VERSO LA SANTA QUARESIMA

Filippo Mazzola, Cristo portacroce, 1500-1505, T/t 31,5×21,9 cm, Parma, Galleria Nazionale, Sez. Arte a Parma 1.300-1.400

NOTE A CURA DELLA REDAZIONE

Mercoledì 22 Febbraio, secondo al Liturgia Romana, avrà inizio il Tempo penitenziale della Santa Quaresima con il Sacro Rito delle Ceneri. Ogni credente è chiamato a un più intenso periodo di penitenza attraverso le opere

di misericordia corporale e spirituale, intensificando il proprio percorso ascetico e caritativo. La Quaresima, Tempo di preghiera, penitenza, conversione, è un invito a rivedere la propria vita e il mondo secondo gli occhi e il Cuore di Dio.

Ciò vale anche per il modo di considerare gli avvenimenti dei quali possiamo scoprire il senso profondo nell’economia della Provvidenza divina anche quando le vicende del mondo ci apparissero inaccettabili, insensate, folli, come spesso accade.

La Parola di Dio, letta, meditata e celebrata, sia comunitariamente che in congrui spazi di personale silenzio, rinunciando anche a ciò che ci sembra importante, possa indurci a riconoscere il primato di Dio. Si faccia varco nelle coscienze perché anche la comunità umana tutta ne possa trarre beneficio.

Il mondo, che ha perseguitato Gesù e perseguiterà noi (cf. Gv 15, 20-21) attende da ciascuno di noi lo stesso gesto d’Amore compiuto da Gesù.

DAL CODICE DI DIRITTO CANONICO

LIBRO IV

LA FUNZIONE DI SANTIFICARE DELLA CHIESA

PARTE III

I LUOGHI E I TEMPI SACRI

TITOLO II

I TEMPI SACRI (Cann. 1244 – 1253)

CAPITOLO II (Cann. 1249-1253)

I GIORNI DI PENITENZA

Can. 1249 – Per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo; ma perché tutti siano tra loro uniti da una comune osservanza della penitenza, vengono stabiliti dei giorni penitenziali in cui i fedeli attendano in modo speciale alla preghiera, facciano opere di pietà e di carità, sacrifichino se stessi compiendo più fedelmente i propri doveri e soprattutto osservando il digiuno e l’astinenza a norma dei canoni che seguono.

Can. 1250 – Sono giorni e tempi di penitenza nella Chiesa universale, tutti i venerdì dell’anno e il tempo di quaresima.

Can. 1251 – Si osservi l’astinenza dalle carni o da altro cibo, secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale, in tutti e singoli i venerdì dell’anno, eccetto che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità; l’astinenza e il digiuno, invece, il mercoledì delle Ceneri e il venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo.

Can. 1252 – Alla legge dell’astinenza sono tenuti coloro che hanno compiuto il 14° anno di età; alla legge del digiuno, invece, tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato. Tuttavia i pastori d’anime e i genitori si adoperino perché anche coloro che non sono tenuti alla legge del digiuno e dell’astinenza a motivo della minore età, siano formati al genuino senso della penitenza.

Can. 1253 – La Conferenza Episcopale può determinare ulteriormente l’osservanza del digiuno e dell’astinenza, come pure sostituirvi, in tutto o in parte, altre forme di penitenza, soprattutto opere di carità ed esercizi di pietà.

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NOTE ARTISTICHE

Il tema del Cristo portacroce ebbe un ampio seguito fra i pittori dell’Italia settentrionale direttamente influenzati da Antonello o comunque sensibili alla sua lezione, tanto da far supporre (Mandel 1967, pp. 101-102) l’esistenza di un prototipo eseguito dall’artista messinese per qualche chiesa veneziana, poi ampiamente ripreso dal Bellini stesso, da pittori veneti e lombardi, nonché dal figlio Iacobello.

