La dignità umana

  • Paolo Pasqualucci, La falsa dignità. Una visione dell’uomo spesso fraintesa, Fede e cultura, 2021, p. 258, euro 19

Il professor Pasqualucci è un intellettuale cattolico affermato e competente in molti ambiti di ricerca. La filosofia, sia classica che cristiana, la storia, il diritto, l’etica, perfino la letteratura, la politica (specie quella che concerne la nostra amata Italia) e l’arte della guerra. In questo saggio il filosofo ci offre un panorama sintetico, ma comunque criticamente valido e ben costruito, sulla nozione – importante ma purtroppo abusata – di dignità umana.

Tante sono le pagine interessanti del libro, che quindi consigliamo ai lettori. Ma c’è qualcosa che al contrario vorremmo criticare. Secondo noi il testo, volendo insistere troppo sulla frattura introdotta dal peccato originale, non distingue a sufficienza la dignità ontologica dell’essere umano e la dignità morale. In tal senso il Pasqualucci, arriva a scrivere: “non esiste una dignità dell’uomo in sé, in quanto uomo” (p. 45).

Qui si voleva respingere, e giustamente, una concezione pelagiana ripresa, in chiave laica, dall’illuminismo più ottimista e meno accorto. Questa frase però se Lutero non l’ha detta, certamente l’ha pensata. Ed è coerente con la sua idea della distruzione della natura umana dovuta al peccato originale e la conseguente impossibilità di mantenersi puri dal peccato. Ed è la quintessenza del protestantesimo.

La natura umana in verità seppur ferita, mantiene e conserva ancora l’immagine di Dio in noi, anche in chi non ne è consapevole.

Proverei a sviluppare, sempre a partire dalle riflessioni del filosofo romano, seppur con un differente approccio di fondo, una mia breve sintesi che vuole solo indicare cosa ci appare come essenziale oggi, nella battaglia delle idee, a proposito della dignità umana.

La filosofia cristiana, e già la stessa Rivelazione che si esprime attraverso la Scrittura e la Tradizione, custodite e trasmesse fedelmente dal Magistero (vivente) della Chiesa, ha riconosciuto codesta ontologica dignità, e non l’hai mai nascosta ai credenti. (Se il Magistero non fosse vivente non avrebbe senso: basterebbe la Scrittura, fissa e immutabile in sé).

E questo sin dai padri della Chiesa, si pensi ad Agostino o a sant’Ireneo di Lione, recentemente e opportunamente fatto dottore da papa Francesco.

In epoca moderna (1500-1700) e contemporanea (1800-1900) però tutto si complica, soprattutto a causa dei pensatori germanici (Kant, Hegel, Marx, Nietzsche, Freud, Heidegger) ma anche dei teologi o ateologi tedeschi (come Feuerbach, Bruno Bauer e Rudolf Bultmann). E la dignità dell’uomo sembra non essere più un dato intrinseco della natura umana, in quanto fatta a immagine e somiglianza del Creatore. E sembra dipendere da altro. Ma da cosa?

Secondo noi il dibattito va incentrato proprio qui. O la dignità umana è intrinseca e ontologica. E allora, se è così: 1) non si può perdere, 2) non esistono Untermensch e vite indegne di essere vissute, 3) questa dignità deve avere una causa al di fuori di sé che la fondi.

Oppure la dignità umana non è intrinseca, ma attribuita ai cittadini dalla collettività sulla base di ragionamenti, più o meno congruenti.

Nel primo caso, pur potendo un uomo perdere, per accidens, la propria “dignità morale” a causa di una vita sbandata (il che fu ammesso dal grande Leone XIII), non si potrà mai perdere la “dignità radicale”, perché la natura umana è immutabile come Dio, suo ideatore. Volendo la questione risulta simile al rapporto grazia-natura.

La grazia è accidentale, la natura è invece essenziale nell’uomo. Un uomo senza grazia può esistere, un uomo senza natura umana no, pur se nascesse con 3 occhi e una coda.

Chi perde la grazia, per proprie colpe, mantiene comunque la natura. Altrimenti la grazia non potrebbe più ritrovarla se perdendola divenisse altro da sé, tipo un animale o un vegetale (come dicono i fautori dell’eutanasia per l’uomo in coma irreversibile). Ma questo è assurdo. Quindi, in un certo senso, la grazia sta alla natura, come la dignità morale in atto sta alla dignità ontologica (irrevocabile). Certo, la dignità morale è un obiettivo di vita, già razionale e deliberato, prima ancora che cristiano. Ma anche i balordi e i terroristi conservano la dignità ontologica, senza la quale la dignità morale non sarebbe attingibile.

