Dov’è o morte la tua vittoria?

di P. Gianluca Trombini.

Tavolo sul dopo-coronavirus

Nella cultura contemporanea la riflessione sul male è diventata sempre più ambigua a causa del rifiuto della metafisica. Dio è stato messo da parte per vivere come se la dimensione trascendente non esistesse. Gran parte dell’umanità è immersa nella frenesia dell’intramondano, nella costante tensione per soddisfare i propri desideri, senza tener conto della volontà di Dio e del vero bene dell’uomo.

È passato già un mese da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di pandemia. Centinaia di milioni di persone sono state obbligate a fermare le proprie attività e a rimanere chiuse in casa, a causa di un microscopico corpuscolo (a cui è stato dato il nome di COVID-19) che sta infliggendo grandi sofferenze e seminando morte ovunque. In questa triste situazione in molti hanno cominciato a pregare rivolgendo il proprio sguardo verso Dio. Alcuni, inconsapevoli che Dio è sempre presente con la sua azione creatrice in ogni cosa, continuano a chiedersi perché Dio non interviene.

Nel corso della storia l’uomo ha sempre assistito al susseguirsi di mali fisici e morali, individuali e sociali… dal pianto di Eva, descritto con dolente commozione dal Masaccio nella Cappella Brancacci della chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, fino all’attuale dramma planetario che in queste ultime settimane ha scosso l’umanità intera.

Per gli atei la realtà del male è sempre stata un argomento decisivo contro l’esistenza di Dio. Ma concludere che Dio non esiste, perché esiste il male, non è altro che un’illazione semplicistica che emerge da una concezione meccanicistica e aprioristica della realtà. Quello del male è certamente uno tra i più intricati problemi, non solo per il teismo, ma anche e soprattutto per l’ateismo.

Già nel Medioevo una mente geniale come quella di san Tommaso d’Aquino aveva visto proprio nel male la prima difficoltà per ammettere l’esistenza di Dio: «Indichiamo con il nome Dio un certo bene infinito. Se dunque Dio esistesse non dovrebbe esserci il male. Viceversa nel mondo c’è il male. Quindi Dio non esiste». Il ragionamento dell’obiezione sembra non fare una piega. Ma l’Angelico Dottore risolve questa difficoltà, e lo fa ricorrendo ad un testo di S. Agostino: «Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe in alcun modo che nelle sue opere ci fosse del male se non fosse così onnipotente e buono da trarre il bene anche dal male». E quindi – commenta l’Aquinate – il fatto che nel mondo ci sia il male lungi dall’essere un’obiezione per l’esistenza di Dio; al contrario, questa costatazione può contribuire ad esaltare la bontà di Dio, il quale, se permette che vi siano dei mali, è solo per trarne un bene maggiore. (S. Th. I, q. 2, a. 3, ob 1 et ad 1).

L’Angelico riprenderà successivamente lo stesso problema, sempre nella sua Somma Teologica, spiegando che la perfezione dell’universo implica una certa varietà negli esseri, in modo tale che, tra di essi, alcuni sono più perfetti, altri meno perfetti; alcuni corruttibili, altri incorruttibili. Il male fisico riguarda gli esseri corruttibili e ciò non dovrebbe sorprendere, visto che la corruttibilità è una caratteristica intrinseca degli esseri corporei, ma se osserviamo il porsi dell’uomo di fronte alla sofferenza fisica e alla morte nel piano esistenziale, questo sorprende e sorprende molto! Che un microscopico virus possa mettere a dura prova il sistema sanitario della maggior parte dei paesi del primo mondo, causando decine di migliaia di morti e mettendo in ginocchio l’economia mondiale, è un qualcosa che sorprende, sorprende molto, e fa anche riflettere.

Ma perché sorprende? …Il fatto che un virus possa causare tanto danno all’uomo non rientra forse tra le possibili interazioni naturali che possono intercorrere tra l’uomo e tali corpuscoli? Se riteniamo naturale che il leone uccida l’antilope per nutrirsi e continuare a vivere, perché ci dovrebbe sorprendere che un virus – che spontaneamente tende a vivere e riprodursi – possa entrare nelle nostre cellule, moltiplicarsi e – facendo ciò – causare una diffusa infezione nei nostri polmoni con gravi crisi respiratorie? Inoltre, il virus non è un essere libero; si muove in un modo determinato, seguendo spontaneamente le leggi biologiche della sua natura; leggi che lo portano a vivere e a riprodursi, senza avere nessuna consapevolezza e – di conseguenza – nessuna colpevolezza per il danno arrecato all’uomo… Sebbene questo ragionamento possa apparire un po’ cinico, penso che un ateo – se coerente con i propri principi – debba senz’altro ritenerlo valido. Il problema è che l’uomo – sia esso ateo o credente – è l’unico essere creato (tra quelli aventi un corpo) che è chiamato a vivere eternamente; inoltre, è l’unico essere capace di «soffrire» non solo con il corpo, ma anche e soprattutto con l’anima (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica «Salvifici Doloris»); è per questo che l’ammalarsi a tal punto da poter perdere la propria vita può porre l’uomo di fronte ad una situazione esistenziale d’estrema tensione.

