
La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum radicale sull’eutanasia proposto dai radicali e sostenuto da una buona parte della sinistra, sostenendo che “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili“. Abbiamo chiesto al prof. Francesco Agnoli, bioeticista e presidente del Movimento trentino per la Vita, da dove nasca questa decisione.
“Da varie considerazioni. Anzitutto non si sarebbe trattato di un referendum sull’eutanasia ma sull’omicidio del consenziente. Le riporto quanto ha scritto la professoressa Assuntina Morresi, del Comitato nazionale di Bioetica, tra i relatori della memoria presentata alla Corte: La richiesta è di depenalizzare, cioè di non punire, l’omicidio di qualcuno che chiede di essere ucciso, con alcune eccezioni: se chi vuole essere ucciso è minorenne, se è infermo di mente, se sotto l’effetto di alcool o droghe, se il consenso è stato estorto con la forza o con l’inganno. Ma questo significa che non contano le condizioni cliniche della persona che chiede di essere soppressa: è sufficiente un consenso valido di chi vuole morire e chi lo uccide non compie reato. Si andrebbe molto oltre le leggi già vigenti sull’eutanasia, superando completamente l’ambito medico. In nessuno dei paesi dove pure l’eutanasia è ammessa ed accettata è stato depenalizzato l’omicidio del consenziente: avremmo un tragico primato”.
Ci sono altre motivazioni?
Dobbiamo aspettare la sentenza della Corte, ma sicuramente di argomenti contro eutanasia ed omicidio del consenziente ce ne sono tantissimi. Vede, la questione non è così semplice come la fanno i radicali, secondo i quali ognuno decide per sè e tutto è a posto. Questo è semplicismo allo stato puro. Cosa vuole dire che ognuno decide per sè? Per scegliere liberamente bisogna essere veramente liberi, dal dolore, dai condizionamenti, da pressioni esterne di ogni genere. Se l’eutanasia divenisse legge, sarebbe già così un forte condizionamento. Oggi siamo condizionati, positivamente, da un’idea ben chiara: se abbiamo un parente malato, dobbiamo accudirlo, soccorrerlo, curarlo. E’, quantomeno, un dovere di carità. Ma se passasse una legge eutanasica, allora al posto del dovere, subentrerebbero spesso l’interesse, il fastidio, la fatica, l’incuria… Certo, a volte la fatica del vivere può arrivare alla disperazione e in questi casi le persone, purtroppo, si possono suicidare (nessuno, però, metterà in galera un suicida!). Ma che lo facciano da sole è una cosa, che la società si incarichi prima di legittimarle, assecondarle e poi magari anche di forzarle, in modo più o meno occulto, è del tutto diverso. Rileggerei quanto scriveva sul Corriere della sera, il 16 aprile 2005, l’ambasciatore Sergio Romano: “non vorrei che di queste pratiche (biotestamento, ndr), il giorno in cui fossero previste da una norma, si servissero i congiunti del vecchio malato per sospingerlo dolcemente verso l’eternità. Il mondo, caro Manconi, è molto meno buono di quanto non pensino i paladini delle campagne per la ‘buona morte’. I vecchi, quando non si decidono a morire, esigono tempo e cure. Se sono poveri, pesano sulle casse familiari. Se sono ricchi e benestanti consumano denaro che potrebbero lasciare agli eredi. Anche i parenti più affezionati finiscono per pensare, in queste circostanze, che il povero vecchio farebbe un favore a sé e agli altri se prendesse congedo. Qualcuno intorno a lui comincerebbe a lanciare qualche segnale e qualcun altro farebbe più esplicite allusioni. Fino al giorno in cui il pover’uomo o la povera donna arriverebbero alla conclusione che è meglio andarsene piuttosto che essere circondati da gente sgarbata e impaziente”.
