Il Bene Comune fra Salute e Vaccinazioni. Uno Studio in Corso d’Opera

di Marco Tosatti.

Carissimi Stilumcuriali, l’avvocato De Netto ci offre questo abstract di un lavoro molto più ampio che sta compiendo su un tema di particolare attualità e interesse. Lo ringraziamo di cuore, e vi auguriamo buona lettura.

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IL BENE COMUNE TRA SALUTE E VACCINAZIONI

di Luca De Netto

Quando si invoca il “primato del bene comune” ai fini della tutela della salute (pubblica, sic!), occorre fare doverose precisazioni proprio per comprendere cosa c’è in gioco e qual è il vero bene da tutelare.

L’errore totalitario del bene pubblico

Il primo errore, tipico della modernità forte, è quello di confondere il bene comune con il bene pubblico (o collettivo che dir si voglia). Secondo tale concezione, il bene comune consisterebbe in ciò che lo Stato (moderno e ingessato dal “costruttivismo”) decide quale sia il bene per tutti i cittadini, che ne godrebbero per una sorta di frazionamento partecipativo di un bene generale, collettivo, appunto.

Invero, in tale prospettiva, il punto archimedeo è la volontà dello Stato, ciò che conta è la ragion di stato, e ciò che si tutela è semplicemente l’ordine pubblico: non viene infatti riconosciuto e quindi tutelato il bene “salute” quale bene in sé, ma l’ordine pubblico sanitario, ossia l’ordine che in un dato momento lo Stato-persona ritiene debba esser garantito con ogni mezzo, ed esclusivamente per la sua sopravvivenza. A prescindere, si badi, dalla tutela della salute e della vita delle persone, che, secondo questa concezione, possono essere sempre sacrificate alla “ragion di stato”, sulla scorta che il bene pubblico sia superiore a quello dei singoli.

Sotto tale prospettiva tipicamente totalitaria, la vaccinazione, che può anche essere imposta per legge qualora se ne ravvisasse la necessità per il “bene del corpo politico”, ossia dello Stato moderno, ovvero per ragioni di “ordine pubblico” (che può essere anche quello di “liberare” i reparti…), assurge al rango di dovere civico. Un dovere a cui è connesso lo stesso status di “citoyen”, sicché opporvisi comporta la perdita (o comunque la limitazione) di qualsiasi diritto “civile”.

Il trattamento sanitario, concepito come doveroso per il bene pubblico, assume dunque una valenza da Stato etico (ossia da stato che pretende di fondare volontariamente l’etica, che è quindi l’etica privata dello Stato), che può tranquillamente sacrificare la vita e la salute dei cittadini per la tenuta del sistema (compreso, dunque, quello sanitario), poiché la vita, la salute, l’integrità fisica dei “citoyens” hanno valore in quanto beni dello stato, funzionali all’ordine di questo e sui quali lo Stato esercita, per mezzo della legge, la sua sovranità.

L’errore irrazionale del bene privato-totale

Speculare a questa concezione, vi è quella della c.d. modernità debole, fatta propria dal personalismo contemporaneo, secondo cui ogni cittadino deve essere lasciato libero di perseguire la propria nuda volontà, nella convinzione che così facendo compirà il suo bene, che consisterebbe nell’auto-realizzazione. Il cittadino libero di autodeterminarsi secondo ciò che vuole, agirà infatti a tutela di quello che “liberamente” ritiene essere il bene per sé, perseguendo il suo interesse-appagamento privato. Un bene “privato”, dunque,  sicché la somma di questi beni privati darebbe il bene comune.  Tale prospettiva confonde però il bene comune con il bene totale quale appunto sommatoria dei beni “privati”. Invero, questa è in effetti la prospettiva fatta propria dalla Weltanschauung costituzionale (ed in genere dall’ideologia politico-giuridica degli ordinamenti “occidentali”), che concepirebbe, secondo sempre più importanti letture e conferme, l’autodeterminazione del volere soggettivo come “il più fondamentale dei diritti” e quello a cui deve tendere l’intero sistema.

Anche siffatta visione, prescinde quindi dalla salute come bene in sé, non si interroga sulla sua essenza e, quindi, la riconosce, ma la fa coincidere con il “benessere”, ossia con la percezione soggettivo-volontaristica che ognuno ha o decide di avere, a prescindere o persino contro un dato oggettivo-ontologico. Tanto è vero che diventa possibile rifiutare le cure o persino rivendicare il –(presunto) diritto…al suicidio!

Nella prospettiva qui analizzata, il lockdown o la vaccinazione sono mezzi funzionali non certo alla tutela della salute (che appunto non è riconosciuta quale bene in sè), ma al diritto di libertà di ognuno di rivendicare la sovranità assoluta sul proprio corpo (concepito quale “proprietà” – oggetto della volontà), e quindi di non subire limitazioni-pericoli rispetto a questa sovranità dall’esercizio del “diritto di libertà” altrui o dello Stato. Gli altri, infatti, con il proprio agire “libero”, potrebbero essere potenzialmente rei di “occupare un posto in reparto” (sic!)…

Sicché la vaccinazione, pur potendo non esser formalmente obbligatoria, e lasciata al volere del singolo dominato da paure, istinti, egoismi e passioni (e non quindi guidato da retta ragione), assume ancora una volta una connotazione etica, dove l’etica è quella del rispetto di una (falsa) libertà, poiché geometrica (secondo l’assioma per cui “la tua libertà finisce dove inizia la mia”) ed irrazionale, scambiata erroneamente per tutela della salute; e dove alla volontà dello Stato si sostituisce quella “animalesca” del cittadino-citizen, in uno scontro continuo tra voleri che vogliono essere lasciati liberi di volere. Finendo per imporsi quello del più forte, ovvero quello delle forze di varia natura e/o di lobbies che in un dato momento riescono ad orientare le scelte decisionali. E dove quindi si può giungere all’assurdo che la vaccinazione possa essere “obbligatoria” per legge al fine di tutelare non certo la salute quale bene in sé, ma semmai la libertà di ognuno – e di ogni forza modulare in campo, nel gioco delle pretese e degli interessi – di continuare ad essere…libero di autodeterminarsi volontaristicamente! Anche a danno, quindi, della salute e della vita.

