Embryology Act, la normativa che regola la materia, ha ampliato il tempo massimo previsto per il congelamento di embrioni ed ovociti, portandolo da cinque a dieci anni. E’ comunque possibile estendere tale termine fino a 55 anni, a determinate condizioni.
L’avvocato Louisa Ghevaert, esperta di diritto familiare, ha precisato che “i nuovi progressi della biotecnologia ora consentono ad una madre di congelare i propri ovuli per poterli utilizzare in favore della figlia, quando quest’ultima, a seguito di comprovato accertamento medico, risulti sterile”. “In questi casi”, prosegue l’avvocato Ghevaert, “ricorrendo alla normativa vigente in tema di donazioni degli ovociti, la figlia può essere considerata legalmente madre del bimbo partorito, indipendentemente dagli aspetti di natura biologica”.
Un portavoce della Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), l’autorità che regola il settore, ha confermato la piena legittimità della procedura che intende adottare la signora Penny Jarvis, in quanto permessa nel Regno Unito.
Qualora l’inquietante trovata della Jarvis andasse in porto, con il conforto della legge, verrebbe introdotta una nuova figura all’interno della classica parentela, così come conosciuta dagli albori della civiltà. Si tratterebbe del “nipotiglio”, un ibrido metà figlio e metà nipote. Il malcapitato rampollo di Mackenzie, infatti, si troverà un giorno nell’inconsueta situazione di essere figlio biologico della nonna e fratellastro della madre e degli zii.
Come tutto ciò non riesca a suscitare un sussulto di orrore, dal punto di vista etico-sociale, appare davvero incredibile.
Tra coloro che, fortunatamente, riescono ancora a stupirsi c’è Josephine Quintavalle, presidente del CORE Comment of Reproductive Ethics, che, pur esprimendo “una piena comprensione umana per il dolore della madre causato dalla particolare situazione della figlia”, ritiene di “non credere che il congelamento degli ovuli possa rappresentare una soluzione, né dal punto di vista pratico, né sotto un profilo etico”.
Sempre secondo Josephine Quintavalle appare “necessario ponderare accuratamente le conseguenze psicologiche per un ipotetico bambino nato da una donazione intergenerazionale”, considerando che “la complessità di simili relazioni è spesso impossibile da analizzare”. “Gli psicologi”, continua la presidente del CORE, “stanno già parlando di genealogical bewilderment, cioè del trauma derivante dalla confusione genealogica, dato che la donazione di ovociti, di sperma, e la maternità surrogata consentono un numero sempre maggiore di concepimenti artificiali”.
Il termine genalogical bewilderment è stato coniato nel 1964 dallo psicologo H. J. Sants, e oggi sta drammaticamente tornando a far discutere gli esperti, proprio a causa delle nuove frontiere che la biotecnologica ha raggiunto nel campo della riproduzione umana.
Lo scorso novembre a Città del Messico una donna cinquantenne ha accettato di mettere a disposizione il proprio utero per consentire al figlio omosessuale Jorge di avere un bimbo. Grazie alla generosità di un’amica, che ha donato i propri ovuli, Jorge è potuto ricorrere alla fecondazione in vitro. Il fatto è, però, che dopo aver tenuto in grembo per nove mesi l’ovulo di un’estranea fecondato con lo sperma del proprio figlio, la donna ha confessato di sentirsi alquanto “strana” e “confusa”, non riuscendo a comprendere più quale fosse il limite tra l’essere madre e l’essere nonna.
Questo caso dimostra che la confusione comincia ad allargarsi, e non si limita solo al disagio psicologico dello sciagurato che viene al mondo. Coinvolge altri ruoli della dimensione comunitaria parentale, e per la prima volta il genealogical bewilderment si estende a nonne, madri, padri, fratelli, zii. Il rischio è quello del cedimento strutturale dell’intera rete delle relazioni familiari. Un attacco mortale alla struttura portante della società, cui non è estranea la
cultura relativista, la quale, attraverso le aberrazioni della bioingegneria, intende rivoluzionare il modello antropologico che abbiamo fin qui conosciuto, considerandolo obsoleto e superato.
La furia distruttiva dell’ideologia ha prevalso sulla ragione, e gli iconoclasti non si rendono nemmeno più conto degli effetti devastanti della loro visione disumana. L’importante è demolire, smantellare, annientare, senza chiedersi se abbia un senso ciò che si intende distruggere, e quale sia l’alternativa a ciò che si intende sostituire.
“Non abbattere mai una palizzata prima di conoscere la ragione per cui fu costruita”. John Fitzgerald Kennedy, in un suo quaderno d’appunti del 1945, attribuì questa frase a Keith Gilbert Chesterton. Non sappiamo se il vecchio leone di Beaconsfield la pronunciò davvero (anche se appare verosimile), ma certo si tratta di un aforisma che contiene una saggia e sacrosanta verità.

