Matteo Salvini: cronaca di una condanna annunciata

di Claudio Togna.

E così il Senato della Repubblica ha deciso che il destino personale e politico di Matteo Salvini sia, fatalmente, rimesso all’esito del giudizio dell’Autorità Giudiziaria.

Al di là dell’aspetto formale e procedimentale: (e cioè che quello del Senato non rappresenterebbe un giudizio di colpevolezza ma solo un esame sulla ricorrenza o meno, rispetto agli atti del Ministro, dell’esistenza o meno di un preminente interesse pubblico) la votazione del Senato rappresenta, nella fattualità concreta ordinamentale, una prima condanna.

In quanto non è vero, nell’effettività, che il cittadino imputato risulta innocente fino al momento della condanna passata in giudicato (cosiddetto terzo grado di giudizio). Nella prassi giudiziaria e nell’opinione settaria giornalistica e del pezzentismo politico militante già essere sottoposti a giudizio penale rappresenta colpevolezza “intrinseca”.

E non senza ragione quanto alle conseguenze.

Infatti con la sottoposizione del Senatore Salvini al giudizio penale si ottiene un duplice importantissimo scopo: il primo, nell’immediato, di sottrarre (a quello che nei numeri rappresenta il leader del centro destra) energie e concentrazione nelle imminenti elezioni politiche amministrative, regionali, e sul medio-lungo, periodo nazionali; il secondo, nella speranza degli oppositori “certus an incertus quando” di una condanna di Matteo Salvini che lo priverebbe, in forza della legge Severino, ed in analogia con il Presidente Berlusconi, dell’elettorato passivo (sancendone la “morte” politica).

Ma come ha potuto un leader politico pure accorto ed esperto come Matteo Salvini rimanere invischiato in tale vicenda dagli esiti potenzialmente nefasti?

Per capirlo occorre esaminare con attenzione alcune caratteristiche del premier Giuseppi di cui Salvini ha sottovalutato la feroce ambizione piccolo borghese e l’astuta competenza maturata nella professione e nell’insegnamento del diritto che ormai altro non è che “un’esercitazione dialettica a tesi obbligata”.

Dove la tesi è decisa a  priori da chi giudica o dal cliente che paga.

Con buona pace del concetto astratto di giustizia: ma tanto è un concetto non storico ma escatologico per la cui attualizzazione c’è tempo fino alla fine dei tempi.

E Giuseppi comprende e gestisce quello che Salvini (forse) non ha compreso e sicuramente non ha gestito. E ci riferiamo allo “stato di eccezione” (i famosi pieni poteri) che Salvini, con folgorante intuizione, ma con maldestro lessico giuridico, aveva intuito essere imminenti.

Non a caso il premier Giuseppi ha chiesto la proroga dello “stato di eccezione” da lui chiamato anche “stato di emergenza” formalmente fino al 31 ottobre ma, sostanzialmente, per tutta la legislatura.

Stato di eccezione quale “paradigma di governo”.

Il ricorso allo stato di eccezione ha radici antiche: esso può essere fatto risalire alla dichiarazione dello stato di assedio durante la rivoluzione francese, alla dottrina inglese della legge marziale, ed alla sospensione del “habeas corpus” deciso da Lincoln durante la guerra civile americana.

Tuttavia esso si intensifica radicalmente dapprima  nelle democrazie liberali soggette ad instabilità politica nel periodo di guerra e diviene strumento decisivo nell’ascesa al potere dei nazisti che, il 28 febbraio 1933, attraverso il “Decreto per la Protezione del Popolo e dello Stato” sospesero indefinitivamente gli articoli della costituzione di Weimar concernente le libertà personali.

Con l’utilizzo “regolare” dei poteri di emergenza (in Italia il cosiddetto DPCDM) tutto il potere si trasferisce all’esecutivo conducendo alla “provvisoria abolizione della distinzione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario”.

Ciò vuol dire che lo Stato in cui il ricorso a queste misure ormai consolidato non può essere definito come sistema parlamentare soggetto allo stato di diritto avendone del tutto “smarrito” il canone.

Ed il Senatore Salvini con la sua iniziativa politica di governo prima e di opposizione poi rappresenta una minaccia o, come dicono i suoi nemici politici, un’”emergenza democratica”.

