Il comunismo restò in cielo e mandò i popoli all’inferno

di Marcello Veneziani.

Un lungo corteo di elogi funebri ha accompagnato la morte di Rossana Rossanda. Necrologi rosso antico, testimonianze affettuose, ricordi di militanze dell’altro millennio. Il rispetto che si deve in generale per chi muore e in particolare per un nemico intellettuale, e uso la parola nemico senza un filo di disprezzo, sapendo di rispettare le sue volontà, non deve però trattenere dal tracciare un bilancio onesto. Non della vita e l’opera di Rossana Rossanda, e nemmeno del suo Manifesto, ma un bilancio ideologico e politico di una passione chiamata comunismo. Pace all’anima sua, anche se lei rigettò la pace e l’anima.

La Rossanda – non se ne dolgano le femministe per quel la, ma così è stata chiamata da tutti per una vita – ha sintetizzato nella sua vita tutte le stagioni cruciali del comunismo e della sinistra radicale. Fu antifascista e partigiana, poi militò nel Partito Comunista e si distinse per la sua fedeltà a Mosca ai tempi in cui il comunismo era staliniano; furono memorabili alcune sue censure e stroncature verso opere o compagni che osavano incrinare il Verbo sovietico. Fu poi tra quelli che cominciò a pensarla diversamente dopo i fatti d’Ungheria, fino alla clamorosa rottura del gruppo del manifesto con il Pci, rimasto filosovietico nonostante i carri armati e i misfatti ormai risaputi di Stalin. Ma non si trattò di un ravvedimento libertario, come ci raccontano le anime belle che fanno la storia a modo loro, perché la Rossanda, il manifesto & Compagni, passarono dalla padella alla brace, e dopo aver criticato lo stalinismo del vecchio Pci passarono a tessere le lodi del Grande Timoniere, il terribile Mao Tse Tung. Dittatura sanguinaria, repressione massiccia del dissenso, sterminio di popoli e rieducazione feroce, sradicamento di civiltà, culto della personalità, c’erano tutti in Mao e nel comunismo cinese, e in dosi più massicce dello stalinismo. Dunque la favola della reazione libertaria al vecchio Pci stalinista va raccontata agli ingenui e a chi ama baloccarsi di consolanti menzogne.

Ma la Rossanda fu anche il campione femminile più rappresentativo del passaggio dal partito comunista al movimento contestatore, femminista e anarco-libertario, dal Pci al ’68, che poi diventò la linea vincente nella sinistra italiana ed europea. Lei percorse con esito radicale e rivoluzionario quel che la sinistra più larga, postsessantottina, percorse con esito neoborghese e laico-progressista. Per dirla in termini di giornali, il manifesto accompagnò la mutazione rivoluzionaria della sinistra, dal Pci al dopo-68, esattamente come la Repubblica accompagnò la mutazione neoborghese della sinistra, dal Pci al partito radicale di massa, per dirla con Augusto del Noce.

Che vi fosse una corrispondenza di amorosi sensi tra la linea rivoluzionaria della Rossanda, più vicina allo spirito originario del ’68, e l’esito neoborghese, filocapitalista, euro-mondialista della sinistra postcomunista, un marxista ortodosso lo potrebbe spiegare con una questione di classe: Rossana Rossanda era una donna di classe; ideologicamente di classe operaia, sia come ceto, di classe borghese. Ha precorso i radical chic, nella vita, nei legami, nello stile, nelle abitazioni, nei quartieri, nel narcisismo autoreferenziale. Sentiva di appartenere a una minoranza, un’élite, mica un popolo. Ma restando sempre comunista, senza mai deflettere.

La Rossanda si definì sempre comunista, come il Manifesto, anche dopo che cadde l’Unione Sovietica: un esempio di cocciuta coerenza, di puntiglio ideologico che quel neo accanto alla bocca sembrava quasi somaticamente figurare. E tale rimase quando riconobbe nelle Brigate rosse lo stesso album di famiglia, mentre gli altri a sinistra continuavano a definirle sedicenti; riteneva però che le Br derivassero dallo stalinismo, in Italia rappresentato dal Pci. Lei distingueva – come poi sarà d’uso nella cultura egemone – tra comunismo staliniano e comunismo marx-leninista, come se fossero due cose diverse. Usarono lo stalinismo come una bad company su cui scaricare le nefandezze del comunismo. Troppo comodo, e troppo falso: Stalin proseguì l’opera di Lenin e il suo terrore, e i comunisti, italiani inclusi, furono stalinisti.

C’è una sua frase, abusata in questi giorni e resa quasi un epitaffio della sua vita, che così riassume il suo comunismo: “il comunismo ha sbagliato ma non è sbagliato”. In quella frase c’è tutta la presunzione ideologica a dispetto dei fatti, o come un tempo si diceva, delle “dure repliche della realtà”; la convinzione di un’essenza pura, quasi metafisica, del comunismo che rimane illibata nonostante i fallimenti molteplici della storia. L’idea comunista è sacra e inviolata, i fatti ne hanno solo sporcato le rappresentazioni temporali; ogni crimine compiuto dai regimi comunismi situava quei regimi fra i traditori del comunismo. Ma quando un’idea fallisce ovunque e genera ovunque repressione, stermini, totalitarismo e fallimento economico-sociale, il difetto non è nelle “trascurabili” applicazioni storiche ma nell’idea stessa e nella pretesa di correggere l’umanità, raddrizzare il mondo, generare una società perfetta sacrificando l’umanità imperfetta e reale. Da qui la riduzione del comunismo a Immacolata Concezione, a prescindere dai suoi frutti storici e politici; e la pretesa dei suoi sacerdoti di essere il sale della terra, e di dover giudicare il mondo e gli altri e insegnare loro la retta via.

Rossana Rossanda, che già nelle sue generalità era un agitarsi di bandiere rosse, merita il rispetto che si deve a una combattente delle sue idee, coerente nonostante le incoerenze dei suoi passaggi, messaggera di una rivoluzione che non vide mai la luce. In compenso fece vedere agli altri l’inferno.

MV, La Verità 22 settembre 2020

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