Cos’è il male? Il male, in se stesso, non ha consistenza ontologica, è assenza di bene, è una privazione. Per questo anche la malattia, che è un male fisico, non è altro che una privazione dell’equilibrio biologico di cui il corpo umano ha bisogno per continuare a svolgere le sue normali funzioni vitali.

Ma perché l’uomo è soggetto a questo tipo di male? Perché l’uomo è passibile del male fisico, della malattia? A questa domanda è possibile accennare una risposta, da un punto di vista strettamente filosofico (ovvero alla luce della sola ragione), dicendo che l’uomo, possedendo un corpo, è necessariamente soggetto al male fisico, perché tutti i corpi sono intrinsecamente corruttibili.

Ma perché mai Dio avrebbe creato l’uomo con un corpo corruttibile se il suo destino, come uomo – anima e corpo – è la vita eterna? A ciò risponde la rivelazione, che ci ricorda che all’inizio della creazione tutto era buono. Ogni giorno della creazione, nella descrizione del libro della Genesi, si conclude con l’affermazione: «Dio vide che era cosa buona» (Gen 1). Nel terzo capitolo è reso noto che ogni male, morte compresa, ha avuto origine dal primo peccato commesso dall’uomo per istigazione di Satana (Gen 3, 1ss). Originariamente, quindi, la corruttibilità del corpo umano era sospesa, e questo grazie ad alcuni doni preternaturali che Dio aveva elargito all’uomo insieme alla giustizia originaria.

San Tommaso d’Aquino spiega con molta chiarezza che il corpo umano, sebbene in ragione della necessità della materia sia corruttibile, in ragione invece dell’immortalità dell’anima – che è forma del corpo – è destinato (insieme all’anima) all’immortalità; ecco perché la corruzione e la morte, in realtà, sono per l’uomo contro natura. Per questo Dio, al creare l’uomo, impedì con la sua onnipotenza che l’intrinseca corruttibilità del corpo umano passasse all’atto, concedendo ad Adamo di essere preservato dalla sofferenza, dalle malattie e dalla morte (cfr. Tommaso d’Aquino, De Malo, q. 5, a. 5 co). Con il primo peccato però l’uomo, appartandosi volontariamente da Dio, perse la sua amicizia. Come conseguenza di ciò, oltre alla perdita della giustizia originale, vi fu anche la perdita di quei doni di impassibilità e d’incorruttibilità che l’uomo aveva ricevuto da Dio. Con il battesimo, come sappiamo, è rimesso il peccato originale ma restano tuttavia le conseguenze di tale peccato sia nell’anima (l’inclinazione al male), sia nel corpo (debolezza, passibilità, malattia e morte). Questa, in grandi linee, è la spiegazione teologica dell’origine del male, sia fisico sia morale, che troviamo nel mondo.

Al problema del male, sul piano esistenziale, nessuna filosofia è mai stata in grado di rispondere; ma anche la teologia, o meglio alcuni teologi ed alcuni prelati, se non vogliono accontentarsi di sotterfugi dialettici, che potrebbero irritare ancor più la suscettibilità dell’uomo di oggi, devono fare appello ad una fede forte e robusta che sia capace del vero «abbandono in Dio». Kierkegaard affermava che «Colui che non si mette in rapporto con Dio nel modo dell’abbandono assoluto, non si mette in rapporto con Dio. Rispetto a Dio non ci si può mettere in rapporto “fino a un certo punto”, poiché Dio è proprio la negazione di ciò che è “fino a un certo punto”» (S. Kierkegaard, Timore e tremore). Esempi insigni di questo tipo di abbandono li abbiamo certamente in Abramo e Giobbe, ma l’esempio più luminoso, per il filosofo danese, lo troviamo nella Vergine Maria.

Il vero cattolico quindi deve essere sempre consapevole che il dolore, la malattia, e quindi anche una pandemia – con tutte le sofferenze che essa può portare con sé – sono permesse da Dio unicamente per il nostro bene; la nostra fede ci dice che «diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum» (Rom 8, 28). Tutto concorre per il bene di coloro che amano Dio… anche la sofferenza, il dolore, la morte. Tutte queste cose se unite con fede alle sofferenze di Cristo possono essere offerte in espiazione dei propri peccati e per la conversione di chi si è allontanato da Dio. Così, una tragica situazione come quella che l’umanità sta vivendo, può essere una preziosa occasione per riflettere, convertirsi e crescere nella carità operosa. Il fatto che questa pandemia sia esplosa proprio durante il tempo liturgico della quaresima, nel quale siamo chiamati alla conversione, alla penitenza, alla preghiera e alle opere di carità fraterna, penso che non sia stato affatto un caso ma rientri, come del resto ogni cosa, nella misericordiosa Provvidenza di Dio.

