Fine vita: «Noi medici non lo faremo venga il pubblico ufficiale». Lo stop al suicidio assistito

di Margherita de Bac.

I medici non avvieranno la procedura di suicidio assistito. Da Roma a Milano, passando per il resto d’Italia, i presidenti degli Ordini chiedono che «a farlo sia un pubblico ufficiale in rappresentanza dello Stato».

Dopo la sentenza della Consulta si fa portavoce dell’istanza il presidente della Federazione Filippo Anelli che richiama gli articoli del Codice deontologico per ribadire «l’obbligo di dare vita e non morte, pena il rischio di provvedimenti disciplinari che possono portare alla radiazione».

Qualche segnale di disponibilità «ad accompagnare i pazienti al suicidio assistito, secondo la propria visione morale» arriva dalle società scientifiche più coinvolte nelle fasi terminali dell’esistenza. Ma con garanzie precise perché, afferma Flavia Petrini, di Siaarti, coordinatrice di rianimatori ed anestesisti «lasceremo ai nostri specialisti libertà di agire purché vengano protetti dall’attacco degli ordini».

A Roma Antonio Magi, presidente di circa 45 mila iscritti, il più ampio albo europeo, è esplicito: «Il rispetto del nostro codice professionale viene prima della pronuncia della Consulta. Il Parlamento ha avuto un anno di tempo per dare norme definite e non l’ha fatto». Giovanni D’Angelo, cardiologo alla guida dei colleghi di Salerno, ha vissuto questo dilemma personalmente: «Mio padre dopo il terzo ictus finì immobile a letto, lui uomo vivacissimo. Mi pregò più volte, lo sguardo puntato dritto sui miei occhi, “Anto’ tu sei medico… lo vedi come sto, perché non fai qualcosa?”. Sono stato un vigliacco, non ho avuto il coraggio di compiere un gesto che mi avrebbe segnato per tutta la vita, mi sarei sentito un figlio assassino nonostante la sua invocazione. Avrei compiuto un atto contrario alla mia missione. È giusto dare libertà di scelta ai pazienti, ma alla nostra libertà chi pensa?».

Inutile cercare voci discordanti. Secondo il presidente dell’ordine di Bologna, Giancarlo Pizza «la morte non è un nostro strumento e dunque non saremo mai esecutori di volontà di suicidio». Le società scientifiche sono in fermento per esprimere una posizione e sostegno a tutti gli associati. Petrini annuncia l’arrivo di un documento ufficiale: «Non siamo pronti oggi ad assecondare le richieste dei pazienti. Altro conto è non perseverare con cure inappropriate quando non c’è alcuna speranza di guarigione. Anche il ministero della Salute dovrà darci una linea precisa».

Italo Penco presiede la società italiana di cure palliative: «Non ci può essere un ordine di scuderia, ognuno di noi ha un personale modo di sentire. Quando il malato è vicino alla fine possiamo intervenire già oggi con la sedazione profonda. Se la fase terminale è lontana i farmaci antidolorifici e il sostegno psicologico possono non essere una risposta. Se però le cure palliative venissero avviate precocemente sono convinto che riusciremmo ad evitare le richieste suicidarie. Le terapie palliative non anticipano nè posticipano la morte, leniscono la sofferenza prima che diventi insopportabile».

Fonte: Corriere della Sera

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