Lotta alle fake news? Allora iniziate dalla Cina

di Eugenia Roccella.

Noi di sospetti nei confronti del comportamento della Cina ne abbiamo molti, e il tentativo di ripulire la propria immagine e presentarsi come nazione benefattrice ci insospettisce ancora di più. L’inquietudine cresce vedendo come quelli che una volta erano gli scatenati anti-casta nostrani, i fautori della trasparenza, siano molto silenziosi sulle evidenti storture del regime cinese, e incredibilmente amichevoli nei confronti di una nazione governata da una casta vera, che la trasparenza la vuole solo a senso unico, per controllare i comportamenti dei cittadini. Abbiamo sempre avuto il dubbio che la virulenza con cui i 5s attaccavano i partiti e la politica fosse legata a uno strisciante antiparlamentarismo. L’affettuosa indulgenza dei grillini verso il regime cinese alimenta le perplessità: non è che la casta è costituita solo dagli eletti dal popolo, mentre se si è nominati dal partito il problema è risolto?

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Il 28 gennaio scorso il dottor Charles Lieber, direttore del dipartimento di chimica dell’università di Harvard, è stato arrestato dal Fbi per gli oscuri rapporti professionali intrattenuti con la Cina, su cui, secondo le accuse, ha mentito e indotto altri a mentire. Non era un ricercatore qualunque: non solo ricopriva un prestigioso ruolo accademico in uno degli atenei più importanti del mondo, ma aveva ricevuto 15 milioni di dollari dal Fondo federale per la ricerca, e lavorava per istituzioni di rilievo assoluto come il Nih (National institutes of health) e soprattutto il dipartimento americano della Difesa. Lavorava però anche per la Wuhan university of technology, e dai cinesi ha avuto molti soldi, ufficialmente per reclutare talenti per sostenere “lo sviluppo scientifico, la prosperità economica e la sicurezza nazionale” del paese governato dal segretario del partito comunista, Xi Jinping. Tra gli arresti effettuati in America insieme a Lieber c’era anche quello di un cinese trovato in possesso di 21 fiale sottratte a un laboratorio di Harvard. Chi volesse saperne di più non deve faticare molto: basta cercare il nome dello scienziato e si possono leggere le informazioni pubblicate dalla più accreditata stampa internazionale, e dal sito del dipartimento della Giustizia degli Usa.

Cercare la clamorosa notizia sui media italiani invece è più difficile. Sarà sicuramente una mia disattenzione, ma io non ho visto niente sulla grande stampa, mentre se ne è parlato con ovvio e ragionevole allarme sul web. Le voci sul legame tra gli avvenimenti e l’epidemia di Covid19 sono infondate, ma il fatto che spie e ambigue figure possano trafugare fiale da un centro di ricerca americano getta una luce inquietante sulla forza di penetrazione cinese nelle pieghe più delicate del mondo occidentale. L’allarme suscitato è dunque ragionevole, perché la grande potenza asiatica è riuscita a mettere insieme il peggio del capitalismo e del comunismo, in uno strano connubio che, sfruttando con spregiudicatezza le nuove tecnologie, ha una capacità di controllo sull’informazione e sui propri cittadini che non può che terrorizzare chiunque sia affezionato alla libertà individuale.

La notizia dell’arresto dello scienziato americano, praticamente ignorata per mesi, è stata raccontata lunedì scorso su un quotidiano nazionale, ma solo per smentire l’ipotesi che tutta la faccenda sia legata all’esplosione del covid19: trattasi di fake news. Giusto, per carità, dato che il nesso tra il coronavirus e il caso di Harvard non esiste. E’ sorprendente però che non si sottolinei la gravità del fatto, liquidando inoltre come assurda la possibilità che il virus sia “uscito” da un laboratorio. Sullo stesso giornale, nello stesso giorno, un giornalista attento come Federico Rampini questa possibilità non la esclude affatto, anzi parla della lunga censura della Cina sull’epidemia e del “sospetto sul ruolo di un laboratorio di Wuhan nell’incidente originario del contagio da animale a uomo” come di una questione “di gravità inaudita”.

Noi di sospetti nei confronti del comportamento della Cina ne abbiamo molti, e il tentativo di ripulire la propria immagine e presentarsi come nazione benefattrice ci insospettisce ancora di più. L’inquietudine cresce vedendo come quelli che una volta erano gli scatenati anti-casta nostrani, i fautori della trasparenza, siano molto silenziosi sulle evidenti storture del regime cinese, e incredibilmente amichevoli nei confronti di una nazione governata da una casta vera, che la trasparenza la vuole solo a senso unico, per controllare i comportamenti dei cittadini. Abbiamo sempre avuto il dubbio che la virulenza con cui i 5s attaccavano i partiti e la politica fosse legata a uno strisciante antiparlamentarismo. L’affettuosa indulgenza dei grillini verso il regime cinese alimenta le perplessità: non è che la casta è costituita solo dagli eletti dal popolo, mentre se si è nominati dal partito il problema è risolto?

Fonte: l’Occidentale

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