Selezione dei pazienti in casi di emergenza? Quali criteri?

di Stefano Martinolli

Tavolo di Lavoro sul dopo-coronavirus

Valutazione etica di due recenti direttive sanitarie

Durante questa pandemia da COVID-19 sono stati pubblicati moltissimi studi scientifici, riflessioni, approfondimenti e valutazioni etico-cliniche. Fra tutti, vale la pena di analizzare le «Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili» (SIAARTI, Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia intensiva – 6 marzo 2020) e «COVID-19: la decisione clinica in condizioni  di carenza di risorse e il criterio del triage in emergenza pandemica» (Comitato Nazionale per la Bioetica – Presidenza del Consiglio dei Ministri – 8 aprile 2020).

Il primo documento, dopo aver più volte sottolineato l’eccezionalità della situazione attuale, propone una lista di 15 raccomandazioni circa i criteri di accettazione, negli ospedali e, in particolare, nelle Terapie Intensive, di un numero di pazienti superiore alla disponibilità effettiva delle risorse sanitarie. Vengono richiamati criteri di «appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure» e, in particolare, di «giustizia distributiva», oltre che di «appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate». Gli autori ribadiscono, fin dall’inizio, che si deve puntare a «garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico, privilegiando pertanto la maggiore speranza di vita» e sottolineano quindi come il bisogno di cura intensiva debba essere integrato  con «altri elementi di idoneità clinica». Il Gruppo di lavoro, dopo aver premesso che questi criteri di scelta dei pazienti sono giustificabili «solo dopo che da parte di tutti i soggetti coinvolti siano stati compiuti tutti gli sforzi possibili per aumentare le disponibilità di risorse erogabili e dopo che è stata valutata ogni possibilità di trasferimenti dei pazienti verso centri cin maggiore disponibilità di risorse», indica lo scopo finale del documento: sollevare i clinici da una parte della responsabilità delle scelte e rendere espliciti i criteri di allocazione delle risorse sanitarie. Le raccomandazioni vanno ad analizzare tutti gli aspetti dell’attività sanitaria (comunicazione e condivisione della diagnosi, compilazione delle cartelle cliniche spiegando anche i motivi dell’esclusione , elenco delle comorbidità, rilevazione quotidiana dell’appropriatezza delle cure, creazione di «rete» con scambio di informazioni tra centri e singoli professionisti, considerazione delle ricadute sui familiari dei pazienti, soprattutto in caso di morte) ed entrano nell’ambito etico in maniera diretta ed esplicita. Colpiscono alcuni punti: 3) è espressamente indicato che il limite di età può rappresentare un criterio di esclusione all’ingresso in Terapia Intensiva, giustificato dalla «probabilità di sopravvivenza» e, in particolare, dai «più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone»; 5) richiamo alla presenza di DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) che andrebbero considerate con attenzione; 9) creazione ideale e in anticipo di una lista di pazienti che potrebbero necessitare di Terapia Intensiva; 10) descrizione della possibilità di ricorrere alla sedazione palliativa, soprattutto se «si prevede un periodo agonico non breve».

Da quanto esposto finora è chiaro che il documento evidenzia notevoli criticità etiche. Non è accettabile impiegare il limite di età, come criterio privilegiato, per trattare i pazienti. Per spiegarmi meglio pongo un esempio: nella pratica clinica è noto che due persone con la stessa età possono avere uno stato di salute profondamente diverso (presenza o meno di importanti comorbidità: diabete, ipertensione arteriosa, obesità, cardiopatie, nefropatie, pneumopatie) e che richiedono pertanto una gestione sanitaria diversa e personalizzata. In questo caso è chiaro che il parametro età ha scarso valore ed assume invece un ruolo determinante la valutazione clinica che sarà l’unica a guidare le decisioni diagnostiche e terapeutiche.

E’ rischioso richiamare le DAT in una situazione che gli autori del documento definiscono come «eccezionale» e che inevitabilmente accentua le fragilità psico-fisiche delle persone. Siamo certi che chi ha posto la firma su quelle dichiarazioni anticipate abbia previsto anche un evento così inaspettato e grave e non desideri magari ripensare alla propria posizione di fronte a terapie d’urgenza?

