Visioni sbagliate di san Francesco d’Assisi. Chesterton le aveva già previste tutte

di Fabio Trevisan.

Nel secondo capitolo “Il mondo in cui si è trovato San Francesco”, tratto dal saggio del 1923: “San Francesco d’Assisi”, Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) volle portare il lettore nell’atmosfera spirituale, sociale e culturale dell’epoca del Santo, per dissipare ogni dubbio sulle ingiuste versioni mondanizzate

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Questo intervento riprende il tema affrontato nell’articolo di Stefano Fontana “Il Patto di Assisi e le attuali caricature ecclesiastiche di san Francesco” [Leggi Qui]

Nel secondo capitolo “Il mondo in cui si è trovato San Francesco”, tratto dal saggio del 1923: “San Francesco d’Assisi”, Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) volle portare il lettore nell’atmosfera spirituale, sociale e culturale dell’epoca del Santo, per dissipare ogni dubbio sulle ingiuste versioni mondanizzate.

Nel capitolo precedente (“Il problema di San Francesco”) Chesterton aveva posto in rilevo gli ironici contrasti che contrapponevano gli esegeti del Santo: “L’approccio ci dia almeno una pallida idea del perché questo poeta che rendeva grazie al sole suo Signore si nascondesse spesso in una buia caverna, e del perché il santo che era tanto gentile con Frate Lupo fosse tanto duro con Frate Asino (soprannome che dava a se stesso), o del perché il trovatore che diceva che l’amore gli metteva il fuoco in cuore si tenesse lontano dalle donne, o del perché il cantore che godeva della forza e della gaiezza del fuoco, scegliesse di rotolarsi nella neve…”.

La collocazione storica di San Francesco, che era stato un soldato, richiedeva secondo Chesterton una comprensione più vasta: “La gente non capisce perché si rifiuta di capire. Dovrei esprimere questo concetto dicendo che non è abbastanza cattolica per essere Cattolica”. Questa riduzione dell’essere cattolico (con la c minuscola), come sottolineava Chesterton, rispetto a quello che dovrebbe essere, portava ad un’imprecisa diminuzione e a un’erronea interpretazione della gigantesca figura del Santo: “La gioia di San Francesco e dei suoi Giullari di Dio non è stata solo un risveglio…è stata la fine di una penitenza o, se preferite, di una purificazione”.

In questo straordinario saggio, lo scrittore londinese aveva scorto nel Santo d’Assisi la purificazione da un mondo ancora troppo paganizzante: “San Francesco ha segnato il momento in cui si era definitivamente compiuta una certa espiazione spirituale …attraverso un periodo ascetico, che era l’unica cura possibile. Il cristianesimo era entrato nel mondo per risanarlo, e l’aveva risanato nell’unico modo possibile”. Qual era l’errore che San Francesco aveva sanato? Perché quel mondo aveva bisogno del cristianesimo per essere redento? Chesterton rimarcava due sostanziali errori che ancora oggi sono presenti nella nostra epoca (ed anche in questo dovrebbe porsi la vera attualità del Santo): “Per brevità lo si potrebbe chiamare l’errore di venerare la natura. Lo si potrebbe chiamare altrettanto chiaramente l’errore di comportarsi secondo natura. L’altro errore è che i popoli che venerano la salute non riescono a rimanere sani”.

Qualche lettore sarà sobbalzato sulla sedia nel sentir Chesterton richiamare l’errore di comportarsi secondo natura; è ovvio che egli non alludesse affatto alla legge morale naturale ma al pervertimento della natura causato dall’oblio della natura umana segnata dal peccato originale: “Gli uomini più saggi del mondo cominciarono secondo natura, facendo la cosa più innaturale del mondo. L’effetto immediato di venerare il sole è stata una perversione che si è diffusa come una pestilenza…ed è stato il cristianesimo a correggere quello squilibrio. Questa è una cosa che farà sorridere molti, ma è profondamente vero che la lieta novella portata dai vangeli è la cognizione del peccato originale”. Era quella che Chesterton chiamava ripetutamente la Tradizione della Caduta e nella quale San Francesco d’Assisi si inseriva prepotentemente denunciando la venerazione della natura e della salute fisica. Egli era consapevole che quando la natura era considerata “madre” diventava “matrigna”.