Di conseguenza, e con questa governamentalità, che ha sostituito azzerandone le funzioni le camere parlamentari, se un’”emergenza estrema” anche di natura di opinione politica minaccia l’ordine di cui il governo ha bisogno per funzionare (secondo i propri principi autoreferenziali) lo Stato può decidere financo di sospendere l’applicazione della legge per permettere di prendere le misure necessarie a ristabilire l’ordine che si assume violato.

Questa decisione è “sovrana” in quanto non ha nessuna restrizione dal punto di vista giuridico: vista a partire dalla norma essa “emerge dal nulla” (Agamben).

In tale sistema le camere parlamentari, abdicato il proprio ruolo, risultano delle grottesche parodie del “tribunale”: e, come nel caso in esame, si riducono ad esistere per l’unico fine dell’individuazione e trasformazione dell’avversario politico in “homo sacer” e cioè di persona sacrificabile  e condannabile in modo assolutamente arbritrario come “nuda vita”.

In tale sistema il “giuridico” si sviluppa come una “struttura doppia” formata da due elementi eterogenei e tuttavia coordinati: le norme giuridiche e lo spazio “metagiuridico” o “anomico” dello stato di eccezione.

Stato di eccezione come “zona di indistinzione” tra il dentro ed il fuori la legge: lo stato di eccezione è esterno al diritto (sospende la legge) e, ciononostante, resta parte del diritto in quanto rende possibile l’applicazione della legge.

E’ la attuale crisi ordinamentale della tradizione democratica giuridico-politica in cui emergenza e normalità, anomia e diritto entrano in una zona di indistinzione radicale e permanente.

E questo il premier Giuseppi, a differenza di Salvini,  lo ha capito talmente bene da sostanziare in se stesso l’intera governamentalità in quanto “decisore di ultima istanza” dello stato di eccezione: e quindi sovrano.

Nel contempo lo stesso potere giudiziario, nell’attualità italiana, non solo risulta, fattualmente, svincolato dagli altri poteri dello stato ma diventa esso stesso stato nella misura in cui risulta caratterizzato dall’inclusione sempre più diretta nella vita nell’ordine del potere giudiziario.

In buona sostanza il principio di eccezione viene fatto proprio anche dall’ordinamento giudiziario nel senso che il potere giudiziario nella misura in cui concretizza l’ordine giuridico, deve conservare al contempo, la possibilità di sospenderlo.

Nello spazio di eccezione il tratto fondamentale del potere giudiziario emerge allora come la possibilità di isolare in ogni soggetto una “nuda vita”: una vita irrimediabilmente esposta alla decisione giudiziaria sovrana che, in quanto tale, assicura al potere una presa diretta.

Lo stato di eccezione è dunque il rovescio della funzione garantistica della norma.

In tale sistema il giudizio diviene non contrario all’ordine istituito ma il suo principio immanente.

Il processo in questo spazio di storia giudiziaria diviene il luogo in cui la regola e l’eccezione diventano indiscernibili in una sorta di assolutismo etico – giudiziario.

Con tale assolutismo il processo viene alla luce in se stesso, in quanto eccezione che perdura, e tende in tal senso a diventare la regola e colui che nel processo è imputato “l’homo sacer” si mostra nella sua “nudità” di colui che, perduti i suoi diritti, può venir condannato arbritrariamente senza che ciò costituisca un “vulnus giuridico”.

L’avversario politico reso “homo sacer” o nuda vita dal simulacro del parlamentarismo viene affidato per la “condanna” al potere giudiziario all’interno e nel perimetro della salvaguardia dello “stato di eccezione”.

Cosa peraltro già accaduta ad altri leader del centro-destra ed in particolare al Presidente Berlusconi.

Tecnicamente quindi il Senatore Salvini risulta già “condannato”.

Ma non perchè le risibili accuse nei suoi confronti abbiano un qualche fondamento giuridico: ma perchè il Senato con il suo voto lo ha consegnato ad una magistratura etica dove il soggetto, la persona aprioristicamente individuata e catalogata dal potere giudiziario non abbia diritto più ad alcun tipo di garanzia o di statuto di diritti ma in quanto “homo sacer” disumanizzato” deve poter essere “sacrificato” mediante la condanna.

Si ribelli Senatore Salvini a tale stato di cosa.

E soprattutto non creda alle favole per cui ci si difende nel processo e non dal processo.

Con questi parlamentari di maggioranza e con questa Magistratura, nella lettura di Palamara, l’unica sua possibilità di salvezza è di poter effettuare un “processo al processo”.

Ne ha la forza politica e la forza personale.

In bocca al lupo.

Fonte: l’Occidentale

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