La creazione di liste ideali e in anticipo di pazienti che potrebbero necessitare di Terapia Intensiva, se da un lato può rispondere a giuste esigenze organizzative, dall’altro potrebbe entrare in contrasto con quel criterio di «giustizia distributiva» più volte richiamato nelle raccomandazioni e contribuire a creare a priori pazienti di serie A e serie B?

Non parliamo poi della sedazione palliativa che, in una situazione di emergenza di questo genere, potrebbe essere utilizzata in maniera larga e giustificata da criteri di «proporzionalità delle cure» e di scarsa disponibilità delle risorse sanitarie.

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Il secondo documento, elaborato dal Comitato Nazionale di Bioetica, analizza i problemi etici di inclusione/esclusione di trattamento intensivo in maniera piuttosto ampia e articolata. Nelle premesse vengono richiamati gli articoli 32, 2 e 3 della Costituzione Italiana che affermano il diritto fondamentale della salute degli individui, la garanzia del principio personalista, il dovere di solidarietà e il principio di eguaglianza. Viene anche ricordata la Legge 833/1978 che prescrive che la cura vada assicurata secondo un criterio universalistico ed egualitario, che deve guidare ad un’adeguata ed equa allocazione delle risorse sanitarie. Gli autori entrano poi nel merito  della pandemia da COVID-19 ricordando che la criticità nelle disponibilità assistenziali non interessa solo i pazienti colpiti dal virus, ma anche i soggetti con altre patologie acute e croniche, che «improvvisamente vedono calare, in maniera drastica, personale e mezzi di cura fino ad allora disponibili e per loro essenziali». Il Comitato, dopo aver analizzato i documenti redatti da varie Società scientifiche, Comitati etici nazionali ed internazionali, esperti, ribadisce che «nell’allocazione delle risorse si debbano rispettare i principi di giustizia, equità e solidarietà, per offrire a tutte le persone eguali opportunità di raggiungere il massimo potenziale di salute consentito e che sia doveroso mettere in atto tutte le strategie possibili, anche di carattere economico-organizzativo, per far sì che sia garantita l’universalità delle cure». Il criterio clinico, secondo gli autori, deve essere considerato come il più adeguato punto di riferimento per l’allocazione delle risorse sanitarie. Ogni altro criterio di selezione (età anagrafica, sesso, condizione e ruolo sociale, appartenenza etnica, disabilità, responsabilità individuali, costi) è ritenuto eticamente inaccettabile e viene proposto, come valido, il criterio del triage (adattato alla eccezionalità del momento). Vengono poi descritte alcune linee fondamentali: 1) preparedeness (= programma operativo a lungo termine di preparazione alle emergenze) in cui si predispongono in anticipo strategie di azione nell’ambito della sanità pubblica di fronte ad emergenze causate da pandemie. Tali linee guida prevedono una precisa organizzazione nell’ambito delle responsabilità, dei compiti  e della chiarezza dei tempi e metodi d’azione, liberandosi di ogni eccesso di burocrazia. Queste importanti decisioni non devono però costituire precedenti da applicare  a future situazioni di normalità. 2) Appropriatezza clinica = valutazione medica dell’efficacia del trattamento rispetto al bisogno clinico di ogni singolo paziente, con riferimento alla gravità della patologia e alla sua prognosi. Il trattamento deve essere sempre proporzionato (bilanciamento rischi e benefici). Il Comitato qui ribadisce che ogni paziente va visto nella globalità della sua situazione clinica. «L’età è un parametro che viene preso in considerazione in ragione della correlazione con la valutazione clinica attuale e prognostica, ma non è l’unico e nemmeno quello principale». In pratica, i pazienti non possono essere esclusi solo perché appartenenti ad una categoria stabilita aprioristicamente. Infine, è ricordato l’imperativo etico di dare la possibilità di cura meno invasiva, terapia del dolore o cure palliative ai pazienti che non accederanno alle Terapie Intensive o a coloro che abbiano rinunciato ai trattamenti salvavita. 3) Attualità = criterio che, secondo gli autori, più caratterizzerebbe il triage d’emergenza pandemica. La valutazione individuale del paziente, infatti, è inserita nella prospettiva più ampia della «comunità dei pazienti» dove si incontrano molteplici, variegate e spesso complesse situazioni cliniche che richiedono di essere trattate con diversa priorità, utilizzando tutte le risorse attualmente disponibili. In questo ambito, viene affrontato anche il tema della riorganizzazione di molte strutture del Sistema Sanitario, a partire dalla redistribuzione, assunzione ed addestramento del personale.

