Legge sull’omofobia e minaccia dell’olio di ricino. Giuristi smontano il dl Zan articolo per articolo

di Andrea Mariotto

Siamo sul serio di fronte a un’emergenza che richieda una tutela specifica – peraltro con pene estremamente severe – contro le possibili discriminazioni omotransfobiche? Chi decide se l’espressione di un pensiero è un’opinione legittima o rappresenta l’incitazione a commettere un reato omofobico? E, soprattutto, non si tratta di situazioni che trovano già una tutela nelle leggi in vigore? Insomma, serve davvero il DDL Zan? Sono alcune delle domande a cui rispondono con precisione e obiettività gli autori di un libro dato recentemente alle stampe dai tipi di Cantagalli e curato da Alfredo Mantovano (Legge Omofobia, perché non va. La proposta Zan esaminata articolo per articolo, pp. 252, € 20,00): una disamina del provvedimento che ne evidenza i limiti e ne mette in luce i presupposti ideologici e liberticidi.

Anzitutto, si tratta di intendersi su che cosa si intenda per omofobia, un termine che è passato dall’essere la definizione di un comportamento a divenire uno stigma sociale che colpisce la persona con l’obiettivo di delegittimarla e squalificarla pubblicamente. La cronaca recente conferma quanto abbiamo appena detto: si pensi, ad esempio, alla richiesta fatta a fine marzo al Rettore dell’Università La Sapienza di Roma da parte delle associazioni della galassia LGBT di rimuovere dall’incarico di Consigliere di fiducia dell’Ateneo la dott.ssa Simonetta Matone, “colpevole” di aver firmato nel 2016 un appello critico sulla legge Cirinnà promosso dal Centro Studi Livatino: ciò è bastato per definirla “nota da sempre per le sue posizioni omofobe”. Con l’approvazione della proposta Zan si chiuderebbe il cerchio e ciò che oggi è un legittimo esercizio della libertà di opinione potrebbe essere portato davanti a un giudice e diventare un crimine.

Il t.u. Zan, evidenziano gli autori, se approvato avrebbe così un significato “politico e culturale diverso rispetto alla proposta Scalfarotto […] mettendo ‘in sicurezza’ i risultati ottenuti sul fronte dei c.d. nuovi diritti. La piena espansione del relativismo pone in discussione la fondamentale relazione uomo-donna fin dall’adolescenza: regala gli strumenti chimici, tecnici e giuridici per superarla, e far sì che la ri-creazione del mondo attraverso la realizzazione di un indistinto magmatico non sia più il desiderio di qualche filosofo gnostico nell’ansia elitaria di ‘illuminati’ tanto potenti quanto sconosciuti ai più; sta diventando persuasione di massa, mediaticamente egemone”.

Il contrasto all’omofobia si delinea allora come una foglia di fico dietro la quale nascondere il vero obiettivo, ossia la possibilità di censurare un certo modo di pensare per imporne un altro. Si vuole costruire un “homo novus” accusando chi è contrario. “L’incriminazione serve, dunque, per un verso a consolidare le conquiste già raggiunte e, per altro, a porre le condizioni per una ‘profilassi’ preventiva e per un’incisiva azione rieducativa nei confronti di soggetti socialmente impresentabili ed eticamente biasimevoli”. È questa, secondo la tesi delineata nel libro, la vera posta in gioco: “la legge sull’omofobia altro non è che la minaccia dell’olio di ricino per chiunque si opponga a un ricatto ideologico subdolamente totalitario, che pretende di portare alle estreme conseguenze quello ‘ sbaglio della mente umana’ che è l’ideologia gender”.

