Quel fallimento del governo sulla Libia che umilia l’Italia agli occhi del mondo

di Pasquale Ferraro.

Conte ed il suo Ministro degli Esteri Luigi Di Maio hanno dato prova di avere una cialtronesca e goffa strategia, oltre che di non essere in grado di occupare un ruolo strategicamente centrale nella guerra civile della nostra ex colonia. Inoltre, la nostra irrilevanza è stata resa ancora più drammaticamente palese dalla discesa in campo – con tanto di truppe – delle forze armate Turche, che ritornano in quei territori che proprio l’Italia conquistò ai danni dell’Impero Ottomano nel 1912. Lenin scrisse, parafrasando una celebre massima di Marx, “Quando la storia si ripete la tragedia si trasforma in farsa

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Quello che si preannunciava come il ritorno dell’Italia al centro delle vicende libiche si è trasformato in una magra figura, a livello internazionale.  I due bilaterali, programmati dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con i due attori della guerra civile libica, il Generale Khalifa Haftar e il Capo del governo di Tripoli Al Sarraj – che avrebbero dovuto avere lo scopo di trovare una mediazione fra le parti – sono miseramente falliti, nonostante il Governo parli di “mezzo risultato”. Difatti, ciò che ha determinato la deriva tragicomica è stata la decisione di Sarraj di non partecipare all’incontro e di rientrate a Tripoli: questa, secondo fonti libiche, sarebbe scaturita dalla presenza del Generale Haftar; al contrario, secondo fonti russe, sarebbe dipesa dall’organizzazione dell’agenda. Comunque, Sarraj sarebbe sembrato urtato dal fatto che Conte abbia ricevuto prima il generale ribelle.

Ad ogni modo, messe da parte queste beghe da comari, ciò che dovrebbe lasciare sconcertati non è l’organizzazione dell’agenda di Palazzo Chigi, ma l’atteggiamento mostrato da quello che sulla carta è il Governo da noi appoggiato nel conflitto libico, un governo debole, ridotto ormai alla sola Tripolitania – per non dire alla sola città di Tripoli – e che, fino ad ora, è stato garantito dai governi italiani dinanzi alla comunità internazionale. Dunque, il Governo rappresentato da Fayez al Sarraj non sembra rappresentare per noi una solida garanzia, né mostra verso l’Italia quel rapporto fiduciario che dovrebbe non solo possedere, ma anche palesare agli occhi degli altri Paesi, i quali sono, ormai, protesi più verso il generale Haftar, che mostra molta più solidità e affidabilità.

Quindi, Conte ed il suo Ministro degli Esteri Luigi Di Maio hanno dato prova di avere una cialtronesca e goffa strategia, oltre che di non essere in grado di occupare un ruolo strategicamente centrale nella guerra civile della nostra ex colonia. Inoltre, la nostra irrilevanza è stata resa ancora più drammaticamente palese dalla discesa in campo – con tanto di truppe – delle forze armate Turche, che ritornano in quei territori che proprio l’Italia conquistò ai danni dell’Impero Ottomano nel 1912. Lenin scrisse, parafrasando una celebre massima di Marx, “Quando la storia si ripete la tragedia si trasforma in farsa” ed è proprio così che l’Italia rischia di rimanere tagliata fuori dalla Libia, con i conseguenti rischi economici e geopolitici: la nostra Nazione, infatti, rischia di perdere anche quei rapporti privilegiati che, nonostante la sconfitta nel secondo conflitto mondiale, con la ex colonia sono sempre stati mantenuti.

Si tratta in fin dei conti della cronaca di una morte annunciata, in quanto il governo attuale – ma anche tutti gli altri esecutivi che dal 2011 ad oggi si sono susseguiti – non hanno mai avuto il coraggio di promuovere un intervento militare italiano in territorio libico, il quale sarebbe una presenza necessaria, anche al solo scopo di arginare le pulsioni delle parti e di ricondurre unicamente sotto il cappello dell’Italia l’intera vicenda. Non agendo ed escludendo apoditticamente l’invio di truppe, l’Italia ha lasciato uno spazio nel quale la Russia prima e la Turchia e la Francia poi si sono inserite, senza dimenticare la presenza ombra della Cina. Un ulteriore errore di lucidità politica appare la stessa decisone di appoggiare un governo come quello di Al Sarraj, che, in un Paese tribale e dilaniato da eterne lotte interne, non garantisce affidabilità e, a quanto pare, neanche fedeltà.

Fonte: l’Occidentale

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