Il vero bene comune e la tutela della salute

A queste due concezioni ideologiche, solo prima facie antitetiche, ma di fatto segnate dal dogmatismo della lex posita e dunque dai limiti “legali” da questo (im)-posti senza soluzione di continuità nell’alveo unico della Modernità politico-giuridica,  si contrappone la visione ontologica, ossia la realtà del bene comune quale bene proprio della comunità politica. Esso è comune perché non è altro che il (vero) bene proprio di ogni uomo in quanto uomo (non dei “cittadini”), e dunque comune a tutti gli uomini.

Ora, dato che l’uomo è tale poiché è in grado di riconoscere l’essere proprio delle cose e di agire secondo retta ragione, il vero bene proprio di ogni uomo è dato dall’agire razionalmente rispetto al fine per cui le cose sono ontologicamente ordinate. Ossia di indirizzare la volontà verso il vero bene, colto dall’intelletto. Ogni persona, pertanto, è in grado, usando rettamente la ragione, di cogliere quale sia il proprio bene, ossia il bene proprio dell’essere umano, e determinarsi di conseguenza sulla scorta non di un volere irrazionale, ma di un dato oggettivo, ontologico. E questo è un diritto naturale, un vero diritto dell’uomo, che non può essere limitato o cassato da alcuna norma positiva.

Siccome però, in virtù del dono del libero arbitrio, ogni persona capace di intendere e di volere può deviare scegliendo di non perseguire il predetto ordine, e quindi di non fare il proprio bene, ma di fare il proprio male, compito della Politica – intesa classicamente come scienza ed arte del bene comune – è quello di aiutare l’uomo a diventare autenticamente e perfettamente uomo, ossia ad agire razionalmente e virtuosamente a tutela dell’ordine della propria natura. E quindi a diventare veramente autonomo, cioè in grado di individuare da sé la norma e, di conseguenza, di seguirla liberamente, ossia in forza della vera libertà.

E dato che la salute è un bene in sé, oggettivo, norma dell’organismo fisiologicamente ordinato, e non assenza di malattia e/o di contagio, né benessere, né tutela dell’ordine pubblico sanitario, compito della Politica è aiutare ogni uomo – che per natura è parte di una comunità politica a partire dalla famiglia –  a tutelare il bene salute oggettivamente dato.

Sotto tale prospettiva, che si fonda sull’etica perenne (e per questo non pretende di fondare alcuna etica “volontaristica” e contingente), il curarsi e l’essere curato, non è tanto (o comunque solo) un diritto, ma piuttosto un vero e proprio dovere che fa capo all’individuo.

La cura di una malattia reale, però, è cosa molto diversa dalla prevenzione di una malattia del tutto ipotetica!

Questo significa che i vaccini (rectius le vaccinazioni) possono essere uno dei diversi mezzi/strumenti che il singolo uomo, eventualmente aiutato dal corretto agire politico, e supportato dalla conoscenza medica,  valuta di utilizzare per preservare-tutelare la salute quale condizione naturale e “normale”. Ma che, rispetto alle cure necessarie per guarire, hanno una valenza completamente differente.

E ciò anche in considerazione del fatto che la salute, quale condizione naturale resta, in quanto bene in sé e dunque non sacrificabile ai mezzi, che devono essere comunque ed imprescindibilmente leciti, sperimentati, non dannosi e sicuri, un bene dell’uomo accanto ad altri beni propri dell’essere umano.

I c.d. “effetti collaterali” o peggio “avversi”, che devono essere noti nel breve, medio e lungo periodo, possono essere infatti tollerati solo se abbiano come finalità la cura di una patologia già in atto e/o non comportino un danno maggiore rispetto alla malattia che si intende curare.

Attribuire al contrario ai vaccini (o a qualsiasi altro mezzo) un evidente aspetto salvifico-messianico, trasformarli da mezzi a fine, ritenerli erroneamente un bene in sé a cui sacrificare l’uso retto della ragione, e quindi l’essenza della natura umana, sorvolare sulle questioni etiche e giuridiche a questi inerenti, non tenere in conto la centralità e l’essenza della salute come bene in sé, non solo non è atteggiamento razionale, ma è lesivo dell’autentico bene comune.

Troppo spesso invocato a sproposito, e senza conoscere i termini delle questioni. Tra cui quella della vera tutela della vita e della salute come bene in sé.

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NB: questo scritto rappresenta una sintesi di parte di un lavoro annotato molto più ampio e corposo, che è in itinere e che si è ritenuto giusto e doveroso pubblicare in questa veste estremamente schematica vista l’attualità del tema e per maggiore fruibilità, pur nella consapevolezza del rischio di semplificazioni e fraintendimenti. Si resta comunque a disposizione per chiarimenti.

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