I polacchi e gli ungheresi conoscono bene il nazi-comunismo

di Francesco Agnoli.

Per capire meglio cosa accade oggi nell’ Ungheria di Viktor Orban e nella Polonia di Jaroslaw Kaczynski, due paesi ex comunisti fortemente identitari, occorre tornare ad uno dei tanti episodi della storia poco raccontati, sebbene cruciali: il patto Von Ribbetrop-Molotov del 23 agosto 1939, che portò allo scoppio della II guerra mondiale e che vide Hitler e Stalin alleati per ben 22 mesi. In quel patto nazi-comunista l’Europa orientale veniva spartita tra  due dittatori.

“A Stalin – scrive Anne Applebaum nel suo La cortina di ferro. La disfatta dell’Europa dell’est 1944-1956 (Mondadori, Milano, 2016, pp. 84-85)- andarono gli stati Baltici e l’Est della Polonia, oltre che il Nord della Romania (Bessarabia e Bucovina). Hitler ottenne la Polonia occidentale e la possibilità di esercitare la sua influenza su Ungheria, Romania e Austria senza obiezioni da parte sovietica. In seguito a questo patto il I settembre 1939 Hitler invase la Polonia” occidentale, mentre la parte orientale del paese sarebbe stata aggredita da Stalin il 17 settembre dello stesso anno. Quella sera del 23 agosto, mentre un’incredibile aurora boreale infiammava i cieli, dal Portogallo alla Russia, i due ministri, quello tedesco e quello russo, scherzavano tra loro e brindavano all’alleanza, riconoscendosi fratelli siamesi, e promettendo di approfondire i rapporti.

Nel contempo “dalla sera alla mattina ai partiti comunisti di tutto il mondo fu data istruzione di attenuare le loro critiche al fascismo”: alcuni, fedeli al motto “credere, obbedire, combattere”, buono per tutti i totalitarismi, seguirono le direttive, altri caddero nello sconforto.

I comunisti francesi, per esempio, appoggiarono l’invasione nazista del loro paese da parte di Hitler, alleato del loro idolo Stalin, mentre quello polacco si divise “fra quanti esultavano per l’invasione sovietica della Polonia Orientale… e quanti erano inorriditi dal fatto che il loro paese avesse cessato di esistere”.

Alla prima visita di von Ribbetrop a Mosca, se ne aggiunse una seconda, il 27 e 28 settembre: baci e abbracci e un nuovo accordo che prevedeva la vendita di cereali e petrolio russo ai tedeschi, per far funzionare i carri armati che avanzavano in Francia, in cambio di carbone, tubature d’acciaio ed armi. Inoltre Mosca offrì ai tedeschi l’uso di una base per sottomarini a Murmansk, la collaborazione tra le forze di polizia “nei rispettivi territori di occupazione per debellare eventuali agitazioni dei polacchi” e persino “la consegna alla Gestapo dei comunisti tedeschi detenuti nelle prigioni russe, molti dei quali di origine ebraica”. Un incontro così gradevole, che von Ribbetrop poteva commentare: “Sembrava di essere in un circolo di vecchi camerati” (vedi Anne Applebaum, op. cit., p. 85 86 e Adam B.Ulam, Stalin, Garzanti, Milano, 1975, pp. 564-565),

Invasi prima dai nazisti e poi dai comunisti, ungheresi e polacchi ebbero chiara la falsità dell’alternativa “o fascisti o comunisti”: cercarono nella Tradizione cattolica, nella Chiesa, nelle radici storiche, in un sano patriottismo, la forza per reagire. E la trovarono!

Prima della caduta del muro di Berlino, prima dei tedeschi dell’est, furono proprio polacchi e ungheresi a dare la spallata al regime, divenendo i primi paesi del Patto di Varsavia a rompere i legami con i sovietici e a ottenere libere elezioni (e, nel caso degli ungheresi, a tagliare il filo spinato che li divideva dall’Austria), dimostrando così la fragilità dell’immensa prigione comunista!

Ebbene, oggi la Polonia di Kaczynski e l’Ungheria di Orban altro non fanno che continuare a seguire quella strada, a coltivare quell’amore per la patria non nazionalistico e quel radicamento religioso, elogiati entrambi più volte da Giovanni Paolo II, che fanno di questi due paesi una speranza per l’Unione Europea: perchè essa assomigli sempre meno ad un Super Stato “sovietico”, democraticamente opaco e dominato, ideologicamente, dal pensiero uncio nichilista.

Fonte: l’Occidentale

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