Da Cultura Cattolica.it

La riabilitazione dei valori tradizionali

Ma guarda un po’ chi si rivedono: i vecchi e tanto deprecati valori tradizionali.
A rispolverarli in Gran Bretagna, questa volta, non è stato il solito parroco anglicano di campagna un po’ bigotto, né il raffinato esponente del movimento tradizionalista anglocattolico Forward in Faith, o l’occhiuto preside baciapile di una piccola scuola cattolica, ma nientemeno che il noto psicologo scozzese Professor Tommy MacKay. E non si tratta davvero di un quisque de populo.

MacKay non è soltanto un insigne cattedratico, un profondo esploratore dell’animo umano, un luminare di livello nazionale, un’autorità in tema di psicologia nelle aule giudiziarie, ma è stato anche ex presidente della British Psychology Society, ed un prestigioso e ascoltato consulente dei governi di Sua Maestà britannica. A lui si deve, tra l’altro, la redazione delle Scotland’s educational psychology guidelines, le linee guida dell’educazione psicologica della Scozia, e tra i vari meriti che può vantare c’è anche quello di essere stato personalmente lodato dall’ex premier laburista Gordon Brown, suo convinto estimatore, che gli ha addirittura riconosciuto la veste di eroe, dedicandogli un capitolo nel suo libro Britain’s Everyday Heroes. MacKay è stato un guru della psicologia moderna apprezzato da liberal e progressisti. Per questo ha fatto un certo scalpore la sua uscita sui valori tradizionali, e non poteva, ovviamente, passare inosservata. Chiamato a pronunciarsi sui dati relativi alla violenza dei giovani verso gli adulti, il professor MacKay ha scioccato l’opinione pubblica, resuscitando proprio concetti ed ideali considerati ormai definitivamente archiviati dalla storia, nella visione relativista e politically correct della società post-moderna.

Quei dati, a onor del vero, mostrano un quadro impressionante. Nel 2009 sono state 1.572 le denuncie sulle violenze domestiche perpetrate da minorenni nei confronti degli adulti, il 17 per cento in più rispetto all’anno precedente ed il triplo rispetto alle cifre degli ultimi dieci anni. Nelle scuole, invece, sono state registrate decine di migliaia di atti di violenza degli studenti nei confronti di insegnanti e compagni di scuola. Per essere più precisi, sono state circa 17.000, nelle scuole elementari, le sospensioni di alunni fino ad undici anni di età, mentre hanno superato le 63.000 nelle scuole superiori. Il fenomeno non ha risparmiato neppure i più piccoli. Secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero dell’Educazione, infatti, sono stati 1.240 i casi di sospensione, nel biennio 2008-2009, che hanno coinvolto alunni di quattro anni.
Di fronte ad una così preoccupante situazione, lo psicologo professore della Strathclyde University non ha esitato a parlare della necessità sociale di concetti come “rispetto”, “autorità”, “sacrificio”, “onore”, “patriottismo”, e persino “valori religiosi”.
“Negli ultimi anni”, questa l’analisi di Tommy MacKay, “c’è stata una sostanziale perdita del rispetto per i genitori, per le autorità scolastiche, e per i valori trasmessi dalla Chiesa”. Perciò, secondo l’insigne psicologo, “i genitori hanno il dovere di fornire i fondamenti di quei valori tradizionali, instillando nei propri figli il senso del rispetto per la loro autorità, e del rispetto per gli altri”.
In questa perdita del senso di autorità, MacKay intravvede una responsabilità anche a carico dei genitori degli studenti: “Nelle passate generazioni, il padre e la madre se la prendevano con il proprio figlio, quando questi aveva problemi a scuola. Oggi se la prendono con gli insegnanti”.
I genitori che si comportano in quel modo, in realtà, sono i primi a non possedere il senso dell’autorità e del rispetto delle istituzioni, e non hanno, quindi, nulla da trasmettere ai propri figli. Il punto è che nel vuoto intergenerazionale di ideali, può crescere soltanto l’erba velenosa della violenza.

Particolarmente interessante è anche l’analisi che MacKay fa delle divise scolastiche, sostenendo l’utilità del loro obbligo non solo perche “esse eliminano tra gli studenti ogni forma di stupida competizione basata sulle griffe di moda”, ma soprattutto perche “rappresentano un segno di appartenenza ad un’esperienza più grande e più importante del proprio “io”, e della propria personale “self-expression“”. Le divise, secondo lo psicologo scozzese, rappresentano, infatti, l’istituzione scolastica, la sua autorità ed i suoi valori, piuttosto che il particolare del singolo individuo.

L’analisi si allarga, poi, ad una visione più ampia, quando MacKay afferma che “il declino sistematico dei valori tradizionali registratosi negli ultimi trent’anni è stato direttamente proporzionale all’aumento dei problemi nella società in generale, i cui effetti si sono drammaticamente evidenziati in ambiti particolari quali, ad esempio, quello scolastico e familiare”. Da qui il suo ammonimento sul fatto che l’attuale società “sta perdendo i propri punti di ancoraggio”, e la denuncia dell’esistenza di “una vera e propria bomba ad orologeria che rischia di far esplodere un comportamento psicopatologico di massa”.

