Crolla un Muro, assolto il Costruttore

di Marcello Veneziani.

Ma la Caduta del Muro di Berlino è solo un caso di edilizia abusiva? Chi lo edificò, quel maledetto muro, Hitler, Nixon o Trump da ragazzo? Ma davvero col crollo del Muro di Berlino cadde finalmente il nazionalismo, con le sue frontiere chiuse e cominciò il via libera ai flussi migratori? A leggere e vedere le cronache di oggi a trent’anni dal Muro di Berlino, l’impressione che resta è questa. E l’immagine ricorrente è una specie di festa, di concerto pop, dei centri sociali tra muri caduti e murales.

In tutta questa rappresentazione manca il protagonista, sparisce il costruttore del muro: il comunismo.

E manca l’attenzione sul significato originario e principale di quel crollo. No, ragazzi, a Berlino non cadde il muro del nazionalismo, non caddero le frontiere rispetto ai migranti, ma in quel muro si sgretolò la tragedia principale del Novecento, il comunismo. Sì, principale, perché a differenza dell’altra tragedia del Novecento, il nazismo, quella del comunismo durò ben settantacinque anni e non dodici; colpì più popoli e si estese su ben tre continenti; sterminò sessanta, ottanta milioni di vittime, e in tempo di pace, lungo il suo regime; e non è ancora finito, se si pensa alla Cina e a Cuba, per non dire del suo lascito, il comunismo implicito, come mentalità, che ancora vive e lotta insieme a noi.

E il segno anche simbolico che il comunismo sia caduto ma non sia morto nel 1989 lo dà una tragedia parallela avvenuta nello stesso anno: è Piazza Tienanmen, a Pechino, dove il regime comunista vince sul popolo e sui singoli cittadini. Il comunismo si trasforma ma non sparisce. E che il comunismo sia la tragedia principale del Novecento lo dimostra anche un altro particolare che poi coincide con l’elevazione del Muro. Nessun altro regime autoritario e totalitario del Novecento ebbe bisogno di erigere muri alla frontiera per impedire che scappassero i suoi cittadini, nemmeno il feroce ed efferato regime nazista. L’unico che lo fece è il comunismo. Presentandolo a contrario come “barriera protettiva antifascista” (la mistificazione della propaganda comunista). Ed oggi, la propaganda – la stessa che sta prefabbricando casi inesistenti di rigurgiti passati anche per distrarre dall’attenzione degli anniversari epocali – confonde le frontiere col Muro di Berlino, dimenticando l’essenziale, elementare differenza tra un Muro che impedisce di entrare a chi non entra regolarmente dalle frontiere e un Muro che impedisce di uscire ai suoi abitanti, nell’esercizio basilare della libertà.

Ci sfugge il cuore di quella tragedia epocale, il senso storico, politico e ideologico, la fine di un incubo durato settantaquattro anni. Il senso di liberazione dei popoli vissuti dentro la cortina di ferro. Un incubo che tra i suoi effetti ebbe quello di impedire all’Europa di unirsi, perché era impossibile uscire dal bipolarismo Usa-Urss, Nato-Patto di Varsavia, Occidente-Est sovietico, finché perdurava l’Antagonista Funesto.

Ma il comunismo, nei ricordi edulcorati del Muro, sfuma oggi a vago ricordo, viene associato al più al faccione di Stalin mentre va da Lenin a Honecker, dal primo all’ultimo comunismo, e coinvolge tutti i comunismi venuti al mondo. Crolla il Muro, ma è assolto il Costruttore. O non è condannato perché, a parte i misfatti, aveva buone intenzioni…

Quel muro non segnò la fine delle nazioni, come si suggerisce oggi, ma il primo effetto fu la riunificazione di una grande nazione, la Germania, che pose fine quel 9 novembre al Dramma Tedesco: due guerre mondiali perdute, due regimi totalitari subiti, come il comunismo e il nazismo, in più la vergogna della Shoa. Quel Muro caduto riunificava e rianimava una Nazione. E con quella nazione ricomposta al centro permetteva all’Europa di avviare il suo processo di unificazione.

Ma tutto questo non appare nei resoconti di oggi. Che nella migliore delle ipotesi si soffermano su uno degli effetti che quel Muro produsse. Ossia l’avvento, il compimento della globalizzazione che in un primo tempo coincise con il Nuovo Ordine Mondiale a guida statunitense. Ma come ben sappiamo, dal Muro sorse anche la spinta opposta, la polarizzazione contraria: il risveglio delle identità patrie, locali, nazionali e religiose. Da una parte l’Occidente sconfinò e diventò globale. Dall’altro si risvegliarono i popoli, le nazioni, le identità. E il risultato che ne scaturì, sommando i due fenomeni divergenti, anzi alternativi, fu da noi la riunificazione europea, con quell’ambiguità di fondo e quella debolezza di pensiero intrinseca al processo europeo. E la crescita di altri soggetti internazionali, dalla Cina all’India e all’Islam, dalle potenze del sud est asiatico alla ripresa della Russia, oltre il comunismo.

Ma il Muro resta l’epilogo di una tragedia e insieme il prologo a un crollo che poi diventò definitivo con Gorbaciov nel 1991. E per completare l’onesto necrologio di quel Muro, non dimentichiamo che come sempre accade nella storia, anche la caduta di quel Muro e di quel Mondo generò in taluni anche un’onda di nostalgia, detta ostalgia, cioè rimpianto dell’est, e perfino di rimorso per il trionfo della società dei consumi. Vinse il capitalismo, non il liberalismo.

Comunque, cari smemorati, il comunismo non è una diceria, una favola o una promessa vergine che splende irrealizzata nell’alto dei cieli. Il comunismo fu reale, terribile e duraturo, e ha lasciato un mare di cicatrici. E cadde solo alle soglie degli anni Novanta. Anche se a voi non sembra, ma il 1989 viene molto dopo del 1945 a cui la vostra memoria si è fermata. 44 anni dopo. Quarantaquattro anni in fila per tre col resto di due.

MV, La Verità 9 novembre 2019

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