Al contrario, secondo il pensiero di quei relativisti che chiamano se stessi umanisti, la dignità ontologica della natura umana come tale non esiste in sé – non si dà – e resta solo la dignità astratta e vagamente filosofica delle varie Dichiarazioni dei diritti umani e delle Costituzioni politiche.

Ma queste Dichiarazioni universali, che parlano di uguaglianza degli esseri umani e di dignità dalla nascita (ma non dal concepimento…) pur se restano fragili da un lato, vanno comunque usate da noi cattolici militanti, contro il cedimento a sinistra che annichila tutto in nome di un pensiero debole senza sbocchi.

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, per esempio (a differenza di quella del 1789), non è stata mai condannata dalla Chiesa. Né da Pio XII (1939-58), papa umanista, regnante al momento della proclamazione, né da Giovanni XXIII (1958-63), né dai loro successori fino ad oggi. Anzi da Giovanni Paolo II (1978-2005) in poi queste dichiarazioni sono state spesso citate nei documenti ufficiali della Chiesa.

E perché? Non già perché esse siano in tutto quel che dicono conformi alla dottrina sociale della Chiesa, no. Ma perché, seppur in modo implicito e forse non voluto, dipendono dal concetto biblico di dignità. Che fa dell’uomo, e solo dell’uomo (senza nessuna uguaglianza tra homo sapiens e animali), il centro del cosmo e il capo (terreno) della creazione.

Lo stesso concetto di uguaglianza tra esseri umani, spesso usato a fin di male nella storia (si pensi all’Egalité dei giacobini) richiama alla mente l’idea, necessaria per fondare ogni fratellanza universale, di un solo Creatore e Padre di tutti.

E’ vero però, e su questo hanno ragione i conservatori, che nelle conseguenze pratiche, queste medesime dichiarazioni di diritti (coi doveri messi al secondo posto…) si rivelano malfondate o fondate sul mero diritto positivo auto-generato (e non sul diritto naturale). E paiono non voler far derivare la dignità umana dalla natura umana come tale, visto che il concetto di natura è criticato e demonizzato come fissista e fondamentalista, da sostituirsi con l’antropologia gender fluid, anzi nature fluid.

In questo quadro, non è un caso che proprio le democrazie relativiste d’Occidente pretendono di annullare la dignità intrinseca di alcuni soggetti specifici. Ad esempio, l’essere umano prima della nascita (con il diritto all’aborto); l’essere umano appena nato (se giudicato inguaribile, compromesso nella sua vitalità e inutile: apertura all’infanticidio di alcuni bioeticisti come Peter Singer); il malato senza umana speranza di guarigione (con l’eutanasia attiva); e perfino colui che chiede la morte (potenziale suicida), a cui la società relativista è come se dicesse: se vuoi morire, allora significa che non sei più degno di vivere, quindi è giusto che la società ti aiuti a “morire nella dignità”, piuttosto che continuare a “vivere senza dignità”.

A volte pare che perfino intere categorie di cittadini siano reputati dal potere legale come esclusi da questa astratta dignità, che in teoria sarebbe comune a tutti e costituirebbe il fondamento dell’uguaglianza tra umani (Costituzione italiana, art. 3, Dichiarazione dei diritti dell’uomo, art. 1) ma che poi nella pratica politica e giuridica diviene a geometria variabile. Tra essi: l’estremista (categoria definibile solo a partire da un centro fisso, che però nella politica attuale non c’è), il complottista, l’antidemocratico (fascista, anarchico e simili), il teocratico, a cui oggi si è aggiunto il critico dei vaccini, detto no vax.

Ma nel senso cristiano da noi difeso, pure Satana mantiene la sua “dignità angelica” e Giuda la sua “dignità umana”. Idem i criminali della peggior specie. Altrimenti Dio muterebbe le cose e cadrebbe in contraddizione con se stesso.

Dio è onnipotente, come spiega l’Angelico, perché può realizzare tutti i possibili, ma non ciò che possibile non è (creare un cerchio quadrato, un passato che non passa, far risorgere di un vivo, etc.). E un uomo senza ragione non si dà. Né un uomo senza “dignità umana”.

La battaglia per la restaurazione della dignità umana, anche in senso morale, esistenziale, ideale, può essere ingaggiata solo sulla base del previo riconoscimento della dignità ontologica della natura umana e della centralità e unicità dell’uomo nell’universo. Specie oggi che tale centralità (sintesi sublime di teocentrismo nell’assoluto, e di antropocentrismo nella sfera contingente) è bandita dal pensiero debole che ci domina.

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