Anche ai nostri giorni si dovrebbe correggere il tiro nell’interpretazione del Santo, come auspicava Chesterton, tentando invece di perfezionare la nostra filosofia cristiana per non cadere negli stessi errori: “Troviamo che il culto della natura produce inevitabilmente delle reazioni contro natura e trasforma le passioni naturali da passioni contro natura”. Solamente il dogma del peccato originale poteva impedire questa deriva naturalistica.

Anche riguardo la concezione del sesso, Chesterton scrisse nel saggio su San Francesco considerazioni molto importanti e lungimiranti. Molto prima della rivoluzione sessuale o dei costumi del 1968 e delle cosiddette battaglie femministe per l’emancipazione della donna, lo scrittore aveva intravisto quella reale sottomissione alla schiavitù sessuale, esplosa successivamente sotto diverse forme (pornografia dilagante, rivendicazioni sessuali stravaganti e contronatura, un’intera cultura mediatica piegata alle provocazioni sensuali).

Per Chesterton: “Trattare il sesso come un innocente fatto naturale, ebbe per conseguenza che tutte le altre cose naturali si permearono profondamente di sesso”. Non si poteva infatti, secondo il grande scrittore cattolico inglese, assimilare il sesso ad altre abitudini elementari come il mangiare o il dormire: “Il fatto è che il sesso occupa un posto pericoloso ed eccessivo nella natura umana; per cui richiede un approccio particolarmente casto”.

Sarebbe stato paradossalmente proprio con San Francesco che si sarebbero potuto mettere a posto le cose, ma purtroppo era prevalsa e tuttora prevale un’interpretazione erronea del Santo. La religione di San Francesco d’Assisi non era affatto una religione naturalistica, ma anzi era una religione che avrebbe dovuto liberare dall’ossessione della venerazione della natura: “Non sarebbe servito predicare il culto della natura a gente per cui la natura era diventata innaturale… Non c’era più un fiore o una stella che non fossero contaminati. Soltanto il rigore del soprannaturale poteva ergersi a baluardo della salvezza”. Credo che sia superfluo sottolineare la stupefacente attualità di tali riflessioni.

Chesterton rimarcava questo peso eccessivo riguardo il sesso, ne indicava la deriva culturale e morale ed il bisogno di espiazione: “Per liberarsi da questa ossessione occorreva una religione che fosse letteralmente ultraterrena…questo malanno non passa che con la preghiera e con il digiuno”. L’importanza di San Francesco d’Assisi consisteva quindi nell’ aver segnato la fine di questo periodo d’espiazione a seguito di una profanazione della natura: “I fiori e le stelle hanno recuperato la loro primitiva innocenza. Il fuoco e l’acqua sono considerati degni di essere il fratello e la sorella di un santo. La purificazione dal paganesimo è finalmente giunta al termine”. Era l’esaltazione di una natura purificata, di un approccio casto e divino riguardo il sesso, di una ricomprensione della bellezza del creato: questa avrebbe dovuto essere l’autentica liberazione dell’uomo! Esattamente il contrario di quanto avvenuto, dove il vero San Francesco è stato obliato così come il nostro Chesterton è stato accantonato dalla cultura dominante (ed anche, diciamola francamente, da quella cattolica).

San Francesco era ancora in attesa di una riconciliazione con l’uomo, di una comprensione autentica della sua filosofia soprannaturale; la vera “liberazione”, secondo Chesterton, stava in quest’ultima saggia frase che egli sottoponeva a quella modernità impazzita che aveva stravolto l’interpretazione del Santo: “Con San Francesco l’uomo si è strappato dall’anima l’ultimo brandello di culto della natura e può tornare alla natura”. Aveva liberato l’uomo dal paganesimo e da quelle ossessioni (tra cui il sesso) di cui era permeato; si poteva ritornare ad un mondo purificato e ad ammirare e contemplare Dio e il creato. Senza questa visione soprannaturale tutto, compreso il sesso, diventava nostro tiranno. L’amore di Dio e la salvezza dell’anima erano poste dal Santo d’Assisi sopra a tutto: “Laudato sii, mi Signore, per sora nostra Morte corporale”. Il corpo alla terra, l’anima a Dio.

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

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