Hans Küng, il teologo che col suo «paradigma» secolarizzò il cattolicesimo

di Vito de Luca.

Anche la morte di Hans Küng, il teologo cattolico scomparso lo scorso 6 aprile, diciamo così, è stata raccontata sui media nella sua appetibilità giornalistica, proprio perché tutta la sua produzione scientifica è stata ridotta alla pubblicazione “Infallibile? Una domanda”, in cui nel 1970 mise in dubbio il dogma dell’infallibilità, appunto, del Papa.

Forse, invece, da un punto di vista scientifico la pubblicazione più rilevante di Küng fu “Teologia in cammino”, pubblicato in Italia nel 1987. Già, poiché qui il teologo svizzero, ideatore della Fondazione Weltethos – dopo che gli fu tolta la possibilità di insegnare Teologia cattolica – a proposito del Concilio Vaticano II, introdusse nel linguaggio teologico un termine fino ad allora usato prevalentemente nelle discipline scientifiche e filosofiche. Non che la teologia non appartenesse anche a quelle categorie – altrimenti dovremmo giudicare vane tutte quelle posizioni, come quella di Pannenberg, che hanno tentato di dare scientificità al “discorso su Dio” – però è pur vero che alcuni attrezzi linguistici fossero perlopiù utilizzati maggiormente in certi campi e non in altri.

Il clamore, infatti, di denominare gli atti del Concilio Vaticano II – in quel periodo a cavallo tra i papati di Giovanni XXIII e Paolo VI, i quali diedero il la alla fioritura della “teologia creativa” – alla stregua di un superamento «del paradigma medieval-controriformistico», come si legge a pagina 17 di “Teologia in cammino”, non fu da meno da quello associato alla non infallibilità del pontefice. Impiegare il termine «paradigma», che fino ad allora Th. S. Kuhn aveva utilizzato in epistemologia, e che Küng immette nella teologia, non fa altro che introdurre un modello interpretativo generale che fungerà da base per diverse scelte metodologiche in teologia.

Insomma, potremmo sostenere che proprio attraverso questa “sterzata”, in qualche modo Küng abbia condotto non solo ad una maggiore interconnessione metodologica tra teologia e altri campi di ricerca, ma anche verso un più sostenuto appoggio al mainstream cultural-religioso di cui l’attuale Papa Francesco è oggi assertore. La nuova teologia che con Küng e altri si apre, è quella che si qualifica per una tendenziale spinta ecumenica, che al particolarismo precedente dei secoli addietro contrappone il principio del “dialogo” con altre confessioni.

Non a caso si riscontrano diversi punti d’incontro tra  Küng e l’attuale pontefice, che non invece con Benedetto XVI, di cui Küng fu collaboratore ed amico. Küng, per questo, sarebbe da annoverare come tra coloro che maggiormente hanno contribuito ad una de-confessionalizzazione della teologia, ma anche a quella che potremmo appellare come de-europeizzazione e planetarizzazione di principio del cattolicesimo. In linea con Francesco, o forse dovremmo dire in linea con Küng, si è fatta strada una Universal Theologie, una teologia ecumenica critica, impegnata più a unire che a distinguere. Dunque, una sorta di globalizzazione teologica.

La direzione la diede proprio Küng, quando a pagina 229 di “Teologia in cammino” scrive che questo indirizzo mondialista va «in due direzioni: ad intra, nel dominio dell’ecumene intraecclesiale, intracristiana, e ad extra, nel dominio dell’ecumene mondiale extraecclesiale, extracristiana, con le sue diverse regioni, religioni, ideologie e scienze». È questo il motivo per cui oggi assistiamo ad una valorizzazione di tutti quei valori cattolicamente-universalmente autentici che, su questo solco, possono albergare in ogni confessione cristiana, in ogni religione non cristiana, in ogni cultura e, persino, in ogni forma di ateismo.

Poteva pertanto Küng rimanere nell’ambito della teologia cattolica o cristiana? Hans Küng fu una delle migliori figure che meglio potevano adattarsi alla tendenza generale delle cultura progressista mondiale, così come proprio questo mainstream ha trovato in Küng quel terreno fertile per spingere verso il mondialismo umanistico. Con un grande impatto anche sulla formazione delle giovani generazioni, vista la “popolarità” di Küng. Si prenda, ad esempio, un’inchiesta condotta tra gli studenti dell’Università Pontificia Gregoriana, nei primi anni ‘70 del secolo passato. Alla domanda «Quali sono a vostro avviso i teologi che oggi hanno maggior influenza?», il 48% rispose Karl Rahner, il 20% San Tommaso d’Aquino e Schillebeeckx, e il 17% Küng, a pari merito con sant’Agostino! (il riferimento è pubblicato su “Orientierung” del 14 settembre del 1972).

L’attualità di Küng, di conseguenza, dopo la sua scomparsa tornerà fondamentale per questi motivi, per l’intrapresa verso una più radicale mondializzazione non tanto cattolica, quanto religiosa-spirituale, del pensiero ecclesiale, che si lascia alle spalle una cristianità tradizionale oggi alla ricerca di più saldi punti di riferimento. A questa domanda crescente andrebbe data una risposta teologica, che certamente non è rintracciabile nella proposta di Küng.

Fonte: l’Occidentale

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