Dalla metafisica biblica nasce la scienza.

Quante sono le metafisiche possibili? A ben vedere si riducono a due: o il mondo è in-creato, esistente ab aeterno, incausato, oppure è stato creato nel tempo, come dicono i filosofi cristiani, e quindi ha un’ origine, una esistenza che non gli deriva dalla sua stessa essenza, ma che gli è donata. La prima metafisica è la più antica, è quella dell’induismo, dei filosofi greci, di Parmenide, di Eraclito, di Platone, di Democrito, di Marx…Ha a sua volta varie interpretazioni: il mondo è solamente illusione, apparenza, come nella filosofia indiana, e come tale è svalutato, deprezzato, insieme alle esperienze della carne, della materia, a ogni manifestazione della vita terrena.

Nella tradizione teosofica delle Upanisad- scrive Tresmontant- così come in Plotino, poiché l’esistenza individuale è un inganno, un’illusione, bisognerà superare questa illusione per ritornare finalmente dopo lunghe e molteplici reincarnazioni all’unità originaria e quindi sopprimere la stessa illusione dell’esistenza individuale“.

Così nella metafisica indiana l’essere assoluto si abbandona all’illusione dell’esistenza cosmica fenomenica, opera di Maya, quasi per gioco, senza motivo. Un’altra possibile visione dell’universo in-creato è quella per cui tutto è solamente materia, atomi in movimento, eterno divenire di cose che non durano, nella loro individualità, essendo moriture ed inutili, se non come insieme, come totalità, il cui senso è solo l’auto-mantenimento di sé. Per altri ancora, gli idealisti, questo universo in-creato non è materia ma spirito: anche per loro, comunque, non esiste che una sola specie di essere, l’essere del mondo, eterno, infinito e ragione di se stesso.

“Senza il mondo Dio non è Dio”, scrive Hegel, dimostrando così di non concepire neppure l’idea di creazione. Questa diverse visioni della stessa metafisica, definibile come monista (tutto è Uno), comportano conseguenze inevitabili, per lo più negative: la reincarnazione come condanna all’esistenza; il tempo ciclico, eterno ripetersi dell’uguale; la materia, caos originario, fondamentalmente negativa per i miti greci, indiani e gli idealisti; il non senso dell’individuo, cioè del singolo uomo, che è solo parte di un Uno da cui è disceso come caduta, come esilio, come emanazione, ma non come creatura personale…

A questa visione filosofica se ne contrappone un’altra, solo una. Quella biblica, assolutamente originale, unica nella storia. Il mondo non è Dio, né un “Grande Animale”, né un’illusione, né un meccanismo casuale ed infinito: è, invece, l’opera di un Essere, il Creatore, che ha creato per amore l’universo, ma che ne è ontologicamente distinto. Tale visione filosofica ha conseguenze incredibili per l’uomo, che diviene creatura di Dio, singolarmente voluta, pensata ed amata, e non illusione, parte di un Tutto, aggregato casuale di atomi, scintilla divina imprigionata nella materia…: da questa metafisica nasce il concetto di antropocentrismo e cioè di diritti ed unicità dell’uomo. Ecco la vera origine dell'”umanesimo” cristiano, poi corrotto da parte del pensiero rinascimentale, illuminista e contemporaneo, che senza questa idea metafisica, però, non sarebbero neppure mai nati.
L’idea metafisica di creazione porta con sé un’altra conseguenza: la nascita della scienza. Scientia tota nostra est. Si spiega così infatti il perché la scienza non sia nata in India, nell’animismo monista africano, nel mondo greco, e neppure dal materialismo di Democrito, bensì nell’ Italia e nell’Europa cristiana.

Come ha notato S. Jaki, nel suo “Cristo e la scienza” (Fede & Cultura), il concetto di creazione desacralizza il mondo, senza però negarne la dignità, al contrario del pensiero induista – che invece disconosce importanza all’universo, e quindi non ha interesse a studiarlo, approfondirlo, indagarlo-, ma all’opposto anche del pensiero monista greco, che considerando il mondo un “grande animale”, le stelle degli dei, non può neppure contemplare l’idea di legge fisica, e non riesce a concepire l’ardimento, così anti-aristotelico e quindi anti-greco, di puntare il cannocchiale al cielo. Giordano Bruno, stanco ripetitore, nel Cinquecento, delle vecchie dottrine moniste, afferma che l’universo è “infinito, non si genera, non può sminuire o crescere, atteso che è infinito” e che coincide con Dio (De la causa principio et uno).

Cosa dicono oggi la teoria del big bang, la dottrina della relatività, la scienza? Che l’unica metafisica “scientifica” è quella biblica, in cui l’universo, non essendo Dio, è finito, generato col e nel tempo, può crescere o sminuire: è, in sintesi, essere relativo.
Ma se la metafisica che ha permesso alla scienza di nascere è quella biblica, è inevitabile che il rifiuto di quella metafisica determini la degenerazione della “scienza” stessa: oggi la “scienza”, ma sarebbe meglio dire la tecnologia, perdendo l’uomo la sua consapevolezza di creatura, e volendo in qualche modo eguagliarsi al Creatore, sfocia inevitabilmente nella magia; diventa, inevitabilmente, ansia di dominio, e produce clonazione, fecondazione artificiale, manipolazione genetica, chimere, bambini malati, esperimenti falliti…

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.