Poiché l’impianto compositivo di molte derivazioni mostra contatti con l’opera del Bermejo è plausibile che ad essa si sia ispirato Antonello o piuttosto che esistesse un comune prototipo fiammingo (come la Fornari Schianchi [1983] ricorda nel caso del Salvator Mundi di Londra, iconograficamente vicino al Memling della collezione H. Rice di New York, entrambi riconducibili a uno schema di Petrus Christus). Fra le varianti del soggetto, la cui impaginazione è scandita dalla Croce che taglia in diagonale il dipinto gravando sulla spalla destra del Cristo, vestito di un abito chiaro, indubbiamente valore di modello ebbe quella del Museum of Art di Toledo (Ohio) (Heinemann 1962, f. 91) attribuita a Giovanni Bellini, da cui dipenderebbe una seconda tavola di qualità molto alta del Gardner Museum di Boston ritenuta di Giorgione, come pure una lunga serie di derivazioni in ambito veneto (Heinemann, p. 248). Parte della critica ha ipotizzato per l’opera belliniana la possibilità di un contatto con Leonardo, di cui si conserva presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia uno splendido disegno su questo tema, ascritto al 1495 o poco prima e forse da porsi in relazione coll’opera del Bergognone (Moroni 1992, pp. 344-347), disegno ben conosciuto e ripreso successivamente anche nel Cristo portacroce in San Rocco a Venezia, variamente assegnato a Giorgione o a Tiziano giovane. Il dipinto parmense si accosta a quello di Toledo nell’impostazione generale, pur con la lieve variante di un’inquadratura appena ravvicinata e la sostituzione della candida tunica con un abito rosso listato d’oro allo scollo, ma assai diversi sono la definizione del volto e il trattamento pittorico, prossimo se mai alla migliore ritrattistica del Mazzola, generalmente di ottima qualità e di stretta derivazione antonelliana. Se il Cristo di Bellini, col suo sguardo lontano e lievemente in tralice, il fermo atteggiarsi del volto che pare quasi emergere dall’ombra contrappuntato dalla candida tunica, evoca il senso di un’intima meditazione spirituale, quello mazzolesco si connota per un’emotività più manifesta, volta al coinvolgimento del riguardante nella partecipazione al dramma sacro: lo sguardo è infatti diretto fuori dal quadro, nitidamente definito nell’iride, segnata alla fiamminga dal riflesso luminoso; la bocca dischiusa lascia intravedere i denti, come nelle Imago Pietatis del primo Bellini o nelle raffigurazioni di Cristo alla colonna di Antonello; il volto scarno, dai contorni netti tratteggiati con rigore disegnativo, è rigato di lacrime e profondamente segnato alle orbite e lungo le linee labio-nasali da ombre scure; la luce è cruda. È questa un’interpretazione di forte impatto e notevole livello qualitativo, accostabile ad analoghe soluzioni del Solario o del Montagna, in particolare al Cristo portacroce di quest’ultimo presso il Museo Civico di Vicenza (Puppi 1962a, f. 148) ascritto agli inizi del XVI secolo. Quintavalle (in AA.VV. 1935 e 1939a) considerava il dipinto fra le cose migliori del pittore parmense, sottolineandone la derivazione belliniana e accostandolo al Battesimo del 1493, ma per l’elevata qualità parrebbe più tardo e prossimo (Fornari Schianchi 1983) al Redentore benedicente del 1504, già in collezione Raczinki a Potsdam ora al Museo di Berlino, in cui Zeri (1976, pp. 62-64) individua la fase di più alto livello pittorico del pittore parmense, legata alla conoscenza dell’opera matura di Alvise Vivarini. Nulla sappiamo delle vicende del dipinto, che una breve documentazione presso la Galleria dice acquistato nel 1912, per volontà dell’allora soprintendente Laudadeo Testi, da Antonio Tronconi di Milano, forse un antiquario.   

SCHEDA DI STEFANIA COLLA TRATTA DA FORNARI SCHIANCHI L. (A CURA DI), GALLERIA NAZIONALE DI PARMA. CATALOGO DELLE OPERE DALL’ANTICO AL CINQUECENTO, FRANCO MARIA RICCI, MILANO, 1997 (QUI)

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Autore: Libertà e Persona

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