Gli autori concludono con alcune riflessioni:

  • Deve essere data massima trasparenza ai criteri di allocazione delle risorse sanitarie, perché le scelte di ciascuno siano veramente libere e informate;
  • Dopo aver ringraziato tutti gli operatori sanitari, è espressa però la preoccupazione per l’aumento di contenziosi giudiziari in questa emergenza pandemica;
  • Vanno tenute in massima considerazione le persone più fragili e vulnerabili che percepiscono un senso di abbandono e di isolamento, lontane dai loro cari e dai consueti luoghi familiari, soprattutto in occasione di ricovero ospedaliero, ambiente ove l’accesso è limitato solo al personale specializzato. Una nota particolare è dedicata agli anziani che «hanno eguale diritto a ricevere cure adeguate» e ai malati terminali che rischiano di non poter salutare per l’ultima volta i loro cari. Viene infine ricordata la prova terribile per i familiari che non potranno accompagnare né condividere il dolore del malato.

Si tratta di un documento positivo in molti capitoli, soprattutto perché viene posta al centro la persona, con le sue esigenze psicologiche, materiali e spirituali. E’ giustamente criticato il parametro età, come criterio discriminante, e vien invece promosso un triage emergenziale che tenga conto della «comunità dei pazienti». Emerge infine la centralità di una precisa strategia organizzativa sanitaria in anticipo («preparedness») di fronte ad emergenze causate da pandemie. La messa di atto di tale progetto potrebbe giocare un ruolo determinante nel prevenire o minimizzare le problematiche etiche relative ai criteri di scelta dei pazienti dei pazienti da curare.

Il documento è stato approvato all’unanimità, eccenzion fatta per il voto negativo del prof. Maurizio Mori che critica il documento affermando che il CNB «in realtà neanche riesce ad individuare i termini  del problema circa la scelta e finisce per lasciare l’ultima parola al giudizio clinico individuale senza dare indicazioni precise». Il professore concorda invece con quanto scritto dalle raccomandazioni SIAARTI e definisce il paramento età come «extraclinico», inserito tra molteplici fattori extra-clinici. E’ chiaro l’intento di uscire dal buon uso dei criteri clinici per inserire altri parametri discutibili e suscettibili di «revisioni» alla luce di diverse concezioni filosofiche ed etiche, condizionate dal mutare della sensibilità del momento storico. Ulteriori critiche vengono poi mosse alla dichiarazione, definita come «ideale e astratta» e, in particolar modo al triage, come metodologia valutativa. Mori conclude citando una frase del Manzoni ne “I Promessi Sposi” ove si descrive l’atteggiamento dei milanesi verso l’uso della parola «peste», dapprima censurata, poi via via accettata ed utilizzata con fatica. Il professore propone la sostituzione di tale termine con «triage» o «scelta», per far intendere che si tratta di un percorso culturale non trasparente né coraggioso. In realtà questo gioco semantico delle parole si basa su un errore di tipo qualificativo: non si può sostituire la definizione di una patologia con quella della sua terapia.

Come chiarire questi dilemmi e quali proposte avanzare per il bene dei malati? L’unica risposta vera è fornita da Cristo che tiene conto della nostra creaturalità e della nostra appartenenza a Lui: «Io sono la Via, la Verità e la Vita». La vera terapia alla malattia da COVID-19 non può essere individuata esclusivamente mediante metodologie utilitaristiche, tecnologiche e scientiste. E’ necessaria una «nuova visione del mondo» in cui l’uomo, unità di anima e corpo, possa essere realmente e integralmente «curato».

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

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