E se Draghi avesse deciso lui di scappare?

Pubblicato in La Voce del trentino.it da Francesco Agnoli il 22.07.2022

Sulla caduta del governo Draghi si possono fare molte considerazioni, certamente opinabili. Proverò a proporne una, poco battuta. Partiamo dalle motivazioni della crisi, non proprio chiarissime.

C’è qualcosa di poco comprensibile: perchè Draghi si è dimesso pur potendo contare su una larga maggioranza?

La mossa di Conte non aveva altro obiettivo che iniziare a marcare il territorio in vista delle future elezioni. Ma non giustificava, di per sé, la caduta del governo. Una crisi così inusuale ha generato in alcuni un sospetto: non è che Draghi abbia deciso lui stesso di abbandonare la barca in tempesta, ed abbia così colto la palla al balzo per farlo, incolpando altri? Quest’ipotesi non è poi così bizzarra.

Va infatti ricordato che già alcuni mesi orsono Draghi ha provato in ogni modo a lasciare il suo posto di premier, per diventare presidente della Repubblica. Ciò significa che non era particolarmente deciso a proseguire nel ruolo ricoperto.

Ma coloro che propongono quest’ipotesi hanno anche altre argomentazioni: tutti sanno che l’autunno sarà caldo, caldissimo, che molti nodi veranno al pettine.

Siamo certi che governare a novembre, o dicembre, con la crisi energetica senza precedenti che viviamo, sia poi un obiettivo così ambito? Che non sia molto meglio sganciarsi ora, e lasciare ad altri l’onere di guidare il paese attraverso mari assai perigliosi e turbolenti?

Queste considerazioni valgono soprattutto se si volge lo sguardo alla politica estera.

Draghi è, come noto, l’uomo del partito democratico americano, la più fidata spalla di Joe Biden in Europa (di qui il suo rapporto privilegiato con Matteo Renzi e il Pd di Enrico Letta).

Lo si è capito sin dal principio, ma ciò è diventato chiaro a tutti nel momento in cui il premier, chiamato a risolvere, da tecnico, problemi economici, ha completamente stravolto la politica estera  italiana, al seguito dell’aggressività di Biden e Johnson nella questione ucraina.

Cosa è successo, infatti, dopo l’aggressione russa all’Ucraina, del febbraio 2022?

Da una parte Germania e Francia hanno cercato di mediare, ritenendo che una soluzione diplomatica sarebbe stata più utile per tutti, dall’altra Washington e Londra hanno intravisto nella guerra un’occasione unica per regolare i loro conti con la Russia e spezzare l’asse energetico e politico tra Russia e Ue, indebolendo così entrambe.

E l’Italia? Bisogna ricordare che la politica estera nostrana ha sempre cercato di muoversi tra la fedeltà atlantica e il realismo zeppo di buon senso per cui, se si può, con i vicini è meglio andare d’accordo.

Di qui per esempio il fastidio di Giulio Andreotti, all’inizio degli anni Novanta, per l’aggressività della Nato in Serbia (cioè verso un paese filo russo, subito dopo la caduta del muro di Berlino), l’azione di Silvio Berlusconi per portare la Russia nel G8, gli accordi bilaterali di Enrico Letta con Putin nel 2013, fino ai flirt tra Giuseppe Conte e la Russia, benedetti da Trump, in occasione del covid.

E Draghi? E’ intervenuto con piede di piombo, affiancato da un improbabilissimo Di Maio, per esacerbare il più possibile lo scontro, chiudendo subito la porta a qualsiasi tentativo di mediazione seria. E’ stato, insomma, il più fedele cavallo di Troia di Usa ed Inghilterra (paese uscito dall’UE nel 2016) dentro l’UE.

E lo ha fatto con piglio di ferro e con affermazioni al limite del grottesco, come quando ha “profetizzato” agli italiani che avrebbero dovuto scegliere tra il condizionatore e la guerra.

Come dimenticare il fatto che Draghi, Letta e i media alleati, hanno voluto farci credere che una politica iper bellicista, fatta di dichiarazioni incendiarie, sanzioni ed invio di armi del tutto inedite nella nostra storia, avrebbe indebolito Putin, favorito eventuali rovesciamenti del suo potere in Russia, e abbreviato la guerra?

Oggi, al di là della propaganda, è evidente a tutti che le sanzioni non hanno annichilito il leader russo, ma, come ampiamente prevedibile, lo hanno rafforzato; che non hanno posto fine alla guerra, ma solo allungato a dismisura l’agonia dell’Ucraina, che continua ogni giorno a perdere uomini e territori, nonostante l’appoggio di Cia, Nato, servizi segreti inglesi; che, invece di piegare Putin, soccorso come era prevedibile da Cina, India, Iran, Brasile ecc., stanno mettendo in ginocchio l’Europa.

Di questa crisi energetica senza precedenti, dunque, Draghi è corresponsabile e sa bene che, finita l’estate, qualcuno se ne accorgerà e ne chiederà conto. Tanto più che dei due alleati più attivi, uno, Boris Johnson, sta per lasciare il governo, mentre l’altro, Joe Biden, è dato per spacciato alle prossime elezioni di mid term di novembre.

Crollo dei due governi amici per eccellenza e vittoria russa sempre più vicina (e tanto più cruda quanto più sudata) da una parte, esplosione della crisi energetica alle porte, dall’altra, possono benissimo giustificare la fuga dal governo e rendere conto non solo di una crisi aperta senza motivi cogenti, ma anche della rinuncia ad ogni volenterosa mediazione sia con Conte sia con il centro destra.

Dopo Draghi il diluvio, come vogliono Letta, Renzi e Di Maio? Per loro tre certamente, essendo il primo destinato molto probabilmente alla sconfitta elettorale, gli altri due, probabilmente, persino all’esclusione dal parlamento.

Se ci sarà il diluvio anche per il paese, il che non è impossibile, molto più equo sarebbe rammentare le colpe del mitico tecnocrate Mario Monti, il governo dei bonus e del debito pubblico di Renzi, la dissennata gestione Conte, e, appunto, la politica estera di Draghi.

Del resto come non ricordare che il PD, che ha passato l’intero anno concentrandosi su cannabis, ddl Zan ed eutanasia libera, aveva predetto la catastrofe anche dopo la caduta del governo Conte, di cui era, in termini di potere, il principale azionista, prima di salire trionfalmente sul nuovo carro di Draghi?

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