Ci sono però stati che hanno legalizzato l’eutanasia…
In tutto il mondo si contano sulle dita di una mano, e proprio questi paesi dimostrano come ci sia il pericolo di scivolare lungo un piano inclinato. In Olanda, per esempio, dagli iniziali 1626 casi di eutanasia legale del 2003, dopo l’approvazione della legge sull’eutanasia del 1 aprile del 2002, si è passati ai 6.585 casi del 2017, un incremento pari al 405%. Succede in Olanda, in Belgio, in Oregon, come accadde sotto la Germania nazista.
Cioè?
I nazisti, come noto, furono i primi a legalizzare l’eutanasia. Ma l’eutanasia nazista incominciò “piano piano”, con i casi pietosi, poi scivolò presto lungo il classico “piano inclinato”: si parte con qualche “eccezione”, e poi la casistica si amplia sempre di più. Robert Jay Lifton, nel suo monumentale I medici nazisti (Rizzoli, Milano, 2016), ricorda che si andò “via via ad allargare la rete delle uccisioni e a facilitare la realizzazione degli obiettivi ultimi del Reich… anche le condizioni prese in considerazione come motivi per l’uccisione si ampliarono a comprendere il mongolismo (non incluso in principio) e vari casi borderline o deficit limitati, fino all’uccisione di ragazzi designati come delinquenti giovanili”, sino ad arrivare ad una “eutanasia selvaggia”. Così oggi nei paesi citati si è passati dai malati terminali ai depressi, sino ai bambini. Sa che in Olanda i bambini sino a 12 anni possono venire eutanasizzati per spina bifida, mentre in Italia ormai la spina bifida si cura in utero. Una medicina che sceglie la morte, anzichè la vita, oltre tutto, si ferma.
Alcuni dicono che l’eutanasia legale sarebbe utilizzata anche per risparmiare…
Questo è evidente. Siamo una società sempre più anziana, e la spesa sanitaria cresce. Abbiamo spesso notizia di letti “liberati” con l’eutanasia, e non pochi politici hanno dichiarato che un domani l’eutanasia potrebbe sgravare lo stato di parte della spesa pubblica.
Un altro degli argomenti cui ricorrono gli avversari dell’eutanasia legale è che essa genererebbe emulazione. E’ così?
Sappiamo che un’eutanasia tira l’altra. E’ evidente. Del resto è così anche per il suicidio. E’ noto a tutti l’ “effetto Werther”, cioè il fatto che i suicidi tendono a moltiplicarsi per emulazione, per imitazione, come all’epoca in cui il famoso romanzo di Goethe, I dolori del giovane Werther, determinò un’epidemia di suicidi tale da indurre alcuni governi a vietare la diffusione del libro. Ebbene, quando una cultura finisce per accettare e legalizzare il suicidio assistito, anche le barriere religiose, culturali e morali, di fronte a questo gesto estremo, cadono, ed è inevitabile che l’eutanasia legale di qualcuno influenzi e favorisca altre eutanasie, a catena. Un esempio riportato da un personaggio non sospettabile come Umberto Veronesi, forse il più celebre propagandista dell’eutanasia in Italia, ci dice dove possa portare l’idea di una società che invece di farsi carico del dolore dei suoi membri, si dispone ad eliminarli. Scrive Veronesi: “Mi ha raccontato un amico, un medico in un paese in cui la legge consente il suicidio assistito: ‘Ho accompagnato un mio paziente, che voleva essere aiutato a morire. L’inviato dell’organizzazione ha preparato la pozione letale, il paziente ne ha bevuta la metà e poi ha avuto un ripensamento. L’incaricato gli ha detto: ‘Guardi che così rischia di avere delle sofferenze indicibili. Beva tutto perché io sono venuto qui perché lei finisca di bere!’ Il paziente ha obbedito ed è morto” (Umberto Veronesi, Il diritto di morire, Mondadori, 2005).
Quindi che fare?
Investire di più sulle cure palliative, per togliere il dolore. Combattere tanto l’abbandono terapeutico come l’accanimento terapeutico. Investire sulle relazioni umane, perché chi è accompagnato e amato, vuole vivere.
Intervista pubblicata su La voce del Trentino