I neri prime vittime dell’aborto negli USA

La discussa sentenza della Corte Suprema americana ha di sicuro vari protagonisti, tra cui l’italo-americano Samuel Alito, una donna, Amy Coney Barrett e, forse più di tutti, l’ afroamericano Clarence Thomas.(nella foto)

Cerchiamo di capire perché le origini di Clarence Thomas potrebbero aver avuto un qualche ruolo nella sua decisione, fondata anzitutto sulla scienza (un embrione ed un feto non sono un ammasso di cellule) e sul diritto (per Thomas è più democratico difendere i diritti del più debole che quelli del più forte), ma forse non del tutto svincolata da considerazioni più “pratiche”, che si possono immaginare ricordando l’attivismo giovanile del giudice Thomas nella difesa dei diritti delle comunità nere d’America. Il fatto è semplice: se in Cina ed India le vittime dell’aborto sono soprattutto le femmine, negli Usa sono in particolare i neri. 

L’afroamericana Alveda King, nipote di Martin Luther King, commentando i dati ufficiali, ricordava recentemente che negli Usa “un bambino nero ha 3 volte più probabilità di essere ucciso nel grembo materno rispetto ad un bambino bianco.   Ciò ha comportato la riduzione, a partire dal 1973, del 25% della popolazione nera.

A ciò si aggiunga che l’aborto legale è, per Alveda, non solo la negazione del “diritto degli innocenti”, ma anche il pretesto per eternare la sudditanza delle donne afroamericane: infatti la gran parte dei bambini neri vengono uccisi da madri single, a cui l’aborto viene indicato, da amanti, datori di lavoro, media ecc. come la soluzione di ogni problema, quando in verità non fa altro che liberare i maschi dalla loro responsabilità verso compagne e figli, e la comunità dal problema rappresentato dall’esistenza di ceti poveri e derelitti.

Alveda King

C’è infine un’ultima argomentazione, cara ad Alveda, ma tipica di tutto il movimento pro life americano: il feto umano è come lo schiavo di cento anni orsono, perché gli viene negata la qualifica di uomo (“ogni bambino abortito è come uno schiavo nel ventre: la madre decide la sua sorte”).

Un’altra personalità interessante per capire la posizione di una parte della comunità afroamericana sull’aborto, è quella del senatore repubblicano Tim Scott.

Figlio di madre single, infermiera, che preferì permettere la vita piuttosto che toglierla, Scott è entrato spesso in rotta di collisione con i democratici americani.

Recentemente ha avuto un scontro pubblico con Janet Yellen, bianca, segretaria al Tesoro, che il Washington post ha raccontato in un articolo dal titolo: “L’aborto non è il modo per aiutare le madri nere single”.

Alla posizione della Yellen (“Credo che eliminare il diritto delle donne a prendere decisioni su quando e se avere figli avrebbe effetti molto dannosi sull’economia”) Scott ha replicato raccontando la sua storia personale e rammentando che la mentalità per cui il problema della povertà, soprattutto dei neri, si risolve eliminandoli sin dal grembo materno, risale all’eugenetica pre-nazista da cui è nato il movimento pro choice americano. Infine ha concluso: “Se l’aborto è la nostra prima e “migliore” risposta per garantire che le donne e le famiglie a basso reddito possano prosperare economicamente, gli Stati Uniti hanno raggiunto uno dei periodi più bui della nostra storia. L’affermazione è semplicemente falsa e fa eco alle argomentazioni eclatanti avanzate all’inizio del XX secolo da Margaret Sanger a sostegno del movimento eugenetico. Ma c’è un mondo migliore. Il sogno americano è un sogno di speranza e opportunità. Lo so, perché l’ho vissuto. In America, il figlio di una madre single nera può passare dalla povertà al Senato degli Stati Uniti. Se vogliamo parlare della stabilità economica del nostro Paese, parliamo di cosa possiamo fare per garantire che le mamme single e i loro figli abbiano accesso a quello stesso sogno americano”.

Il ragionamento di Scott non è isolato.

Qualche giorno dopo l’ufficializzazione della sentenza, Ben Carson, noto medico nero americano, ha voluto rammentare al mondo pro life, su Fox News, che l’eliminazione dell’aborto come diritto automatico e senza limiti, non è che l’inizio della battaglia: è questo il momento, infatti, di “politiche locali, statali e federali… per assicurarsi che le nuove mamme e i bambini ottengano il supporto di cui hanno bisogno”; è il momento di creare “nuove organizzazioni, scuole o aziende” che abbiano a cuore non l’aborto, ma il sostegno alle “giovani coppie, le mamme single e i loro figli”. Come Tim Scott, anche Ben Carson, prima che medico e politico celebre, è il figlio di una mamma single, nera e povera, che ha preferito allevare il figlio, tra mille difficoltà, piuttosto che eliminarlo. 

Versione ridotta di un articolo apparso su La Verità del 1/7/2022

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.

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