Solo così si spiegano tutte le forzature che si trovano nel provvedimento e che gli autori mettono in fila. Forzature procedurali, come ad esempio la blindatura della discussione del DDL in Commissione Giustizia alla Camera con un dibattito che si è protratto fino all’1:45 di notte e con gli interventi contingentati. Ma a colpire di più sono le forzature, le incongruenze e le imprecisioni sul piano giuridico, che tradiscono la volontà di utilizzare la legge per finalità improprie (non a caso l’art. 1 presuppone come incontestate le teorie legate al gender, che a livello scientifico, giuridico, filosofico e antropologico sono tutto tranne che universalmente condivise), cioè “negare la natura del diritto e la natura dell’essere umano”. Si genera quindi il paradosso che “mentre si pretende di affermare la relatività di tutto, compresa la natura sessuata dell’essere umano, al tempo stesso si invoca la rigida tutela del diritto penale per imporre coercitivamente quella prospettiva come unica verità assoluta” e l’unica fobia realmente riscontrabile è in capo agli estensori della proposta di legge ed è la paura delle opinioni diverse dalle proprie (allodoxafobia), “così intensa da far evocare la tagliola della sanzione penale per chi osa pensare in modo differente”.

Nel t.u. Zan, inoltre, si istituisce un vero e proprio reato d’opinione basato sul presunto movente d’odio: “si tratta di un reato costruito senza una idonea base empirica accertabile dal giudice”: ti punisco perché ti attribuisco una disposizione d’animo che ritengo malvagia, un’intenzione che secondo me è sbagliata, andando verso un modello che “punisce la manifestazione di idee per correggere gli individui in ordine alla loro disposizione interiore”. Detto questo, va da sé che la discriminazione e la sua istigazione sono esecrabili e ciò vale per tutti, non solo per l’eventuale omofobia. Per questo esiste già una tutela da parte del codice penale, con tutte le aggravanti legate ai futili motivi, a conferma che una legge ad hoc non serve se non a tutelare una categoria o un certo gruppo sociale rispetto alla collettività. Il sospetto che sia quest’ultimo lo scopo è suscitato dal fatto che, se nel dettato della legge vengono estese le sanzioni anche per le discriminazioni ai disabili, l’attenzione a questi ultimi letteralmente scompare quando si tratta di istituire la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia e tutte le iniziative correlate che dovranno coinvolgere il mondo della scuola (a conferma che il riferimento ai portatori di handicap è stato messo per rendere più “digeribile” un testo che mostra tutti i suoi limiti).

Quando i critici della proposta Zan parlano di “gender nelle scuole” – accusa sempre rigettata dai suoi difensori – si riferiscono proprio a questo: con lo stratagemma della Giornata si è trovato il modo per imporre agli istituti scolastici di veicolare gli insegnamenti sull’identità di genere che oggi richiedono il consenso informato da parte dei genitori. Così il consenso dei genitori non sarà più necessario e tanti saluti alla libertà di educazione (va sottolineato che nell’iter parlamentare tutti gli emendamenti mirati a proteggere l’esposizione dei più piccoli a contenuti non condivisi dai genitori e a tutelare la libertà delle famiglie sono stati respinti). Non si può escludere ad esempio che, a norma approvata, una richiesta di esonero da parte dei genitori possa giungere alla segnalazione da parte di insegnanti o dirigenti scolastici particolarmente zelanti e alla loro incriminazione con il sospetto di “omofobia” a causa del loro prendere le distanze da quanto “legittimamente” insegnato a scuola. Il t.u. Zan assegna al giudice una tale discrezionalità in questo senso da rendere lo scenario tutt’altro che irrealistico. D’altronde, si sprecano i casi (i più “celebri” sono descritti nel volume) che confermano che nei Paesi in cui è stata introdotta una normativa simile si sia riscontrato immediatamente un effetto liberticida, anche in quei contesti con “leggi vaghe ed eccessivamente ampie, prive di definizioni chiare su cosa significhi ‘discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere’, e quali condotte siano o meno sanzionabili”, trasformando la distinzione in discriminazione.

L’art. 21 della Costituzione difende il principio per cui a nessuno può essere impedito di affermare ciò che ritiene vero: “E quindi espressione della dignità della persona; come tale, non tollera limitazioni”. Con il t.u. Zan si introduce una disciplina che comprime la libertà “entro confini di ciò che altri consentono di dire e di non dire, così degradandola alla ‘libertà’ di esprimere non ciò che la persona pensa, bensì ciò che altri hanno deciso che meriti di essere manifestato”.

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

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