Riassumendo possiamo dire che:

  1. Il male fisico e morale esiste; esisteva prima di Cristo e continuerà ad esistere fino alla fine dei tempi. Questo non solo per la struttura finita delle cose, ma soprattutto come conseguenza del peccato originale.
  2. L’uomo come soggetto spirituale può e deve lottare, entro i propri limiti, contro il male e contro la morte, alleviando la sofferenza altrui ed unendo la propria alle sofferenze di Cristo, per la propria purificazione e la conversione di chi è lontano da Dio.
  3. L’esistenza del male fisico e morale, che è un dato di fatto innegabile, sebbene costituisca una difficoltà per lo pseudo-teismo, ingenuo e secolarizzato, entra invece perfettamente in una visione sapienziale della grandezza e della misericordia di Dio, che nella sua provvidenza permette il male unicamente per il bene e per la salvezza dell’uomo. Il male quindi, invece di dimostrare la non esistenza di Dio, è piuttosto un’occasione affinché coloro che non credono (e vivono al margine della legge divina e della legge naturale) s’interroghino sull’esistenza di un Dio che è Padre e ama i suoi figli… e proprio per questo, come buon padre, a volte li punisce affinché si ravvedano dalla loro cattiva condotta. L’accettare un Dio che premia i buoni e punisce i cattivi non può e non deve essere un qualcosa di scandaloso per un credente cattolico! … ma neanche per un non credente, visto che tale principio (premiare i buoni e punire i cattivi) è utilizzato da ogni legislazione. Esso fa capo alla stessa legge naturale che è «partecipazione della legge eterna nella creatura razionale» ( Th. I-II, q. 91, a. 2). Ogni buon padre, per educare il proprio figlio lo premia quando fa qualcosa di buono e lo punisce quando fa qualcosa di cattivo. Non sarebbe affatto buono un padre che lasciasse correre un comportamento dannoso per il proprio figlio, in nome di una pseudo-misericordia. La stessa Sacra Scrittura ci ricorda che «il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto» (Prov 3, 12).
  4. Esistono inoltre molti segni e prove (e l’uomo che non è accecato può riuscire a vederli) dell’amore di Dio e della sua Provvidenza che riesce a cavare per noi il bene anche da grandi mali… È nella sofferenza che siamo obbligati ad usciere dalla nostra superficialità e a riflettere sul vero senso della vita, sul nostro fine eterno e sulla fugacità di questa vita terrena. È nella malattia che siamo messi in modo patente di fronte alla nostra indigenza e ricordiamo che questa vita passa, e ciò che conta è la vita eterna. È in queste occasioni che ci è offerta in un modo particolare l’opportunità di vivere la carità operosa attraverso la preghiera, l’assistenza materiale – e soprattutto spirituale – delle persone affette dalla malattia.

Abbiamo iniziato affermando che l’esistenza del male è certamente l’obiezione più diffusa, sul piano esistenziale, per negare l’esistenza di Dio. Possiamo ora concludere, dopo alcune riflessioni, che solo in una prospettiva di fede il male riceve un senso ed una soluzione positiva di salvezza per l’uomo. Quindi – per paradossale che possa sembrare – la nostra conclusione è che proprio l’esistenza del male nella storia dell’uomo, sia come individuo sia come società, si trasforma – nella riflessione della fede – in una prova ed esigenza, anzi nella certezza assoluta dell’esistenza di un Dio che è Padre misericordioso. Per soccorrere l’umanità Egli ha voluto che il suo unico Figlio si incarnasse, assumendo la natura umana, e con essa un corpo passibile. Ha sofferto la fatica, la fame, la sete, la tristezza… e in tutto è stato obbediente al Padre fino alla morte e alla morte di croce… ma Dio non lo ha abbandonato alla morte. Il nostro Signore Gesù Cristo, Agnello senza macchia, sebbene non avesse nessuna colpa è passato attraverso la sofferenza e la morte; in tal modo, quella sofferenza, che era sorta a causa del peccato, ha assunto un nuovo valore, è divenuta sofferenza redentrice, offrendo all’uomo la possibilità di vincere ogni male, ma soprattutto, il più grande, l’unico vero male, il peccato, vincendo il quale si vince anche la vera morte, quella eterna.

Così, anche in una situazione così tragica come quella che l’intera umanità sta vivendo, non dobbiamo aver paura, perché abbiamo la certezza che «il nostro dolore si trasformerà in gioia» (Gv 16, 21) – anche su questa terra.

Surrexit Christus, spes mea… Dov’è, o morte, la tua vittoria?

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

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