Il dossettismo di Zuppi e la Costituzione idolatrata

di Stefano Fontana

La lettera che il cardinale Zuppi ha idealmente scritto alla Costituzione richiama alla mente Dossetti per la visione insieme laica e religiosa della Costituzione stessa. Nessun accenno ai difetti della nostra Carta fondamentale, a partire dal mancato riferimento a Dio. Nel solco del dossettismo, Zuppi scade in un’ideologia della Costituzione, che non è evangelicamente accettabile.

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La lettera che l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, ha idealmente scritto alla Costituzione richiama alla mente Giuseppe Dossetti per la visione profondamente laica e nello stesso tempo profondamente religiosa della Costituzione repubblicana. “C’era in Dossetti il monaco nel politico e il politico nel monaco”, disse Achille Ardigò. Così, nella lettera del cardinale Zuppi alla Costituzione c’è molto di politico e molto di religioso. In Dossetti non si riusciva a distinguere la religione della Costituzione dalla religione del Vangelo – in lui “due traguardi ma una sola tensione”, scriveva il cardinale Biffi nelle sue memorie – e qualcosa di simile avviene oggi con questa lettera di Zuppi.

Nella sua lettera Zuppi chiede aiuto alla Costituzione italiana (“abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare”), la vezzeggia dicendola giovane e bella (“hai 75 anni ma li porti benissimo!”); ne esalta i contenuti senza nessuna critica; idealizza la fase costituente che invece fu una lotta ideologica molto aspra; dimentica che da decenni si discute di come riformarla date le sue numerose carenze anche di sola architettura istituzionale; si scorda di come essa sia stata stravolta dai suoi stessi entusiasti sostenitori e come, in suo nome, all’anagrafe del nostro Paese manchino sei milioni di persone impedite di nascere con l’aborto legale; tralascia che alcuni suoi articoli siano stati manipolati in contrasto con lo spirito dei costituenti: si pensi alla famiglia o alla scuola non statale; propone un patriottismo della Costituzione in materia fiscale (“bisogna pagare le tasse perché non pagarle significa togliere agli altri!”), sorvolando sul fisco di rapina che oggi strangola imprese e famiglie; loda la Costituzione perché non inventa ma “riconosce” i diritti e la naturalità della famiglia come base della società, ma lascia da parte come le sentenze della Corte costituzionale abbiano progressivamente smantellato questo presupposto naturalistico. Infine non fa nessun accenno alla principale carenza della nostra Costituzione, il mancato riferimento a Dio.

La costituzione a cui è indirizzata la lettera di Matteo Zuppi non esiste. Sulla busta c’è il mittente ma il destinatario è sconosciuto. È un suo sogno, un insieme di retoriche esigenze, una realtà giuridica e politica idealizzata, l’oggetto di una adesione di fede, il fondamento di una religione civile basata su una presunta fratellanza che la Costituzione avrebbe addirittura fondato e che ora aiuterebbe a mantenere e a coltivare, un patriottismo costituzionale che in teoria rende la nostra Carta un tabù indiscutibile e che in pratica chiede una cieca obbedienza alle istituzioni, oggi a Conte e Mattarella: chi critica la gestione politica attuale è come se peccasse contro la Costituzione.

Oppure c’è un’altra possibilità: la lettera non è una ingenuità superficiale ma un rimando ad una prospettiva religiosa e politica. È qui che la lettera richiama in causa Dossetti e il dossettismo e la sua capacità di parlare di politica parlando di religione e viceversa. C‘è una notevole analogia comunicativa tra questa lettera di Zuppi e l’intervento di Dossetti del 1994 dopo la vittoria di Berlusconi: “Sentinella, quanto resta della notte?”. Egli vedeva la Costituzione in pericolo e ne parlava con toni biblici, la lotta contro ogni modifica della Costituzione diventava una questione di coerenza evangelica, perché i dossettiani si ritenevano “democratici perché cristiani”.

Come scrisse Gianni Baget Bozzo, la vita direttamente politica del dossettismo è finita (anche Mario Melloni scriveva nel 2007 della “Fine del dossettismo politico”), ma il dossettismo rimane comunque l’unica “cultura legittima per i cattolici in politica”, esprime ancora “un carisma che ha influenzato tutta la classe politica italiana” e, soprattutto, “l’egemonia dossettiana sul linguaggio continua ancora”. Ciò vale religiosamente per il Concilio e vale politicamente per la Costituzione, compresa la lettera di Zuppi. Il linguaggio dossettiano continua a segnare l’uno e l’altro campo ed egli fu il “partigiano del Concilio” come fu il partigiano della Costituzione.

Anti-istituzionale in religione contro la Chiesa di Pio XII e di Luigi Gedda, Dossetti era istituzionale in politica. Il suo scopo era di fare incontrare comunisti e cattolici per costituire in Italia una democrazia compiuta nella quale la presenza cattolica in politica non fosse più considerata sufficiente e al suo posto troneggiasse un’attitudine alla mediazione sulla base di una coscienza dei laici adeguatamente formata. Era la sua versione della “nuova cristianità” di Maritain. La Costituzione diveniva così non una legge ma il manifesto di una rivoluzione da attuare sia nella Chiesa che nella politica.

In questo momento le cose non sono più esattamente quelle. Rimane però, anche se allargato oltre il binomio cattolici-comunisti, un dossettismo che ancora vuole delegittimare una presenza cattolica identitaria non completamente secolarizzata e vede nella Costituzione il quadro di una collaborazione allargata, che Zuppi, seguendo papa Francesco, chiama fratellanza civica, verso la quale convergere. Cercando una nuova unità tra Costituzione e nazione, superando le cosiddette barriere ideologiche, tra le quali inserire anche la pretesa cristiana di avere delle verità ultime da dire alla politica, anche la lettera di Zuppi si colloca nel neo-dossettismo, in un’ideologia o, addirittura, in una religione della Costituzione che non è evangelicamente accettabile, perché confonde nuovamente religione e politica e dà luogo ad un nuovo temporalismo dopo aver criticato quello vecchio.

In fondo, rimane vero che non è compito di un cardinale scrivere alle costituzioni, se non per ricordare loro le esigenze della ragione naturale e della legge divina.

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana

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