MacKay intravvede anche nella profonda crisi che attualmente vive l’attività di volontariato in Gran Bretagna, la pericolosa deriva individualista delle nuove generazioni, “che hanno definitivamente perduto il senso dell’impegno disinteressato e del sacrificio generoso per gli altri”. Oggi, quello che sembra prevalere sempre più è il “cult of self” (il culto di sé), e la “celebrity culture“, che appare ormai come l’orizzonte più ambito delle aspirazioni di milioni di persone. Una triste “corsa al ribasso” degli ideali umani.
Tra gli antidoti alla deriva individualista, Tommy MacKay sdogana persino il valore datato e alquanto demodé del “patriottismo”, rivalutandolo come “un efficace fattore sociale positivo”, perché capace di rappresentare “una nobile idea connessa ad una dimensione comunitaria ben più ampia della propria famiglia o della propria scuola”.

La spietata analisi revisionista del professor MacKay ha inferto un colpo mortale alla psicologia educativa progressista nata dal sessantotto e dai suoi falsi miti, quella, tanto per intenderci, che propugnava un rapporto paritario tra genitori e figli, in cui entrambi dovevano trattarsi da amici e chiamarsi per nome, in cui non vi erano ruoli predefiniti, non esisteva il concetto di autorità, ed il dissenso era considerato una normale espressione comunicativa. Non è difficile, infatti, identificare l’attuale disastro proprio in quel fenomeno storico della fine degli anni ’60 che, insieme alla Riforma protestante e all’Illuminismo, ha tragicamente influito nella società occidentale. I dati allarmanti oggetto delle riflessioni di MacKay riguardano i nipotini della generazione del sessantotto, quella che teorizzava la contestazione di ogni forma di autorità (a cominciare da scuola e famiglia), che idolatrava la rivoluzione, che invocava la “fantasia al potere”, lo slogan “vietato vietare”, l’assemblearismo permanente, l’autogestione, la coscienza critica dei giovani, il mito del dissenso, la formula magica delle tre M (Marx, Mao, Marcuse), e che finiva per trovare nella via anarchica l’unico sbocco logico e l’unica vera proposta alternativa.

Non è un caso che la contestazione sessantottina dell’autorità abbia avuto come principali obiettivi la scuola e la famiglia, se si considera che la radice etimologica del termine autorità deriva dal verbo latino augere, che significa far crescere, a cui, tra l’altro, è riconducibile la parola autor, ossia colui che fa nascere, e la parola augustus, ovvero colui che fa crescere. Lo stesso valore semantico del termine autorità, quindi, contiene in sé l’elemento fondante della famiglia, in cui genitori sono autori dei figli in senso biologico (autor), e l’elemento fondante della scuola, in cui gli insegnanti sono coloro che aiutano a far crescere (augustus) in senso culturale le giovani generazioni.

In quella folle orgia dell’irrazionale che fu il sessantotto, la scuola non era più considerata come un luogo educativo e un’affascinante esperienza di crescita della personalità, ma, secondo la celebre definizione del filosofo marxista Louis Althusser, come il primo “apparato ideologico di stato”, un’esecrabile forma di autoritarismo da abbattere. La famiglia, poi, grazie soprattutto al contributo dell’antipsichiatria inglese, era identificata come la sentina di tutti i mali, l’incubatrice di personalità autoritarie e conformistiche, la prima struttura sociale da contestare ed emancipare, attraverso il dissenso, la rivolta, la de-costruzione.
David Cooper, uno dei fondatori dell’antipsichiatria, nel suo celebre libro-manifesto dal titolo sintomatico di La morte della famiglia (1971), afferma che non vi è più bisogno di padri o di madri, ma “solo di “maternage” e “paternage“”, ovvero di funzioni materne e paterne, che possono benissimo essere svolte da altri soggetti (fratelli, nonni, parenti, amici, ecc.) diversi dai genitori biologici.

Cooper ritiene pure che uno dei tabù di questo antiquato istituto sia costituito dalla “implicita proibizione di esperimentare la propria solitudine nel mondo”, perché, infatti, attraverso la deviante gabbia sociale della famiglia l’individuo “viene costretto a vivere “agglutinativamente” incollato ad altre persone”, “passivamente sottomesso all’invasione da parte degli altri familiari”, e “privato della linfa vitale della propria solitudine”. Da qui la necessità di una lucida strategia per “distruggere una reale, oggettiva situazione persecutoria nella quale ognuno di noi è intrappolato prima ancora di esistere”.

Oggi si vedono i frutti avvelenati di quel delirio, e persino personalità del calibro di Tommy MacKay arrivano – se pur in ritardo – a rivalutare i già esecrabili valori tradizionali, oggetto della furia iconoclasta dei sessantottini.

Il potere distruttivo dell’ideologia è davvero capace di effetti devastanti, salvo poi mostrare, attraverso le macerie prodotte, il proprio fallimento, e far rimpiangere tutto ciò contro cui si era scagliato. Il fenomeno dell’autocritica, del riflusso, della revisione è sempre positivo, ma anche sempre tardivo, perché nel frattempo intere generazioni di uomini sono state mandate al macero. Spiritualmente parlando. Da Cultura Cattolica.it, 15 gennaio 2011